La settimana scorsa abbiamo iniziato ad analizzare la formulazione della politica fiscale e di quella monetaria da parte di uno Stato che emette la propria valuta. Abbiamo scorso una lista di affermazioni false sulla spesa di uno Stato sovrano, e offerto una lista di affermazioni generali che invece vi si applicano. Iniziamo ora ad esaminare in maggior dettaglio il bilancio dello Stato e gli effetti [che può avere] sul settore privato. Questa settimana esamineremo la relazione tra deficit di bilancio e risparmio, e gli effetti dei deficit di bilancio su riserve bancarie e tassi d’interesse.
Deficit di bilancio e risparmio. Ricordiamo, da precedenti discussioni nel Primer, che è la spesa a deficit di un settore a generare il surplus (o risparmio) di un altro; questo perché gli agenti del settore in deficit possono in qualche modo scegliere di spendere più dei propri redditi, invece gli agenti in surplus possono decidere di spendere meno dei propri redditi solo se quei redditi vengono effettivamente generati. In termini Keynesiani, questa è semplicemente un’altra versione delle affermazioni gemelle “la spesa genera il reddito” e “gli investimenti generano i risparmi”. In questo caso, però, l’affermazione è che il deficit del settore pubblico genera il surplus (o risparmio) del settore privato.
Ovviamente ciò inverte la sequenza causale ortodossa, perché il deficit pubblico “finanzia” il risparmio privato, nel senso che la spesa a deficit dello Stato genera il reddito che consente al settore privato di realizzare un surplus. Considerando le variabili stock, è l’emissione di ITD da parte dello Stato che consente al settore privato di accumulare crediti finanziari nei confronti di quest’ultimo.
Anche se tutto ciò sembra misterioso, i processi finanziari non sono difficili da comprendere. Lo Stato spende (acquistando beni e servizi o realizzando “trasferimenti”, sotto forma di previdenza sociale e sussidi pubblici) accreditando i conti bancari dei beneficiari; questo comporta anche un accredito alle riserve delle loro banche presso la Banca Centrale. Lo Stato tassa addebitando i conti dei contribuenti (e la Banca Centrale addebita le riserve delle loro banche).
La spesa a deficit nell’arco di un certo periodo (diciamo un anno) implica che sono stati accreditati più conti bancari di quanti ne siano stati addebitati. Il settore privato inizialmente realizza il suo surplus sotto forma di questi accrediti netti su conti bancari.
Tutta questa analisi è invertita nel caso di un surplus dello Stato: per il settore privato, il surplus pubblico significa incorrere in un deficit, con addebito netto dei conti bancari (e delle riserve). La distruzione (addebito netto) di asset finanziari netti del settore privato è chiaramente pari al surplus del bilancio pubblico.
Effetti dei deficit di bilancio su riserve e tassi d’interesse. I deficit di bilancio inizialmente incrementano della stessa quantità le riserve bancarie. Questo avviene perché la spesa del Tesoro porta, simultaneamente, ad un accredito sul conto di deposito del beneficiario presso la banca e sul conto di riserva della banca presso la Banca Centrale.
Per prima cosa esaminiamo un sistema come quello che è esistito negli Stati Uniti fino a poco tempo fa, in cui la Banca Centrale non paga interessi sulle riserve. La spesa a deficit che crea riserve bancarie porta (alla fine) ad un eccesso di riserve — le banche deterranno più riserve di quante ne desiderino. La loro risposta immediata sarà quella di offrire riserve in prestito sul mercato interbancario dei prestiti overnight (il mercato dei fondi federali, negli USA).
Se il sistema bancario nel suo complesso ha un eccesso di riserve, l’offerta di riserve non avrà risposta al tasso di prestito interbancario overnight corrente (spesso chiamato tasso bancario, ma negli USA viene detto tasso dei fondi federali). Pertanto le banche con posizioni di eccesso di riserve le offriranno a tassi d’interesse sempre più bassi. Questo spinge il tasso effettivo “di mercato” ad un livello inferiore rispetto a quello del tasso target sui fondi overnight deciso dalla Banca Centrale.
Una volta che il tasso è sceso ad un livello sufficientemente inferiore a quello del target, la Banca Centrale interverrà rimuovendo le riserve in eccesso. Siccome la domanda di riserve è piuttosto anelastica rispetto al tasso d’interesse, ridurre il tasso di prestito non aumenterà di molto la quantità della domanda di riserve. In altre parole, è difficile eliminare una posizione di eccesso di riserve a livello sistemico riducendo il tasso overnight. È invece la Banca Centrale a doverle rimuovere.
Il modo in cui lo fa è vendendo Titoli di Stato dal suo stock. Quest’operazione è chiamata vendita sul mercato aperto (OMS [Open Market Sale, NdT]). Una OMS porta alla sostituzione delle riserve in eccesso con Titoli: vengono addebitate sia le passività della Banca Centrale (riserve) che le riserve della banca acquirente. Allo stesso tempo, viene addebitato il portafoglio di Titoli di Stato della Banca Centrale, e gli asset della banca aumentano di un importo pari alla quantità di Titoli acquistati.
A tutti gli effetti si tratta solo di una sostituzione di asset, poiché le riserve della banca diminuiscono di un ammontare pari all’aumento del suo portafoglio di Titoli del Tesoro. Tuttavia, essa detiene ora un credito nei confronti del Tesoro (Titoli) anziché uno nei confronti della Banca Centrale (riserve); e la Banca Centrale possiede una quantità inferiore di asset (Titoli), ma anche meno passività (riserve). La banca è felice perché ora riceve un interesse sui Titoli.
È facile capire che lo stesso processo verrebbe innescato anche se la Banca Centrale pagasse un interesse sulle riserve — come ora avviene negli Stati Uniti. Una volta che le banche hanno accumulato tutte le riserve che desiderano, esse cercheranno di sostituirle con Titoli del Tesoro, che fruttano maggiori interessi. Non spingeranno il tasso overnight al di sotto del “tasso di sostegno” della Banca Centrale (quello che essa paga sulle riserve) — poiché nessuna banca presterebbe ad un’altra ad un tasso inferiore a quello che può ricevere dalla Banca Centrale. Invece le banche con riserve in eccesso andranno immediatamente sul mercato dei Titoli di Stato in cerca di un maggior profitto.
L’effetto, quindi, sarà quello di spingere ad una diminuzione dei tassi dei Titoli di Stato. In questo secondo caso, la Banca Centrale non deve fare nulla — non ha necessità di vendere Titoli, poiché mantiene il suo tasso d’interesse overnight pagando un interesse sulle riserve.
Nella pratica, una Banca Centrale che adotta questa seconda procedura, paga solitamente un tasso d’interesse sulle riserve leggermente più basso di quello che chiede per concederle in prestito. Come discusso in precedenza, negli USA la Banca Centrale presta [tramite lo strumento della] “finestra di sconto” e al “tasso di sconto”. Potrebbe chiedere sul suo prestito 25 punti base (0,25%) in più rispetto a quanto paga sulle riserve. Per esempio potrebbe chiedere il 2% sui prestiti, e pagare l’1,75% sulle riserve. Il tasso d’interesse “di mercato” sui prestiti interbancari rimarrà approssimativamente all’interno di questo range, dato che una banca che necessita di riserve ha la possibilità di prenderle in prestito dalla Banca Centrale al 2%, mentre una banca con riserve in eccesso potrebbe guadagnare un 1,75% semplicemente tenendole presso la Banca Centrale.
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Originale pubblicato il 9 ottobre 2011
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo