A proposito del DEF 2018
Nella giornata del 19/06/2018 il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha illustrato alla Camera la risoluzione di maggioranza relativa al Documento di Economia e Finanze 2018.
I punti principali dell’intervento di Tria non suggeriscono per ora, nell’immediata azione di governo, alcun cambio di direzione rispetto alla linea fino ad oggi seguita dai suoi predecessori e dai precedenti esecutivi. È sottolineato il proposito di introdurre qualsiasi nuova misura “nel rispetto dei saldi di bilancio“, con interventi “adeguatamente coperti“, il “pareggio di bilancio nel 2020“, il “consolidamento di bilancio come imprescindibile per preservare la fiducia dei mercati“.
Parallelamente il Ministro Tria dichiara l’intenzione di promuovere in sede europea la riclassificazione della “spesa per investimenti diversamente dalla spesa corrente anche ai fini degli obiettivi di indebitamento“, ovvero l’idea del non computo degli investimenti pubblici ai fini della determinazione del deficit.
Non è stata manifestata alcuna intenzione di forzare il quadro regolatorio della governance dell’eurozona, fondato sull’austerità e sul soffocamento della domanda interna. L’unica opzione di ampliamento della spesa, previsto in risposta all’insufficiente domanda aggregata che causa gli attuali tre milioni di disoccupati, è posticipata a un indeterminato futuro in cui sarà discusso (forse) lo scorporo degli investimenti dal deficit. Nessun impegno netto e forte, neanche in linea di principio, verso la piena occupazione o, quanto meno, una riduzione significativa dell’attuale disoccupazione.
Come quindi prevedibile i propositi enunciati da Tria hanno incamerato la pronta approvazione dei guardiani dell’austerity come Elsa Fornero, che ha commentato equiparando lo Stato alla “famiglia che deve far quadrare i conti”, rimarcando una volta in più come le politiche economiche allineate con i principi guida dell’eurozona siano fondate sulla falsa analogia Stato = famiglia.
Alla credenza in questa falsa analogia non viene quindi meno, per ora, neanche il nuovo Governo, espressione di una maggioranza che muoveva da presunte e dichiarate posizioni di critica all’austerità alla governance eurozona e che sembra oggi approdare rapidamente su posizioni montiane.
Se il buongiorno si vede dal mattino questo non sembra affatto un buongiorno.
Non è stata manifestata alcuna intenzione di forzare il quadro regolatorio della governance dell’eurozona, fondato sull’austerità e sul soffocamento della domanda interna.
Articolo pubblicato sul numero di luglio 2018 della rivista Bergamo Economia Magazine