Il 12 aprile la Camera ha approvato il decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione (d.l. 13/2017). Ciò che determina l’impostazione di fondo delle modifiche introdotte dal decreto è la scelta del Governo italiano di rispettare la riduzione dei vincoli alla spesa in deficit per onorare i trattati europei chiesta dalla Commissione europea. Tale scelta comporta inevitabilmente la combinazione di azioni di riduzione della spesa e aumento della tassazione.
L’immigrazione è una questione complessa e delicata, che divide i cittadini. Il decreto Minniti apre ad una questione più generale: le politiche di accoglienza e di gestione dell’emergenza migratoria che tocca tutti.
Quello che è rilevante del decreto Minniti è l’impostazione di fondo: dato che “non ci sono i soldi”, occorre ridurre i diritti dei mendicanti e degli immigrati. Non ci sono i soldi per investire adeguatamente nella giustizia e garantire così i diritti di tutti, indipendentemente dall’etnia o dalla provenienza? Si riduce il diritto a essere ascoltati da un giudice. Non ci sono soldi per investimenti pubblici adeguati a creare lavoro, dunque la soluzione è ricacciare i poveri nella periferia, ai margini, dove semplicemente soffrono senza disturbare gli altri.
La menzogna del “sono finiti i soldi” è foriera di scelte feroci e disumane. Possono non esserci risorse naturali, persone da impiegare, conoscenze tecniche, ma i soldi sono una creazione dello Stato e quindi è impossibile che lo Stato ne rimanga sprovvisto. Ci sono giovani avvocati e giudici disoccupati? Ci sono giovani disoccupati disponibili a lavorare nell’ambito della giustizia? E allora lo Stato non ha scuse per disinvestire in tale ambito.
Gestire una situazione drammatica come il fenomeno immigratorio degli ultimi anni in un complessivo quadro di riduzione della spesa pubblica contribuisce a enfatizzare e far esplodere i conflitti, non a risolverli.
Ma vediamo per punti in che cosa consiste il decreto.
1. L’abolizione dell’udienza
Nel primo grado di giudizio, l’attuale “rito sommario di cognizione” verrà sostituito da un rito camerale senza udienza, nel quale il giudice prenderà visione della sola videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale. Tutto ciò avverrà senza contraddittorio e senza che il giudice possa rivolgere domande al richiedente asilo che ha presentato il ricorso.
2. L’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego dello status di rifugiato
È stato infatti tagliato l’appello per i ricorsi contro il diniego dello status di rifugiato, che diventa ricorribile solo in Cassazione.
I primi due punti fanno emergere come il decreto Minniti comporti il superamento della concezione moderna dell’universalità dei diritti dell’uomo: lo Stato definisce diverse categorie di uomini, non più tutti beneficiari dello stesso diritto in quanto uomini. Alcune categorie di uomini, i più deboli, vengono considerati inferiori e, in quanto tali, vedranno ridursi i diritti di cui beneficiano invece tutti gli altri.
3. L’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari
Il piano prevede inoltre un allargamento della rete dei centri per il rimpatrio, gli attuali Cie si chiameranno Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni Regione, per un totale di 1˙600 posti. Le disposizioni escludono il trattenimento nei Centri di persone «in condizioni di vulnerabilità».
4. L’introduzione del lavoro volontario per i migranti
Il decreto prevede la promozione dell’impiego di richiedenti asilo in lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari, ad opera dei prefetti, d’intesa con Comuni e Regioni.
Questa norma, che apparentemente sembra volta a dare un’occasione di riscatto ai migranti, offrendo loro la possibilità di sentirsi utili e di integrarsi nella società attraverso il lavoro, è in realtà uno strumento di sfruttamento di manodopera gratuita e ha ripercussioni gravi sulle condizioni di tutti i lavoratori. Questa misura avrà l’effetto di abbassare il costo del lavoro di tutti i lavoratori, anche di quelli specializzati. Siamo tutti legati: quando l’ultimo della scala sociale fa un passo indietro, tutti i lavoratori sono costretti ad un arretramento nelle condizioni di lavoro. Si torna insomma all'”esercito di riserva” di cui parlava Marx, uno strumento ulteriore con cui le grandi aziende potranno abbassare ulteriormente il costo del lavoro, in una spirale di sfruttamento reciproco in cui sono sempre i più deboli a perderci.
5. Il Daspo: anziché risolvere il problema dell’emarginazione, si perseguitano gli emarginati e i poveri
Viene introdotto il Daspo, uno strumento che consentirà al sindaco di allontanare i soggetti già ai margini della società, “indecorosi”. Attraverso decisioni amministrative tali misure saranno sottratte, salvo in alcuni casi, al controllo di legittimità dell’autorità giudiziaria e all’esercizio del diritto di difesa. Si ricorrerà quindi a decisioni amministrative del tutto discrezionali e verrà violata la libertà di movimento, che sarà dunque a totale appannaggio del potere dell’organo amministrativo, il quale si ergerà a tribunale dell’Inquisizione per giudicare chi è reo sospetto di “turbare il decoro urbano”.
La concezione terribile sottostante all’impostazione del decreto è che se sei povero, perché non riesci ad adattarti al mercato del lavoro, non riesci a competere e a guadagnarti da vivere e una casa in cui stare, sei colpevole, sei un fannullone, e pertanto lo Stato può concedere a un’autorità amministrativa locale, un sindaco, di allontanarti dal centro storico, di respingerti ai margini. Siamo passati dalla concezione dello Stato Sociale, che investe per costruire le condizioni dell’uguaglianza, che sono la base della convivenza civile tra gli uomini, allo Stato di Polizia, che tratta i poveri come qualcosa di pericoloso che deve essere allontanato.
Lo Stato sociale come alternativa alla guerra tra poveri
Per gestire il fenomeno dell’immigrazione è necessario agire su più fronti. Ci sono cose che lo Stato italiano potrebbe fare, nell’immediato, per alleggerire le tensioni e avere il tempo di affrontare le questioni senza avere la pretesa di risolvere tutto subito in maniera sbrigativa. Tale questione richiede un approccio complessivo e organico al problema, a partire da scelte di politica estera orientate al rispetto dell’Art. 11 della Costituzione, fino a questioni che attengono l’attuazione dell’uguaglianza sostanziale, garantita non solo dal diritto al lavoro ma anche dall’accesso alla formazione e ai più elevati gradi di istruzione, condizioni che consentono a chi sta alla base della scala sociale di avanzare e di essere effettivamente un cittadino al pari degli altri.
Il Governo italiano potrebbe finanziare un programma di investimenti pubblici volti a dare un lavoro ad Italiani e stranieri sforando i vincoli europei di spesa in deficit.
Ciò che sta alla base della Costituzione è l’idea che ogni cittadino abbia gli stessi diritti, ma anche gli stessi doveri: ovvero ognuno deve poter contribuire al progresso sociale, materiale e culturale del Paese attraverso il lavoro, secondo i propri talenti. Perciò anche chi viene ospitato ha gli stessi diritti, il che si traduce nel diritto alla salute e alla sicurezza. Ognuno deve poter godere della ricchezza reale prodotta dalla collettività, però ha anche il dovere di partecipare alla produzione di tale ricchezza attraverso il lavoro. Per dare lavoro a stranieri con alti livelli di formazione, lo Stato dovrebbe aumentare la spesa pubblica, facendo in modo che sia Italiani sia stranieri possano trovare lavoro, nel pubblico o nel privato. Per introdurre al lavoro persone non specializzate e che magari non hanno mai avuto esperienze lavorative regolari, lo Stato potrebbe attuare i Piani di Lavoro di Transizione.
Per approfondire la conoscenza del funzionamento dei Piani di Lavoro di Transizione, consiglio la lettura di questi articoli:
- Frenare la proliferazione della disoccupazione con politiche preventive, di Pavlina Tcherneva
- Piani di Lavoro Garantito: la civiltà faccia un passo avanti, di Daniele Busi
- Ogni uomo ha pari diritto alla felicità, di Veronica Frattini
- MMT in pillole #4 – PLT: I Piani di Lavoro Transitorio, di Daniele Basciu