Principio n. 7: Non c’è un “effetto liquidità” associato alle variazioni del target operativo della Banca Centrale.
C’è un’ampia letteratura sull’espressione “effetto liquidità”, che più recentemente focalizza [l’attenzione] sull’identificazione – a frequenza giornaliera – degli effetti sul tasso d’interesse degli “shocks” relativi alla quantità delle riserve, se ci sono.
L’uso del termine in questa sede, comunque, si riferisce all’utilizzo delle operazioni di mercato aperto, quando la Banca Centrale varia il suo tasso target per alterare – in modo più o meno permanente – [il livello di] equilibrio domanda-offerta di riserve (almeno fino a che non interviene la variazione successiva del target) nel mercato overnight, al fine di generare la variazione desiderata nel tasso target.
L’effetto liquidità – come definito qui – è la procedura per il cambiamento del tasso target, generalmente supposta dalla maggior parte degli economisti e dei libri di testo. In realtà, comunque, una buona quantità di ricerca empirica recente – in generale – ha concluso che in pratica non c’è un tale effetto liquidità (e.g., Thornton 2006, 2007a, 2007b; Demiralp and Jorda 2002).
La mancanza di una prova evidente ha condotto molti a suggerire che c’è, invece, “un effetto annuncio” che agisce quando la Banca Centrale varia il suo tasso target; cioè, le Banche Centrali annunciano semplicemente un nuovo tasso target, piuttosto che realizzare effettive operazioni per attuare la variazione (e.g., Guthrie and Wright 2000, Demiralp and Jorda 2002).
La comprensione delle operazioni delle moderne Banche Centrali delineata nei principi precedenti rende chiaro che non c’è un effetto liquidità associato alle variazioni nel tasso target. Come afferma Sandra Krieger (capo della gestione delle riserve domestiche e delle operazioni di sconto alla Fed di New York)
L’approccio convenzionale del libro di testo è che l’Ufficio Commerciale compra e vende titoli in risposta a momenti di espansione e a momenti di restrizione (i. e., l’effetto liquidità).
Dal punto di vista dell’Ufficio [Commerciale], comunque, l’equilibrio domanda-offerta è soprattutto una funzione della domanda di riserve obbligatorie, che è quasi completamente insensibile a piccoli cambiamenti nella policy. Di conseguenza, qualsiasi cambiamento nel target non ha effetto sull’eccesso di offerta o di domanda nel mercato dei fondi. (Krieger 2002, 74)
Poiché non c’è cambiamento nell’equilibrio domanda-offerta di riserve con una variazione del tasso target, non c’è bisogno di operazioni di mercato aperto collegate a un effetto liquidità, come definito qui. Nel caso della Fed – mentre essa potrebbe variare temporaneamente la quantità di saldi al fine di “segnalare” un nuovo tasso ai traders o per “stimolare” il tasso quando i trader non agiscono fino a che non si raggiunga il nuovo livello abbastanza velocemente – qualsiasi variazione che non sia coerente con la domanda di riserve data – a differenza di un effetto liquidità – è necessariamente trasferita successivamente, nel periodo di mantenimento (Krieger 2002, 74).
In realtà, questa è stata la procedura operativa che la Fed ha adottato prima del 1994 – periodo dopo il quale ha cominciato ad annunciare pubblicamente le variazioni del target – il che probabilmente spiega l’evidenza empirica, che alcuni hanno scoperto, delle operazioni di mercato aperto associate alle variazioni del target nel periodo precedente; si noti, comunque che, coerentemente con i “segnali” o gli “stimoli”, nessuno ha trovato evidenza empirica di una variazione nell’equilibrio domanda-offerta nel mercato dei fondi federali relativa a una variazione del tasso target precedente o a partire dal 1994.
L’errata convinzione che la Banca Centrale alteri la quantità di saldi in circolazione al fine di far variare il tasso target implica erroneamente che le banche possano “fare” qualcosa con le riserve addizionali nel momento in cui esse vengono rese disponibili, come con il modello del moltiplicatore della moneta. Di nuovo, comunque, dal Principio 1, i prestiti creano i depositi e quindi le riserve non mettono a disposizione “fondi” addizionali per espandere la quantità dei debiti bancari.
Come con i principi precedenti, la variazione permanente della quantità di riserve in circolazione spedirebbe semplicemente il tasso overnight [fino] al [livello] del tasso di penalizzazione della Banca Centrale o al [livello del] tasso pagato sulle riserve se la variazione nella quantità offerta non fosse compatibile con la quantità che le banche desiderano per saldare i pagamenti e soddisfare [i parametri di] riserva obbligatoria.
Ancora, per quanto ci sia evidenza di una storica correlazione negativa – nel corso di diverse settimane – tra le riserve detenute e i tassi d’interesse associati alle riserve obbligatorie, persino quando la domanda di riserve per il periodo di mantenimento corrente è molto inelastica rispetto al tasso d’interesse – la causa è il ben noto passaggio da cambiamenti nel tasso d’interesse a variazioni nelle attività fruttifere di interessi detenute dal pubblico rispetto a quelle non fruttifere, cosa che – di nuovo – non ha nulla a che fare con l’effetto liquidità qui definito.
Naturalmente, questo punto è tanto più valido dove la domanda di riserve è dovuta per la maggior parte o persino totalmente al saldo dei pagamenti che – di nuovo – mostra un [livello di] inelasticità ancora maggiore rispetto al tasso d’interesse. In questo caso, è chiaramente inutile tentare di aggiungere o sottrarre le riserve per variare il tasso d’interesse target, poiché le banche desiderano solo la quantità [di riserve, ndt] necessaria a saldare i pagamenti della giornata.
Ricordando il caso del Canada – dove non ci sono riserve detenute nel sistema overnight – mettere a disposizione delle banche in aggregato qualsiasi quantità di saldi netti superiore a zero spedirebbe il tasso overnight al [livello del] tasso di penalizzazione della Banca del Canada o al [livello del] tasso pagato sulle riserve.
Invece di un effetto liquidità, allora, le Banche Centrali possono semplicemente annunciare le variazioni del tasso. Questo è ovvio quando si considera il un corridoio tattico che lascia uno stretto range tra il tasso di penalizzazione della banca e il tasso pagato sulle riserve; in questo caso, la Banca Centrale può semplicemente annunciare un nuovo corridoio e il tasso target sarebbe necessariamente raggiunto all’interno del nuovo range.
Il punto è allo stesso modo ovvio quando si considerano procedure alternative disponibili per le Banche Centrali, come stabilire un tasso target uguale al tasso pagato sulle riserve lasciando che un eccesso sostanziale di riserve in circolazione (come raccomandato da Fullwiler, Lacker, and Whitesell nel Principio 6) o restringendo il corridoio oltre o vicino allo zero (come propongono Mosler e Goodhart nel Principio 6).
Paper originale pubblicato il 1 giugno 2008
Traduzione a cura di Maria Consiglia Di Fonzo