L'Editoriale

Le regole fanno la differenza, non l’uomo

Le regole fanno la differenza, non l'uomo

La nomina di Mario Centeno come Presidente dell’Eurogruppo nel dicembre del 2017 fu salutata da tanti come una svolta, un possibile cambio di passo rispetto al suo predecessore, l’olandese Jeroen Dijsselbloem.

Centeno, proposto dai socialdemocratici europei, sino a quel momento era stato il consigliere economico di Antonio Costa, leader del partito socialista portoghese vincitore delle elezioni portoghesi del 2015. Per l’opinione pubblica generale, quel Governo si fece portavoce di una politica anti-austerità grazie ad alcune misure “espansive” come l’aumento delle pensioni pubbliche e dei salari. Abbiamo già scritto sul Portogallo; ancora oggi in tanti citano il Portogallo come esempio di politica espansiva, dimenticando che uscì dalla procedura per deficit eccessivo riducendo per l’appunto il deficit, cioè rispettando quei vincoli fiscali che lo trasformarono in un Paese moribondo.

In questi giorni Mario Centeno ha incontrato il Ministro Tria per giocare il ruolo del negoziatore nei rapporti con l’Italia nella relazione, ormai consumata, tra il Governo italiano e Moscovici. Quello che i giornali definivano il dialogante è in realtà rimasto all’interno del frame dei Trattati europei:

È interesse di tutti che il dialogo in corso produca risultati positivi, ci sono dubbi che aleggiano sul mercato sulla strategia finanziaria dell’Italia, portata avanti con una serie di costi per lo Stato, le aziende e i cittadini… una nuova opportunità per togliere tutti i dubbi e riaffermare la fiducia di imprenditori, investitori e partner europei, elemento chiave per la crescita.

L’uomo che doveva fare la differenza all’interno di regole sbagliate non fa la differenza, ma fa rispettare le regole sbagliate.

Lo stesso Tria, che non può essere considerato di sicuro un sostenitore della finanza funzionale, è stato costretto a ribadire la netta contrarietà a rivedere al ribasso il deficit:

Per evitare questa procedura sul debito noi dovremmo fare una manovra di restrizione fiscale violentissima, andare a un deficit dello 0,8%, che per un’economia in forte rallentamento sarebbe un suicidio.

Già, un suicidio, l’atto definitivo di un moribondo la cui malattia è stata causata da ciò che gli veniva venduta come la cura. Abbiamo già elencato i motivi per cui già il preannunciato 2,4% di deficit nient’altro è che austerità; servirebbe stare ben al di sopra dei vincoli imposti dai Trattati europei.

Serve togliersi da un contesto tra cui si oscilla tra il suicidio e il coma. Ci servono spesa pubblica, investimenti, lavoro, prosperità e servizi. Ci serve il deficit.


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