La scorsa settimana, io e Warren Mosler abbiamo avuto uno dei nostri aggiornamenti periodici e alla fine abbiamo discusso dello stato dell’arte nella Teoria della Moneta Moderna (MMT). Noi siamo piuttosto protettivi verso di essa. Abbiamo riflettuto su come abbiamo avviato questo progetto e sulla direzione che ha preso. Come fanno due del mestiere quando si incontrano. Abbiamo inoltre riflettuto e confrontato appunti su quello che è lo stato attuale della MMT, considerata la crescente visibilità delle idee nei media mainstream in tutto il mondo e la proliferazione, sui social media, di attivisti che si sono identificati nelle nostre idee e hanno scelto di promuoverle. Di tale evoluzione ci sono stati aspetti che noi abbiamo definito come preoccupanti, e altri aspetti che abbiamo considerato motivo di ottimismo (festeggiamento è una parola troppo forte). Pensavamo che sarebbe stata una buona idea fare un respiro e documentare ciò che noi riteniamo essere l’essenza della MMT – una sorta di elenco per le persone che vogliono un resoconto ragionevolmente accurato del lavoro. Sono stato d’accordo a scrivere questo documento su stimolo di Warren. Così, questo è quello che noi intendiamo con MMT. Ciò che segue è il mio resoconto della nostra conversazione ampliato con approfondimenti, ove necessario.
Ovviamente, io ho dato priorità ad alcune cose che abbiamo discusso nei post di questo blog (fra le altre).
- Riflessioni sulla seconda Conferenza Internazionale sulla MMT – Parte 1 (3 ottobre 2018)
- Riflessioni sulla seconda Conferenza Internazionale sulla MMT – Parte 2 e Parte 3 (4 ottobre 2018)
E ad altre precedenti:
- La separazione tra macroeconomia mainstream e MMT è inconciliabile – Parte 1
- La separazione tra macroeconomia mainstream e MMT è inconciliabile – Parte 2
- La separazione tra macroeconomia mainstream e MMT è inconciliabile – Parte 3
E ancora precedenti:
- Teoria della Moneta Moderna: cosa c’è di nuovo? (22 Agosto 2016)
- Teoria della Moneta Moderna: cosa c’è di nuovo? – Parte 2 (lungo) (23 Agosto 2016)
- Teoria della Moneta Moderna: cosa c’è di nuovo? – Parte 3 (lungo) (25 Agosto 2016)
Le preoccupazioni di cui abbiamo parlato inizialmente sono relative a questioni che ho sollevato nei post del blog 1 e 2 sopra elencati.
Nei social media c’è una tendenza a utilizzare la parola MMT come slogan piuttosto che per approcciarsi ad essa come ad un corpus coerente di teoria economica e di esercitazione che è stato sviluppato meticolosamente nell’arco di oltre 25 anni a livello accademico.
Questa tendenza si manifesta in proclami secondo cui l’essenza della MMT è quella per cui la capacità dello Stato di finanziare programmi [economici] è illimitata e così c’è una possibilità significativa per qualsivoglia politica economica progressiva che si voglia introdurre.
Principio Base 1: l’inizio della “storia della moneta” MMT
Le società che usano moneta di Stato sono molto differenti dai sistemi fondati sul baratto.
In una società monetizzata, lo Stato è al vertice della gerarchia monetaria. Non possiamo comprendere come operi tale sistema fino a che non comprendiamo le funzioni dello Stato in un contesto del genere.
La “storia della moneta” MMT inizia con uno Stato che desidera acquistare risorse per soddisfare il programma politico per il quale è stato eletto dalla popolazione.
Tale concetto si applica a sistemi democratici in cui i politici si candidano alla popolazione con un obiettivo dichiarato e coloro che vincono formano il Governo.
Ad ogni modo la “storia della moneta” non è esclusiva delle democrazie.
[Il funzionamento di] ogni sistema, poiché non si dispone di schiavi, richiede che le risorse produttive siano trasferite, con atti di spontanea volontà, dal settore non governativo al settore governativo, al fine di consentire a quest’ultimo di svolgere il proprio lavoro.Tale intuizione è l’inizio del nostro viaggio.
Inoltre, lo Stato (generalmente attraverso un suo agente designato, la Banca Centrale) è l’unico fornitore di quello che lui stesso chiede come mezzo di pagamento delle tasse.
Coloro che devono pagare le tasse non possono ottemperare i loro obblighi fiscali stabiliti con legge dallo Stato, se lo Stato non agisce per primo.
L’atto di imporre passività fiscali [tasse, NdT] è un passaggio importante nella comprensione della “storia della moneta”.
Questo significa che è [l’imposizione di] passività fiscali (e non il pagamento delle tasse) ad avere lo scopo di creare venditori di beni e di servizi in cambio dei crediti fiscali richiesti, crediti che nel linguaggio comune chiamiamo “valuta di Stato”.
Così possiamo pensare alla valuta come a un credito fiscale vantato nei confronti dello Stato.
Questo genera un’altra intuizione che è intrinseca nella MMT.
Le passività fiscali hanno lo scopo di creare quella che definiamo disoccupazione – la situazione in cui le persone cercano un lavoro retribuito in cambio della valuta di Stato.
Così la tassazione è un modo in cui lo Stato può acquisire dal settore non governativo le risorse produttive, i beni finali e i servizi di cui necessita per portare avanti il proprio programma politico.
È chiaro che il settore non governativo deve procurarsi la valuta prima di poterla usare per pagare le tasse dovute. Da chi altro potrebbe ottenere la valuta per soddisfare i propri obblighi di legge nei confronti dello Stato, se quest’ultimo non comprasse beni e servizi resi disponibili dal settore non governativo o non facesse trasferimenti a favore di questo?
Così lo Stato può approvvigionarsi acquistando ciò che è offerto in vendita con una valuta che, altrimenti, sarebbe priva di valore.
E così comprendiamo le principali operazioni implicate.
Lo Stato, da principio, come unico fornitore dei fondi necessari a pagare le tasse o ad acquistare debito emesso dallo Stato, deve necessariamente imporre passività fiscali al settore non governativo prima di poter spendere.
Dato che il settore non governativo richiede valuta fiat per pagare i propri obblighi di tassazione, in prima istanza l’imposizione delle tasse senza una concomitante iniezione di spesa pubblica, strutturalmente, crea disoccupazione (persone in cerca di un lavoro remunerato) nel settore non governativo.
I disoccupati o le risorse inattive del settore non governativo possono quindi essere impiegati attraverso la spesa pubblica, d’ammontare pari al valore del trasferimento di beni e servizi reali dal settore non governativo al settore governativo.
Mentre le risorse reali sono trasferite dal settore non governativo sotto forma di beni e servizi che sono acquistati dallo Stato, la motivazione a offrire queste risorse ha radice nella necessità di acquisire valuta fiat per estinguere le passività fiscali.
Inoltre, anche se c’è un trasferimento di risorse reali, la tassazione non mette a disposizione dello Stato emettitore capacità finanziaria aggiuntiva.
Concettualizzare in questo modo la relazione tra il settore governativo e quello non governativo rende chiaro che è la spesa pubblica a rendere disponibile il lavoro retribuito che [a sua volta] elimina la disoccupazione creata dalle tasse.
Questa comprensione pone un’ulteriore intuizione.
La spesa dello Stato, di conseguenza, è limitata da ciò che è offerto in vendita in risposta all’imposizione delle tasse.
Ma, importante, tale spesa da parte dello Stato non è operativamente vincolata dal gettito fiscale.
Si noti qui che tale conclusione non si applica ai 19 Paesi membri dell’Eurozona, perché essi hanno rinunciato alla propria sovranità monetaria e utilizzano, invece, una valuta estera.
Principio 2: la storia della disoccupazione e del Lavoro Garantito
In un’economia che funziona normalmente, ci sarà sempre un certo ammontare di disoccupati dovuto al fatto che le persone cambiano lavoro. Solitamente questa condizione dovrebbe essere transitoria e riguardare una bassa percentuale di coloro che sono in condizione di lavorare e disposti a farlo. Consideriamo questo livello di disoccupazione impossibile da ridurre [1] e potrebbe attestarsi intorno all’1 o 2%, a seconda del Paese considerato.
Ad ogni modo, la disoccupazione in eccesso rispetto a tale livello minimo è chiamata disoccupazione di massa.
E, tirando le somme dei concetti sopra esposti, possiamo concludere che la disoccupazione è l’evidenza che la spesa dello Stato non è sufficiente ad impiegare tutte le persone che la tassazione dello Stato ha reso disoccupate.
Nel secondo dopoguerra, quando il cosiddetto consensus “Keynesiano” era in essere, la disoccupazione di massa era considerata come una disoccupazione “da carenza di domanda”, a indicare una situazione in cui complessivamente c’è scarsità di lavori [retribuiti] rispetto all’offerta di risorse lavorative disponibili (persone e ore) ai livelli di salario corrente.
La definizione andava oltre la descrizione, poiché questa indicava che tale disoccupazione si manifestava a causa di una scarsa spesa aggregata.
La disoccupazione di massa così varia nel corso del ciclo economico, aumentando quando la spesa aggregata diminuisce al di sotto del livello necessario per impiegare completamente la forza lavoro disponibile e diminuendo quando la spesa aggregata è prossima al livello necessario per impiegare completamente l’offerta di lavoro.
Questo concetto è del tutto coerente con la modalità con cui la MMT definisce la disoccupazione di massa. La differenza sta nell’enfasi che la MMT pone sul ruolo dello Stato e sulle operazioni legate alle passività fiscali [2].
Così, la disoccupazione di massa emerge perché, dopo che il settore privato ha realizzato le proprie decisioni di spesa e di risparmio, il livello di spesa non è sufficiente a generare vendite e produzione commisurate alla quantità di posti di lavoro necessari ad assorbire l’offerta di lavoro di coloro che sono nelle condizioni e sono in grado di lavorare.
L’enfasi posta dalla MMT è sul fatto che questa scarsità emerge poiché, per un dato livello di passività fiscali [tasse], la spesa pubblica è insufficiente.
Comprendiamo quindi che il rimedio è una maggiore spesa nel settore privato (il che potrebbe implicare il fatto di assumere direttamente i disoccupati) e/o una riduzione della pressione fiscale.
Warren direbbe che lo Stato dovrebbe aumentare la spesa fino al momento in cui i disoccupati tornino [impiegati] nel settore privato.
Il suo punto di vista è che, inizialmente, lo Stato dovrebbe approvvigionarsi come desidera dell’ “ammontare appropriato” [di risorse], come illustrato. E, una volta raggiunto l’ammontare appropriato desiderato, i disoccupati restanti possono essere re-impiegati nel settore privato.
Io esprimerei questo punto in modo lievemente differente, ammettendo la possibilità che il Piano di lavoro garantito possa essere una collocazione lavorativa permanente per alcuni lavoratori del gruppo coinvolto, se loro scelgono che lo sia. Il fatto di avere una minima rigidità della riserva [di disoccupati] non intacca le peculiarità del Piano relative alla stabilità dei prezzi.
Mi rendo conto, inoltre, che uno potrebbe perorare la causa di rendere questi posti di lavoro permanenti in quella parte di settore pubblico in cui non vige il Piano di Lavoro garantito, il che – allora – si collega direttamente al riferimento di Warren al concetto di “ammontare appropriato”.
Ma il punto è che lo Stato che emette valuta sceglie sempre [l’ammontare di] disoccupazione corrente, una volta che le decisioni di spesa e di risparmio del settore privato sono state realizzate.
Nell’epoca attuale, gli Stati utilizzano la disoccupazione come una riserva per fissare un prezzo àncora per i salari nel sistema economico.
Nel periodo “Keynesiano” della piena occupazione, gli Stati consideravano la disoccupazione di massa come un obiettivo politico. L’ammontare di disoccupati doveva essere mantenuto quanto più basso possibile nei limiti dell’inflazione esistente.
Invece, nell’era neoliberista, gli Stati usano la disoccupazione come uno strumento politico per disciplinare le rivendicazioni salariali e per diminuire le vendite di beni (dettando così una disciplina alle imprese che potrebbero cedere alle rivendicazioni salariali).
L’approccio della riserva di disoccupati (a volte chiamato approccio NAIRU) è il modo in cui è gestito il controllo dell’inflazione.
Ad ogni modo, quanto più a lungo le persone restano disoccupate, tanto maggiore è la perdita delle loro abilità e i datori di lavoro del settore privato tendenzialmente preferiscono assumere reclutando tra coloro che sono già occupati o che sono stati disoccupati solo per brevi periodi di tempo.
In altre parole, la forza della disciplina della disoccupazione esige che il disoccupato costituisca una minaccia per coloro che stanno lavorando, così che essi moderino le loro rivendicazioni salariali.
Ad ogni modo, nel tempo, la minaccia che proviene da questa riserva di disoccupati inizia ad affievolirsi, man mano che i disoccupati continuano a perdere abilità e le imprese introducono nuove tecnologie e processi.
In questo caso il cosiddetto NAIRU deve essere spinto in alto e ancora più in alto mediante politiche fiscali e monetarie restrittive, perché sia mantenuto lo stesso livello di minaccia.
Ci sono inoltre costi di massa implicati sia nella perdita di reddito sia nelle patologie personali (esclusione sociale, disagio psicologico, ecc.) che concorrono ad aggravare ulteriormente il quadro generale degli svantaggi derivanti dall’adottare la riserva di disoccupati come meccanismo di stabilità dei prezzi.
Sulla base di motivi ragionevoli, quindi, questo approccio alla stabilità dei prezzi è molto costoso e – in ultima analisi – disfunzionale in un’economia moderna.
Livelli di disoccupazione elevati e sostenuti, in ultima analisi, indeboliscono la stabilità sociale e politica di una nazione, il che crea costi non stimati che vanno ben oltre quelli sopra elencati.
Questi post del blog offrono un discussione più approfondita su questi punti:
- Buffer stocks and price stability – Part 1 (26 aprile 2013)
- Buffer stocks and price stability – Part 2 (13 maggio 2013)
- Buffer stocks and price stability – Part 3 (17 maggio 2013)
- Buffer stocks and price stability – Part 4 (24 maggio 2013)
- Buffer stocks and price stability – Part 5 (31 maggio 2013)
L’alternativa proposta dalla MMT è che lo Stato introduca una politica del Lavoro Garantito per costituire una riserva di occupati che offra un’ancora ai prezzi a un livello più elevato rispetto a quello della politica attuale che usa – invece – la disoccupazione come riserva.
Warren considera la riserva di occupati come uno strumento per promuovere la transizione dalla condizione di disoccupato a quella di occupato nel settore privato.
Dal mio punto di vista, questo si può fare, ma potrebbe anche costituirsi un gruppo permanente di lavoratori che non saranno mai in grado di ottenere un’occupazione nel settore privato ai salari correnti. La mia preferenza è per non privilegiare l’occupazione privata rispetto al pubblico impiego.
Ma questo non modifica il fatto che il Lavoro Garantito è una politica contro l’inflazione che in aggiunta produce esternalità positive di maggiori lavori retribuiti per tutti coloro che sono nelle condizioni e disponibili a lavorare.
Anche questi post del blog sono importanti:
- Whatever – its either employment or unemployment buffer stocks (30 dicembre 2011)
- MMT is biased towards anti-crony (28 dicembre 2011)
Il Lavoro Garantito è un approccio volto alla stabilità macroeconomica, il che significa che è molto più di una semplice politica pubblica di creazione di lavoro.
Con l’acquisizione di popolarità della MMT, è venuto fuori un certo numero di differenti proposte di lavoro garantito, molte delle quali rivendicano di discendere dalla MMT.
Notate l’uso del minuscolo per le lettere l e g nel paragrafo precedente.
Ad ogni modo c’è solo un Lavoro Garantito nella MMT.
Il Lavoro Garantito della MMT è un costrutto tecnico progettato per rimpiazzare la curva di Phillips del mainstream (il trade-off tra disoccupazione e inflazione).
Il Lavoro Garantito è un meccanismo di riserva migliore di quello della disoccupazione di massa per mantenere la stabilità dei prezzi.
E questo significa che anche chi non dovesse condividere l’afflato filosofico o morale al “diritto al lavoro”, promuoverebbe ugualmente il Lavoro Garantito (di matrice MMT) in opposizione all’approccio-NAIRU che utilizza la disoccupazione come riserva per ancorare il livello dei prezzi.
Costoro dovrebbero concordare sul fatto che in termini di efficienza – concetto relativo allo spreco di risorse etc – l’approccio di riserva di occupati è migliore dell’attuale alternativa dominante.
Il Lavoro Garantito disciplina l’inflazione perché lo Stato offre a tutti un lavoro a un salario fisso che è il livello minimo dei range salariali.
In tempi di pressione inflazionistica, lo Stato può usare la politica fiscale per redistribuire i lavoratori dai settori inflazionistici al settore del Lavoro Garantito a prezzo fisso.
Chiaramente, è desiderabile mantenere la riserva [di occupati] del Lavoro Garantito al livello minimo [indispensabile].
E così gli aggiustamenti di politica fiscale possono essere attuati per mantenere il blocco di lavoratori del Lavoro Garantito ai livelli minimi richiesti necessari per raggiungere la stabilità dei prezzi desiderata.
Note del Traduttore
1.^ Disoccupazione frizionale.
2.^ Tassazione.
Originale pubblicato il 13 dicembre 2018
Traduzione a cura di Daniele Basciu