Approfondimento

Jeremy Corbyn e il QE per la gente, non per le banche

Dopo Tzipras è la volta di Corbyn. Il nuovo leader del partito laburista inglese, Jeremy Corbyn, che il 12 settembre si è aggiudicato quasi il 60% delle preferenze alle primarie per la scelta dei candidati dei rispettivi schieramenti politici, sembra essere diventato il nuovo modello da seguire per la sinistra italiana. Il suo programma, infatti, sembra richiamare quello spirito “socialista” che si era perso nei meandri della Storia. Ma analizziamo nel dettaglio la sua politica economica, denominata Corbynomics.

Nel manifesto di economia “The Economy in 2020” parla di abbandonare le politiche di austerità e rinnovare l’intervento pubblico in economia. Fra gli obiettivi da perseguire vi sono: la rinazionalizzazione delle principali utility, quindi il riacquisto della proprietà delle ferrovie, delle poste e dell’energia elettrica da parte dello Stato, attraverso un piano con cui il governo acquisisce partecipazioni di controllo. Infine ritiene sia necessario un assetto più moderno dell’organizzazione del lavoro con un ruolo più incisivo dei lavoratori nei processi produttivi. E la Banca d’Inghilterra dovrebbe investire in nuove abitazioni su larga scala, nell’energia, nei trasporti pubblici e nei progetti digitali.

Al centro c’è il precetto che si debba creare un’economia equilibrata che garantisca ai lavoratori e al governo una quota abbastanza ampia nel processo di creazione di ricchezza, che incoraggi, sostenga l’innovazione in tutti i settori dell’economia e che investa in competenze e infrastrutture per costruire una economia che sia più sostenibile e più equa.

Lo strumento attraverso cui si dovrebbero raggiungere questi obiettivi è, secondo Corbyn, il QE. Non il classico Quantitative Easing per le banche, ma un Quantitative Easing un po’ diverso: per la gente, per il popolo.

Tutti obiettivi ambiziosi, resta da capire se siano realmente perseguibili attraverso il QE.

Come funziona il QE? Lo abbiamo spiegato più e più volte.

Quali sono le ripercussioni sull’economia reale? Nessuna, l’unico effetto che ne consegue è il venir meno del reddito da interesse.

Richard Murphy, l’economista a cui si ispira Corbyn, spiega il funzionamento del “People’s QE“: il debito da acquistare da parte della Banca d’Inghilterra potrebbe essere rilasciato da una nuova banca di investimento di proprietà statale, creata ad hoc, il cui ruolo sarebbe quello di finanziare l’edilizia, i trasporti, e così via. Quindi la Banca Centrale dovrebbe acquistare nuovo debito emesso da società energetiche o di trasporto, presumibilmente di proprietà dello Stato.

Questo meccanismo dovrebbe servire anche ad evitare un aumento del deficit pubblico. Infatti non si avrebbero deficit pubblici netti perché gli investimenti in tal senso sarebbero legati alla redditività e ad un ritorno di profitto, dovendo la presunta banca di investimento finanziare lo Stato per mezzo di prestiti. Il che ovviamente rappresenterebbe un vincolo non di poco conto.

Quello che sfugge a Corbyn, e probabilmente al suo mentore Murphy, è inoltre che col QE verrebbero incrementate le riserve, ma le riserve circolano solo a livello interbancario, non possono essere utilizzate per finanziare qualcosa. L’unico modo con cui lo Stato può realmente intervenire in economia è attraverso una politica fiscale di aumento della spesa pubblica e/o riduzione della pressione fiscale, non attraverso una politica monetaria.

Ma siccome in tempi in cui ci si genuflette di fronte al “dio dell’austerità” non si può parlare di aumento della spesa a deficit (quando lo Stato spende più di quanto incassa con i tributi), ecco allora che si inventa un QE per la gente: alla parola QE si affianca la parola “popolo”, che suona un po’ più di sinistra.

Oltre al “People’s QE“, Mr. Corbyn propone un aumento della pressione fiscale per i “i più ricchi” (il “tax and spend”) e una lotta all’evasione fiscale con l’intento di utilizzare le maggiori entrate per finanziare la spesa pubblica. Nulla di diverso, insomma, rispetto al programma degli altri partiti europei e alle politiche che già si stanno attuando in Europa, Italia compresa. Le tasse non finanziano la spesa in un Paese che ha la sovranità monetaria, in quanto lo Stato prima spende e solo in una fase successiva riscuote i tributi. Così facendo non ci sarà nessun reale intervento pubblico in economia e l’aumento della pressione fiscale va esattamente nella direzione di voler continuare con le politiche di austerità. Ancora e ancora.

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