L'Editoriale

Se non è il Quarto Reich poco ci manca

Il vertice di Bratislava si è chiuso con un nulla di fatto, com’era prevedibile. Resta confermato che i Paesi del Sud Europa non possono uscire dalla gabbia dell’austerità. Perché? Perché si vuole che sia così. Renzi ha manifestato apertamente il proprio disappunto verso la Germania, che non rispetta i limiti imposti dai Trattati sul disavanzo della bilancia commerciale e, al contempo, è inflessibile nella pretesa che gli altri rispettino i vincoli del rapporto deficit/PIL. Ma è inutile aspettarsi che la Germania cambi idea. Si tratta di un progetto, non di un errore, come scrivemmo nel luglio del 2015 in questo articolo che riproponiamo.

(la Redazione)


Il cancellierato della Merkel è stato definito, in un recente e noto saggio, il Quarto Reich. Ad onor del vero quello che poteva sembrare un mero titolo ad effetto, il Quarto Reich appunto, assume sempre di più i contorni di un’amara realtà. L’intransigenza tedesca nel non allentare la politica del rigore, nemmeno dinanzi alla tragedia greca, è solo l’ultimo di una serie di passaggi che dimostrano come la Germania abbia deciso di imporre, ad ogni costo, il proprio credo in Europa.

Ripercorriamo alcune vicende. I vincoli di Maastricht sono di chiara ispirazione tedesca. La Germania ne pretende il rispetto ma, per usare un eufemismo, ha giocato sporco. La governance sull’euro ha portato la cosiddetta moneta unica ad operare in realtà come un ibrido tra moneta unica e sistema di cambi fissi. Ciò ha favorito finanziariamente la Germania, votata peraltro da sempre ad un tenace mercantilismo. I surplus commerciali con l’estero le hanno consentito di incamerare flussi finanziari tali da poter sostenere bassi livelli di deficit pubblico, senza che ne conseguisse un rafforzamento della propria valuta che avrebbe poi portato a un riequilibrio delle posizioni verso i sistemi economici esteri.

La proibizione alla spesa netta prevista nei trattati istitutivi per il monopolista della valuta (la Bce) e i contestuali vincoli fiscali imposti sugli Stati membri hanno determinato l’assenza di una spesa in deficit destinata alle aree in cui fosse necessaria. Inoltre l’assenza di un debito pubblico comunitario ha consentito alla Germania di non sostenere, in termini di indebitamento in valuta straniera (tale l’euro è per i Paesi che lo utilizzano), le conseguenze del deficit pubblico generato dagli altri Stati quando questo è stato ritenuto “insostenibile” dalle forze di mercato. Tali deficit, anzi, hanno inizialmente ed in parte sostenuto la domanda estera di beni tedeschi resi più competitivi, in termini di prezzo, proprio dalla struttura dell’euro.

Detto ciò la Merkel e Schauble fanno la morale a mezza Europa pretendendo il rispetto di quelle regole che, incardinate nella struttura dell’eurozona, hanno sin dal loro nascere finanziariamente favorito il proprio Paese. Dalle parti del nostro codice civile questo si chiama ingiustificato arricchimento, nel diritto internazionale, invece, ciò viene politicamente ammesso nonostante la stessa Germania, in base a precise norme comunitarie, avrebbe dovuto limitare i surplus commerciali con il resto dei Paesi europei ed invece non ha esitato a sforare ripetutamente i previsti limiti. Come dire: quando conviene alla Germania le norme si rispettano, quando no si può fare a meno di osservarle.

Ben s’intenda, i benefici e le convenienze cui si è fatto cenno sono di natura esclusivamente finanziaria. La politica mercantilistica tedesca ha trasferito ricchezza reale fuori dai suoi confini nazionali e ciò, comunque, come già sottolineato dallo scrivente qui, rappresenta di per sé un danno economico, tuttavia in questa particolare fase, dagli ampi risvolti geopolitici, è utile non sottacere le dinamiche che hanno permesso alla Germania di creare le condizioni per fare la voce grossa e screditare sino all’umiliazione diversi altri Stati.

Detto ciò è corretto dire che la MMT viene sempre al pettine. Anche la Germania, infatti, per sostenere nel tempo l’export ha dovuto ricorrere, attraverso i mini jobs, ad una forma di svalutazione salariale che ha inevitabilmente compresso la domanda interna. Altresì l’adozione ed il mantenimento di una politica fiscale restrittiva impedisce alla stessa Germania di realizzare la piena occupazione (attualmente il tasso di disoccupazione generale sfiora il 5%).

Ciò non sembra interessare alle massime istituzioni tedesche rigorosamente orientate a reprimere, impoverire ed umiliare ogni popolo non considerato ariano, anche a costo di sacrificare il benessere del proprio.


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