La Teoria

MMP Blog #51: La Fata dell’Efficienza e il Goblin dell’Inflazione (parte 1)

MMP Blog #51: La Fata dell'Efficienza e il Goblin dell'Inflazione (1)

La principale obiezione mossa contro la MMT riguarda la convinzione che l’adozione di una Moneta fiat porti necessariamente ad un’inflazione elevata, se non all’iperinflazione. I sostenitori di questa critica, solitamente, considerano la MMT come una proposta, anche se qualcuno (come Paul Samuelson) riconosce che la MMT in realtà descrive il sistema attualmente in essere. Questo secondo gruppo teme che, se dicessimo la verità riguardo all’attuale sistema monetario, i funzionari eletti “faranno girare le presse”, generando un’elevata inflazione. Per tenere all’angolo i Goblin dell’inflazione meglio, pertanto, adottare quella che Samuelson ha descritto come l'”antica religione” delle bugie riguardo alle opzioni fiscali a disposizione di uno Stato sovrano.

A parte la paura dell’inflazione, il secondo più grande spauracchio è l’efficienza – o meglio la mancanza di efficienza. Questo si applica principalmente alla promozione del PLG da parte della MMT, ma più in generale anche alla convinzione della MMT che lo Stato possa giocare un ruolo positivo nell’economia. Si dice che lo Stato sia intrinsecamente inefficiente e, in particolare, quando impiega forza lavoro. Solo il “libero” mercato è in grado di usare le risorse “scarse” nel modo più efficiente. Qualunque cosa lo Stato faccia, è destinata ad essere meno efficiente, dunque si preferisce innanzitutto fare affidamento alle fate dell’efficienza della libera impresa. Adottare il PLG ci consegna il peggio: inflazione più elevata e minore efficienza. È meglio lasciare che le persone restino disoccupate, così che possano aiutare a combattere l’inflazione e l’inefficienza, in un esercito di riserva dei disoccupati. L’uso migliore dei disoccupati è far sì che rimangano tali.

Per le poche belle anime liberali in questo campo, la sofferenza dei disoccupati si può alleviare nel modo più efficiente: semplicemente offrendo loro un sussidio pubblico (magari sotto forma di RMG – Reddito Minimo Garantito). Il reddito più elevato viene quindi da loro speso nel “libero” mercato, che si avvale del lavoro nel modo più efficiente per produrre in modo efficiente i beni di consumo che i nostri disoccupati desiderano. Tra l’altro, qualcuno sostiene che molte persone (la maggior parte?) non vogliono realmente lavorare, quindi il RMG consente loro di scegliere di fare quello che preferiscono, mentre le fate dell’efficienza assicurano che siano disponibili tutti i gingilli che la gente vuole consumare. Grazie al RMG otteniamo un’inflazione contenuta ed un’alta efficienza, con il beneficio aggiuntivo di una vita di ozio per chiunque la desideri.

Ora, chiaramente la risposta della MMT + PLG è che la disoccupazione è essa stessa un enorme spreco della nostra risorsa più preziosa, il lavoro. La disoccupazione distrugge vite, famiglie e comunità. È nociva per la salute, fisica e mentale. Promuove il crimine, la divisione etnica e persino il terrorismo. È difficile concepire un programma PLG così male da far sì che non riduca lo spreco. Per com’è concepito, inoltre, fornendo un’ancora salariale il PLG contribuisce a stabilizzare i prezzi. Il buffer-stock di forza lavoro è molto meglio dell’esercito di riserva dei disoccupati. E la nostra idea è che la maggior delle persone vuole essere produttiva nella società – e, piaccia o no, la nostra è una società capitalistica in cui è forte l’imperativo etico a “guadagnarsi” il proprio. Ma i nostri critici non barcollano.

Prima di scavare a fondo nel tema dell’efficienza, analizziamo un paio di esempi.

Il primo, puramente ipotetico. Diciamo che ci sia una società di 150 persone, di cui 100 lavorano e 50 sono anziani a carico e giovani che non lavorano. La produzione totale dei 100 lavoratori è ripartita attraverso un qualche meccanismo (forse il mercato, forse una divisione in parti uguali) tra l’intera popolazione di 150 persone. Assumiamo per semplicità che il bene prodotto e consumato sia uno solo, chiamiamolo grano. Si fa uno studio per determinare la produttività dei lavoratori, che scopre (orrore degli orrori!) che alcuni lavoratori sono meno produttivi di altri – sulla base della quantità di grano prodotta per [ogni] ora di lavoro. Si decide di licenziare i 20 lavoratori meno produttivi al fine di aumentare l’efficienza. Ora abbiamo 80 lavoratori a produrre grano per l’intera popolazione di 150 [persone]. Poiché questi 80 erano più produttivi rispetto ai lavoratori ora disoccupati, la produzione non è calata del 20%, ma chiaramente la quantità da dividere è inferiore. Questa società sarà in grado di consumare quanto prima solo se facciamo in modo che gli 80 lavoratori “efficienti” lavorino più a lungo e più duramente. I 20 lavoratori “inefficienti”, ora, non stanno producendo nulla.

In che senso abbiamo aumentato l'”efficienza” di questa società?

Secondo, un giro dal dottore. Un paio di settimane fa ho sentito sulla NPR [1] di uno studio sulla tipica visita medica (che rispecchia abbastanza bene la mia esperienza); sfortunatamente non ricordo l’esatta statistica, ma quanto segue ci si avvicina. Il dottore chiede al paziente qualcosa del tipo: “Allora, cosa c’è che non va?” (o, nel mio caso, il mio dottore chiede sempre: “Allora, cos’è che ti preoccupa?”). Il dottore ascolta in media 9 secondi, poi interviene con una prognosi. Il tempo per cui il dottore è disposto ad ascoltare prima di intervenire si è ridotto nel corso degli anni, presumibilmente man mano che gli assicuratori sanitari hanno fatto pressione sui dottori per incrementare la velocità di trattamento ed aumentato molto la quantità di documentazione richiesta ai medici. In altri termini, nel nome dell’efficienza. Le fate dell’efficienza sono al lavoro nello studio del dottore per eliminare tutto quel tempo sprecato a creare una relazione medico-paziente.

La stessa cosa sta succedendo nei campus universitari, ovviamente. I professori riducono il numero di ore di ricevimento – o le saltano del tutto – e mandano gli studenti dagli assistenti, molto più economici, visto che le fate dell’efficienza sono al lavoro per riservare più tempo alla facoltà, spenderlo a compilare tutte la documentazione richiesta da un fiorente staff amministrativo che non ha niente di meglio da fare che inventarsi altre scartoffie da produrre.

Se ci pensate, una porzione sempre più significativa della nostra forza lavoro è impiegata nei servizi “assistenziali” e le fate dell’efficienza, nel nome dell’aumento della produttività, stanno provando a ridurre la quantità di assistenza offerta. Misurata come?

Ogni volta che sento un economista (di solito è un lui, come spiegherò più avanti) pronunciare la parola “efficienza” (o “produttività”) posso azzardare, con un margine di accuratezza prossimo al 100%, che non ha la benché minima idea di ciò di cui sta parlando. Salvo rare eccezioni, sta applicando in modo inappropriato un termine ingegneristico ad un processo economico che non comprende.

Torniamo al nostro modellino del grano. Se il lavoratore medio produce 10 stai di grano in una giornata di 10 ore [lavorative], possiamo misurare la produttività come numero di stai per ora di lavoro impiegata. È abbastanza semplice, ed è una misura significativa. Ha senso provare ad aumentare la produttività media – per incrementare l’efficienza dell’uso dell’ora di lavoro in modo da ottenere, diciamo, due stai per ogni ora di lavoro impiegato. A parità di tutte le altre condizioni, è qualcosa di desiderabile.

Ma se il solo modo per ottenere l’aumento dell’efficienza del lavoro è tagliare tutti gli alberi, inquinare l’acqua e distruggere il paesaggio, allora potremmo aspettare un attimo prima di concludere che davvero si tratti di un aumento della produttività. Certo, ogni ora di lavoro dedicata al processo produttivo garantisce una quantità maggiore di grano, ma non si tratta di una buona misura della produttività se coinvolge anche alberi ed acqua; inoltre, se il paesaggio ci sta a cuore, abbiamo misurato in modo errato anche il consumo.

(Ovviamente esiste un intero ramo dell’economia che guarda ai costi ed ai benefici “esterni”, e sostiene che è necessario aiutare le nostre fate dell’efficienza “dando un prezzo” a pro e contro. Anche se si tratta di un passo avanti rispetto all’economia convenzionale che ignora l’ambiente, credo ci sia ancora molto che non va – ma questo non è argomento per oggi)

Persino nel nostro modellino del grano, quindi, incappiamo in problemi nell’utilizzare i concetti ingegneristici di produttività ed efficienza. Ma il mondo reale è infinitamente più complesso, ed il modello del grano è assolutamente fuorviante in termini di descrizione della produzione capitalistica persino a prescindere dalla grande complessità. Primo, la produzione è di solito [un fenomeno] fortemente sociale, il risultato di processi integrati che coinvolgono decine o centinaia di lavoratori che realizzano prodotti multipli impiegando la produzione di altre decine o centinaia di lavoratori. Come diceva Sraffa, abbiamo un sistema di produzione di merci tramite merci, ciascuna delle quali è stata prodotta dal lavoro sociale. E di certo è anche più complesso di così, perché il lavoro (o, più tecnicamente, la forza lavoro) è in sé una merce prodotta tramite merci.

Pensate ad un’operaia che in fabbrica lavori alla sua macchina che produce congegni. Mettetela in cima ad una piramide di persone che hanno funzione di supporto. Ha un dottore, un’infrastruttura ospedaliera ed uno staff che la mantengono abbastanza in salute da continuare a lavorare. Contabili con un team di assistenti [che] gestiscono le sue finanze e fanno i conti affinché il 15 aprile possa pagare le tasse. Ha un asilo che le tiene il figlio più piccolo lontano dalle strade, così che lei possa lavorare; ed un intero sistema scolastico pubblico per formare i figli più grandi, dall’età di 6 fino a 22 o 28 anni, cosicché [anche loro] possano entrare a far parte della forza lavoro in futuro. E ci sono imprese di costruzioni che costruiscono per lei i centri commerciali e le strade che la portano da casa al lavoro e a fare shopping. Una flotta di aerei di linea la attende, pronta per farla volare verso un luogo soleggiato, dove bagnini e cameriere preparano tutto per le sue vacanze. Servono migliaia di lavoratrici e di colletti bianchi per far sì che quella lavoratrice stia al suo posto di lavoro. E, naturalmente, per produrre gingilli con la sua macchina, lei userà merci prodotte da lavoratori agricoli e manifatturieri.

Che senso ha misurare la sua produttività ignorando contemporaneamente tutti questi apporti? Come possiamo dire, in un qualche senso, che ha “prodotto” un dato numero di gingilli per ora di lavoro?

Inoltre, e questo è il punto più importante, i gingilli che escono dalla sua macchina non sono ancora merci. Diventano merci solo quando sono scambiati con ITD denominati in Moneta. Questo sarà l’argomento del blog finale, il numero 52, dunque in questa sede non mi addentrerò nei dettagli. Ma non solo è enorme lo staff responsabile di far sì che quei gingilli siano venduti, ma – ai fini dell’analisi economica – non ha neanche senso misurare la sua produttività in termini di numero di gingilli. Gli economisti, in altri termini, non solo fraintendono il concetto ingegneristico di efficienza, lo applicano anche in maniera errata. Nella nostra “economia monetaria di produzione” (anche noto come “capitalismo”), ciò che conta sono gli ingressi monetari e le uscite monetarie: quanta Moneta ha all’inizio il/la capitalista e quanta alla fine?

Quelle fate dell’efficienza di mercato non potrebbero curarsi meno dei gingilli – quello che interessa loro è la Moneta.

Il capitalista usa la fabbrica di gingilli non per realizzare gingilli, ma per fare profitti monetari. Può aumentare i profitti in diversi modi: pagare di meno i suoi lavoratori; pagare di meno i suoi fornitori; far pagare di più ai suoi consumatori; far lavorare i suoi lavoratori più duramente; sostituire i lavoratori “meno efficienti” con altri “più produttivi”. Nei processi produttivi del mondo reale – come discusso in precedenza – è difficile, se non impossibile, assegnare ai singoli lavoratori misure di produttività. Inoltre, i lavoratori hanno una natura sociale, un gran numero di modi in cui approcciare il processo lavorativo. Persino gli economisti mainstream l’hanno infine riconosciuto, dato che hanno introdotto i concetti di “salari di efficienza” (sorpresa, sorpresa: se i lavoratori li paghi di più, lavorano più duramente e in modo più brillante!), di “imboscamento” (lavorare al di sotto delle capacità in posti di lavoro a basso salario o per altri motivi non desiderabili) e di cooperazione “insider/outsider” (i lavoratori iscritti ad un sindacato non collaboreranno con i crumiri).

Lavoratori più felici sono migliori nel lavoro in team, riducendo i costi di produzione, anche se sono pagati di più. L’ambiente lavorativo conta.

 

Note del Traduttore

1.^ NPR: National Public Radio, un’organizzazione indipendente non-profit che comprende oltre 900 stazioni radio statunitensi; fonte: Wikipedia.org

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Originale pubblicato il 17 giugno 2012

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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