L'Editoriale

Disoccupazione alta, chi ci guadagna e chi paga il conto?

Il tasso di disoccupazione in Italia ad Ottobre è salito al 13,2%. È il dato peggiore dal 1977. Ora però proviamo a capire se un’elevata disoccupazione conviene a qualcuno e quali costi comporta.

I cittadini devono lavorare per pagare le tasse e guadagnarsi da vivere. Se i posti di lavoro disponibili sono meno delle persone che cercano un lavoro si crea una competizione tra i lavoratori che spinge al ribasso le loro pretese, quindi giù i salari, innanzitutto.

Più elevata è la disoccupazione più peggiorano le condizioni salariali. A guadagnarci allora saranno le imprese che pagano di meno i lavoratori? Non proprio.

Se i salari scendono si riduce il reddito disponibile dei lavoratori che, attraverso i consumi, torna come ricavo alle imprese. In pratica il calo della domanda interna reca un danno evidente alla maggior parte delle imprese le quali, però, non sono tutte uguali, poiché ci sono quelle che esportando riescono ad intercettare la domanda estera e a mantenere alto il livello dei ricavi. Inoltre ci sono le multinazionali che strutturalmente operano a livello internazionale. Ovviamente anche le imprese esportatrici e le multinazionali beneficiano della riduzione dei salari, quindi le stesse si ritrovano, come dire, non me ne voglia il gentil sesso, con la botte piena (alti ricavi) e la moglie ubriaca (bassi costi).

Ciò vuol dire che un’alta disoccupazione pregiudica certamente gli interessi dei lavoratori ma di ciò non si avvantaggia il sistema impresa omogeneamente, bensì solamente quella parte dello stesso che è in grado di esportare parecchio, grandi corporation in testa. Peraltro quando lo Stato, come succede ora in Italia e nell’intera Eurozona, attua ad ogni costo la disciplina di bilancio, comprimendo la spesa pubblica, per le imprese diventa fondamentale acquisire una quota di mercato estero o accrescere quella esistente. Ciò spinge ulteriormente al ribasso i salari per aumentare la competitività delle stesse a stare sui mercati internazionali.

Vi è di più, un’elevata disoccupazione genera altresì danni alla collettività perché il non impiego di molte risorse umane, oltre alla mancata produzione di reddito, fa perdere alla società intera i benefici che le sarebbero derivati sfruttandone competenze e capacità. Occorre anche considerare altri costi indiretti di un’alta disoccupazione, come l’aumento della tensione sociale e dei fenomeni criminali.

Potremmo a questo punto tracciare una linea immaginaria che demarca chi trae profitto e chi invece paga le conseguenze di un alto tasso di disoccupazione. A guadagnarci sono le grandi corporation e le imprese che esportano parecchio, a rimetterci sono non solo i salariati ma anche le imprese il cui business è basato sulla domanda interna (i commercianti e gran parte delle micro e piccole imprese), i lavoratori autonomi e la collettività intera in termini di costi sociali. A conti fatti ad un crescente e generalizzato impoverimento fa da contraltare l’arricchimento di pochissimi.

Solo astratta teoria? Non direi visto che l’indice di Gini, che misura la distribuzione di reddito e ricchezza, mostra costante crescita del livello di diseguaglianza. Vuol dire che la ricchezza finanziaria si concentra sempre di più nelle mani di meno soggetti. Un segnale empirico di questo fenomeno è l’aumento del consumo dei beni di lusso, confermato dai trend di mercato delle aziende di settore. Forse così si spiega anche perché la politica continua a prendere decisioni sempre sbagliate che pregiudicano gli interessi della maggior parte dei cittadini, ma evidentemente non proprio quelli di tutti. Sul piano politico, infatti, vengono perseguite con sempre maggiore forza le c.d. riforme strutturali proclamate come “necessarie al Paese”, ma che in realtà sono modellate sugli interessi delle più potenti lobby economiche e finanziarie.


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