L'Editoriale

Il foie gras avariato sotto il grasso d’anatra

Il foie gras avariato sotto il grasso d'anatraIl foie gras avariato sotto il grasso d'anatra

Nei post sui social il commento tecnico si intreccia al commento personale e questo spesso rende più facile dare attenzione a un fatto commentato, sia esso economico o politico. Pubblichiamo un post di Marcello Spanò, docente del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi dell’Insubria. Spanò commenta la proposta di Matteo Renzi di chiedere alla UE il via libera al ritorno per almeno cinque anni ai criteri di Maastricht, con il deficit al 2,9%.

(la Redazione)


La visione sull’Europa di Matteo Renzi è spiegata, a grandi linee, su un articolo da lui scritto sul Sole 24 Ore. Come sempre, va sgrossata di una piccola dose di retorica che riveste la sostanza come uno strato di grasso di anatra riveste il foie gras.

Se uno si ferma al grasso d’anatra, la visione è quasi condivisibile: accusa l’Europa di aver perso lo spirito di Ventotene e di essersi irrigidita su un patto, il Fiscal Compact, che si è dimostrato inefficace, controproducente e sbagliato; auspica un rovesciamento delle politiche economiche continentali in funzione della crescita, e non in funzione del rigore fine a se stesso.

Se si gratta, però, sotto lo strato di grasso, si arriva al contenuto “commestibile”, il foie gras, e questo lascia un po’ perplessi. La proposta è, udite udite, tornare al trattato di Maastricht. Cioè il babbo del Fiscal Compact. Cioè quel patto che lo stesso padre fondatore del PD, Romano Prodi, aveva definito stupido perché rigido. E perché bisognerebbe tornare al trattato di Maastricht? Semplice: perché era meno rigido del Fiscal Compact, infatti consentiva un deficit pubblico che oggi è considerato da brivido: fino al 3% del Pil. Da ubriacarsi tutte le sere!

E Renzi accenna anche a come, secondo lui, andrebbe utilizzato quel 3% di deficit. Semplice: interamente in riduzione delle tasse (la spesa pubblica? Non ne parliamo, perché tutti gli economisti per bene ci insegnano che è improduttiva). Quali tasse Renzi vuole ridurre esattamente, non ci è dato saperlo. Non da questo articolo, almeno, perché, stando a precedenti dichiarazioni, l’unica cosa che secondo me si capisce abbastanza chiaramente è che Renzi ha in mente soprattutto un bel taglio delle tasse patrimoniali per fare ripartire l’economia. Si tratta della vecchia ricetta di Reagan, della Thatcher e di Berlusconi: tagliamo le tasse ai più ricchi per favorire l’investimento privato e la crescita. I più poveri godranno delle briciole del lauto pasto generato dall’economia che fa roarrr (l’effetto trickle down). L’idea alla base di questa ricetta è che il motore della crescita sia nell’iniziativa privata di coloro che possiedono redditi più elevati e ricchezze più voluminose, cioè che esista un’equivalenza fra ricchezza privata e imprenditorialità. Quest’idea è smentita in primo luogo dai più grandi economisti liberali della storia. Secondo Schumpeter, per citarne uno, la ricchezza è un freno all’iniziativa imprenditoriale, il credito è lo strumento con cui le economie capitalistiche superano questo vincolo, e fra credito e ricchezza accumulata dal passato non c’è nessuna – ma proprio nessuna – relazione (l’imprenditore, nella sua essenza, è un nullatenente, e le banche il credito possono crearlo dal nulla). Ma lasciamo stare questi economisti vecchi tromboni che non usavano le formule e non avevano impact factor. Il fatto è che questa ricetta di tagliare le tasse ai ricchi è stata teorizzata e politicamente perseguita dalle destre liberiste da ormai quasi quarant’anni, e credo che si possa affermare abbastanza serenamente che non ha mai portato a nient’altro che ad aumentare i divari nella distribuzione dei redditi. Non vedo perché, se oggi la applicasse Renzi, dovremmo sperare in un maggior successo.

Sbaglio a interpretare le parole del nostro lider maximo? In fondo Renzi non ha specificato quali tasse intenderebbe tagliare. Forse invece l’idea è quella più progressista di tagliare le tasse sul reddito ai meno abbienti, per una sana politica redistribuiva? Forse. Ma anche se fosse così, si tratterebbe sempre di una proposta di una politica a una dimensione, che trascura di fare un’analisi sui problemi, le asimmetrie e le mancanze strutturali dell’intero sistema produttivo italiano. Ci va bene essere un Paese di piccole imprese? Ci sta bene specializzarci nel tessile abbigliamento? Pensiamo che l’alta moda italiana sia un settore strategico perché nessuno sa farla come gli Italiani (tranne i Cinesi)? Ci sta bene continuare a disinvestire in ricerca e istruzione, tanto non servono a una ceppa? Ci sta bene fare a gara con Polacchi, Rumeni e Tedeschi a chi tiene i salari più bassi? Ci va bene invitare gli investitori esteri a godere qui da noi, con l’argomento che abbiamo professionisti a costi talmente competitivi che all’estero ve li sognate?

Di tutto ciò non si ravvisa alcun cenno di presa di posizione.

Alla fine, la prossima campagna elettorale rischia di essere un concorso a chi convince di più il pubblico che vuole tagliare le tasse. E io non credo che riproporre Maastricht come simbolo della rilassatezza fiscale, o peggio come qualcosa di storicamente ben concepito e da recuperare, sia tutto sommato l’argomento più convincente. Oppure Renzi assume che gli Italiani hanno la memoria di Dory alla ricerca di Nemo, il che non è effettivamente da escludere.

La visione sull'Europa di Matteo Renzi è spiegata, a grandi linee, su un articolo da lui scritto sul sole24ore. Come…

Pubblicato da Marcello Spanò su Lunedì 10 luglio 2017


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