L'Editoriale

Morto un patto se ne fa un altro

Morto un patto se ne fa un altro
Una revisione gattopardesca del Patto di Stabilità, più che un’ammissione di colpa e un dietrofront, arriva dall’ultimo rapporto annuale dell’European Fiscal Board (EFB), l’organo della Commissione Europea deputato a monitorare le finanze pubbliche e il rispetto delle regole di bilancio da parte degli Stati aderenti.

Nonostante l’evidente fallimento delle politiche di contenimento della spesa in deficit – peraltro previsto in tempi non sospetti dagli economisti della MMT – e gli effetti nefasti che ne derivano per l’economia (e soprattutto per le imprese), i tecnici di Bruxelles non intendono arretrare. Promettono di superare il patto di stabilità e [de]crescita, mantenendo però inalterata la sostanza. È quanto emerge dall’ultimo report uscito ad ottobre di quest’anno, in cui si auspica di conservare in maniera semplificata il quadro fiscale già esistente, suggerendo di differenziare gli obiettivi di debito tra i Paesi e la velocità nel percorso di aggiustamento.

Un’importante novità contenuta nella proposta riguarda un bilancio centrale comune permanete, finanziato in parte sui mercati e in parte con i contributi dei singoli Stati.

Niente più sanzioni per chi non rispetta le regole di contenimento della spesa pubblica. Verrà infatti attivato un nuovo meccanismo che consiste nel rifiutare direttamente agli Stati l’accesso ai finanziamenti del bilancio comune qualora non rispettassero le regole. Questo si tramuterà in un’ingerenza ancora maggiore da parte dei tecnocrati europei sulle decisioni nazionali e ridurrà ulteriormente il margine di discrezionalità degli Stati. Ubi maior minor cessat.

Se da una parte si ridurrà ulteriormente lo spazio decisionale dei singoli Stati, dall’altra il bilancio comune non sarà accompagnato da alcuna mutualizzazione del debito pubblico. Ogni Stato continuerà a provvedere per sé.

L’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 aveva portato Bruxelles a una sospensione del Patto di Stabilità per permettere agli Stati di poter intervenire, spendendo liberamente, per far fronte alla grave crisi economica.

Nonostante questo, forse intimoriti da un futuro obbligo di rientro del debito, diversi Paesi, in particolare l’Italia, non hanno approfittato dell’occasione e non sono intervenuti in maniera incisiva per sostenere la domanda aggregata interna ed evitare il fallimento di tante realtà aziendali.

Ad oggi, secondo una stima di Confesercenti, si contano oltre 90˙000 imprese fallite e altre 600˙000 in bilico. La causa non è certo il coronavirus, ma precise scelte politiche adottate in un momento reso solo più drammatico dal virus.

A marzo molti osservatori speravano che la sospensione dei parametri europei (peraltro privi di fondamento scientifico) si tramutasse in un decisivo cambio di rotta. Così non è stato.

A pag. 85 del documento, nel paragrafo “Ripensando alle regole fiscali dell’UE”, si chiariscono gli intenti: « Il patto di stabilità e crescita molto probabilmente dovrà essere adattato in termini di attuazione o legislazione, o entrambi, per riflettere le nuove circostanze. Tuttavia, deve rimanere un pilastro nella definizione della politica economica a livello europeo ».

La cura non funziona, il paziente muore e l’obiettivo è raggiunto.

 

Articolo pubblicato sul numero di ottobre 2020 della rivista Bergamo Economia Magazine


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