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“Non firmate quell’accordo”. Intervista a Carlo Clericetti

"Non firmate quell'accordo". Intervista a Carlo Clericetti

Il prossimo incontro dell’Eurogruppo è previsto per il 23 aprile e, mentre viene dato spazio e voce al ricompattato fronte pro-MES, i media tacciono su un’iniziativa importante: 101 economisti, accademici e giornalisti economici hanno sottoscritto un appello al Governo dal titolo chiaro: “NON FIRMATE QUELL’ACCORDO”. Tra loro anche James K. Galbraith.

L’appello sottolinea la portata e l’urgenza di una risposta all’emergenza della pandemia:

L’eccezionalità delle circostanze dovrebbe far prendere in esame provvedimenti eccezionali, che dovrebbero avere almeno due caratteristiche essenziali:

  • essere attivabili in tempi il più possibile brevi;
  • ridurre al minimo possibile l’aumento dell’indebitamento degli Stati, già destinato inevitabilmente a crescere per finanziare gli interventi indifferibili per ridurre i danni della crisi.

La sola opzione che risponda a questi due requisiti è il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea. Si tratta di una opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei. Ma anche i trattati, in caso di necessità, possono essere sospesi nel rispetto del diritto internazionale e questo è oltretutto già avvenuto.

I firmatari chiedono al Governo italiano di rigettare l’accordo dell’Eurogruppo e proporre che la parte più significativa degli interventi anti-crisi sia attuata con un intervento della Banca centrale europea. Qui il testo completo dell’appello.

Tra i firmatari, accademici e giornalisti con cui abbiamo collaborato in questi anni come il prof. Stefano Lucarelli e la prof.ssa Anna Maria Variato dell’Università di Bergamo, promotori nel 2014 del mese di visiting professor di Warren Mosler all’Università (da quel periodo nacque Primavera Economica), e il giornalista Carlo Clericetti, che nel 2016 partecipò al nostro Forum delle prospettive economiche, politiche e sociali e che oggi abbiamo intervistato.


Carlo, è un momento difficile per l’Italia e lo saranno anche i mesi futuri. Quali sono i rischi maggiori degli strumenti proposti dall’Eurogruppo?

« Innanzitutto c’è da dire che la dimensione ipotizzata degli interventi appare insufficiente, molto lontana, per esempio, dalle decisioni prese negli Stati Uniti oppure – fatte le debite proporzioni – dalla Germania per quel che la riguarda. In secondo luogo c’è il problema dei tempi di attuazione. Ad essere già operativo è solo il Mes (il cosiddetto Fondo salva Stati), ma anche per quel che riguarda la nuova linea di credito ipotizzata per l’emergenza sanitaria non è ancora stato stabilito quali saranno le caratteristiche del prestito (durata, versamento in una o più rate, chiarimenti sulla cosiddetta “condizionalità leggera”). Inoltre il regolamento del Fondo prevede una commissione dello 0,85% sui prestiti: se fosse applicata assorbirebbe tutta la convenienza, che consiste nella differenza di costo tra richiedere i soldi al Mes o raccoglierli sul mercato. »

« E infine c’è il difetto forse più rilevante: tutti gli strumenti ipotizzati comportano un aumento dell’indebitamento degli Stati. La caduta del Pil è ancora difficilmente prevedibile perché dipende da quando si tornerà – più o meno – alla normalità, ma certamente sarà drammatica. Questo ridurrà il gettito fiscale mentre le spese aumenteranno moltissimo, sia per l’emergenza sanitaria, sia per quella economica. Quindi il rapporto debito/Pil si impennerà: per l’Italia si parla della possibilità che arrivi al 155-165%, e non si può escludere che vada peggio. Per questo le spese di questa emergenza dovrebbero invece essere coperte dalla banca centrale, che dovrebbe impegnarsi a sottoscrivere titoli di debito perpetui o a scadenza lunghissima, per esempio 100 anni, che in questo modo non sarebbero considerati dai mercati come debito effettivo degli Stati. »

L’appello che hai sottoscritto sintetizza le proposte di economisti, accademici e giornalisti che in questi anni si sono espressi contro le politiche di austerità. Perché è importante che anche il cittadino comune venga messo a conoscenza del dibattito?

« Perché finora è passata un’immagine sbagliata della situazione, in particolare quella italiana. Secondo molti dei nostri partner europei l’Italia ha seguito una politica di bilancio “allegra” senza preoccuparsi del debito pubblico che si accumulava. È invece vero il contrario: da moltissimi anni, nientemeno che dal 1992 (tranne il 2009, l’anno del picco della precedente crisi), il bilancio pubblico spende meno di quello che riceve con tasse e contributi. Ciò nonostante chiude in deficit, perché alle spese di funzionamento dello Stato e dei servizi si aggiunge l’onere per gli interessi sul debito. Un debito che è cresciuto soprattutto nel corso degli anni ’80, per due motivi principali. Il primo: mentre la spesa pubblica aumentava, come negli altri Paesi europei e anzi anche meno, non c’è stato un aumento corrispondente del gettito fiscale, che è stato aumentato solo più tardi, quando il debito era già cresciuto. Il secondo: con il cosiddetto “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia, si è rinunciato a tenere sotto controllo il costo del debito, contrastando le richieste eccessive del mercato, proprio in una fase di tassi reali molto alti. Le serie storiche mostrano che da allora l’Italia paga sul suo debito tassi d’interesse più alti dei Paesi comparabili. Nei tempi più recenti, la “cura” che è stata adottata soprattutto a causa delle pressioni europee, cioè quella di tentare di riassorbire il debito con avanzi di bilancio, ha invece aggravato il male, perché ha soffocato la crescita spingendo ancora più in alto il rapporto debito/Pil a causa della diminuzione o del ristagno del Pil medesimo. »

« Ciò detto, però, non si può nemmeno dire che tutte le colpe della nostra situazione siano da attribuire all’Europa. I nostri governi – purtroppo, di ogni colore – ci hanno messo del loro, con politiche sbagliate. »

Il dibattito intorno alla MMT negli USA e nel resto del mondo contribuirà a rompere i tabù economici nell’Eurozona?

« Il dibattito suscitato dalla MMT ha avuto il merito di scuotere alcune certezze che la gran parte degli economisti considerava alla stregua di leggi di natura. Oggi molte di quelle “leggi” sono state demolite da ciò che si è potuto osservare nella realtà. Ma sul fatto che questo sia sufficiente per rompere i tabù economici dell’Eurozona, sono molto pessimista. Quelle idee resistono non per la loro coerenza teorica, ma perché sono funzionali agli interessi dei gruppi dominanti. Come sempre in questi casi il problema non è di ragionevolezza, ma di potere. »

 

Potete seguire Carlo Clericetti sul suo sito Blogging in the wind.


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