Approfondimento

CCF: in Eurozona tutto quello che funzionerebbe è vietato

Questa riflessione è relativa ad alcuni punti significativi della proposta di utilizzo dei “Certificati di Credito Fiscale”. Vengono analizzati alcuni aspetti tecnici, normativi e politici relativi alla loro ipotetica introduzione.

L’approccio delle istituzioni di governance UE alla crisi economica da ormai diversi anni a questa parte non lascia più dubbi sulle aspettative negative per il futuro per gli Stati coinvolti, in particolare per l’area Euro.

Quadro attuale e vincoli eurozona

L’architettura dell’Eurozona conferisce alla BCE il ruolo di monopolista dell’emissione della valuta utilizzata dagli Stati aderenti al sistema. È proibito il finanziamento diretto del monopolista in favore degli Stati utilizzatori, che sono altresì vincolati dai noti limiti di spesa in deficit (3%). I debiti pubblici preesistenti (e quelli di nuova emissione) degli Stati aderenti sono stati ri-denominati nella valuta unica, e non godono di garanzia formalizzata da parte del monopolista (l’unico soggetto che potrebbe assicurarla in ogni frangente), ma solo del recente e informale whatever it takes comunicato ai media dal governatore Draghi nel 2012. L’autonomia fiscale degli Stati così limitata non è stata sostituita da quella di un’entità federale di nuova formazione dotata di capacità di spesa.

L’intera struttura istituzionale limita pertanto la possibilità che il desiderio di risparmio finanziario netto del settore privato possa essere soddisfatto e compensato da corrispettivi ed adeguati deficit del settore pubblico, che potrebbero esistere sotto forma di spesa/finanziamento diretto del monopolista e/o di deficit degli Stati garantiti dal monopolista [W. Mosler, 2014]. Il risultato verso cui il sistema eurozona tende è che il surplus aggregato del settore privato possa avvenire solo in conseguenza di surplus commerciali vs il resto del mondo, che a loro volta non possono che conseguire da politiche di tipo mercantilista e di competizione commerciale intra-eurozona, e eurozona vs. resto del mondo. Il perseguimento della “competitività” passa necessariamente attraverso la destrutturazione del sistema giuslavoristico europeo quale conosciuto dal dopoguerra da oggi nelle sue varie declinazioni, e in una perenne spinta alla compressione delle retribuzioni che diventa tanto più “necessaria” quanto più sono “labour intensive” i settori di riferimento.

I Certificati di Credito Fiscale

L’emissione e utilizzo di certificati di credito fiscale come strumento di spesa da parte di uno Stato eurozona (l’Italia in particolare) è stata ipotizzato in più forme come potenziale rimedio agli esiti negativi derivanti dai vincoli di spesa come sopra illustrati. Tra il 2011 e il 2013 Warren Mosler ha proposto dapprima lo strumento dei “Tax backed bonds” e poi, successivamente la spesa diretta da parte dello Stato effettuata con l’emissione di certificati di credito fiscale validi per il pagamento delle imposte. In entrambe le proposte, il principio del “taxation drives money” è il fondamento dell’aspettativa che i fornitori di beni/servizi accettino di trasferire al settore pubblico risorse reali in cambio di certificato di credito riconosciuti dallo Stato come validi per il pagamento delle tasse future. Il punto chiave, in Eurozona, è che mentre il monopolio dell’emissione della valuta è attribuito alla BCE, l’imposizione e prelievo fiscale avvengono ad opera degli Stati.

La proposta di introduzione dei CCF elaborata di recente da Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi riprende questo principio e prevede, accanto alla spesa effettuata direttamente dal settore pubblico e pagata con l’emissione di CCF, la distribuzione degli stessi CCF al settore privato (una forma di “helicopter money“) fino a 200 miliardi annui, utilizzabili in un tempo differito (due anni) nel pagamento di qualsiasi obbligo fiscale futuro.

Alcuni sostenitori hanno pubblicato diversi articoli a sostegno di questa proposta, presentata come, schematizzando:

  1. una “quasi moneta”, che “non costituisce una moneta parallela all’euro”,
  2. strumento giuridicamente ineccepibile con cui uscire dalla
  3. “trappola del debito pubblico” e che
  4. evita in ogni caso “l’uscita unilaterale dall’euro”, in quanto “rischia di produrre traumi economici e geopolitici dalle conseguenze imprevedibili; e, comunque, molti cittadini italiani sono contrari perché temono di vedere svalutati risparmi, stipendi e pensioni”.

Ma se queste dichiarazioni corrispondessero a realtà, la proposta dei CCF sarebbe inefficace e in ogni caso sarebbe altro da ciò che in realtà è (e che i suoi stessi sostenitori sembrano in questi appelli non riconoscere o voler occultare). Piuttosto, seguendo i punti sopra elencati:

1) Quasi moneta o Moneta?

Dal punto di vista finanziario il principio base è necessariamente che Ogni attivo finanziario di un soggetto è la passività finanziaria di un altro. Nel moderno sistema monetario fiat è un controsenso la pretesa di creare “moneta senza debito”, in quanto la moneta come sopra definita è di per sé credito per un soggetto (privato) e debito per un altro (pubblico), ed attivi finanziari netti per il settore privato possono esistere solo come contropartita del passivo pubblico. Per converso, Government debt is a private asset: il debito pubblico è attivo del settore privato.

Appare chiaro che il CCF costituirebbe né più né meno che moneta, in quanto esplicito “credito di imposta sulla tassazione futura” (W.Mosler – Soft Currency Economics, 1994); la sua stessa essenza di “credito” finanziario, ovvero di attività finanziaria netta resa disponibile per il settore privato, è necessario corrispettivo di una posizione di passività del settore pubblico.

Il fatto che nell’ipotesi CCF non sia coinvolta la BCE (né la BC nazionale che nell’attuale sistema BCE+SEBC è funzionalmente un’agenzia del sistema complessivo) non modifica quindi la natura dello strumento, a prescindere da come si cerchi di “confezionarne” la presentazione. Pone, piuttosto, altri problemi che vediamo poco avanti.

2) Giuridicamente ineccepibili o vietati dai trattati?

La fiducia nel funzionamento dei CCF si basa sul fatto che in sostanza operano nel senso di ampliare (seppure in un arco di tempo biennale) il deficit pubblico, in quanto (a parità degli altri fattori) aumentano le passività emesse dal settore pubblico in favore del settore privato. La spesa derivante da questi deficit aggiuntivi dovrebbe compensare la domanda mancante a causa delle scelte del risparmio aggregato, spingendo il sistema fuori da quella che non è tanto una “trappola di liquidità”, quanto una “trappola del risparmio“. Pertanto pur non correlata all’emissione di Titoli di Stato l’emissione per conferimento/spesa dei CCF è passività dello Stato, che nell’attuale quadro istituzionale Eurozona è considerata debito pubblico. La scelta della denominazione di “credito” enfatizzata dai sostenitori della proposta non cambia la sostanza; anche un titolo di Stato è debito per il settore pubblico e contestualmente credito per il settore privato, si tratta di quale delle due facce esistenti vogliamo utilizzare per dare un nome alla relazione finanziaria in essere, che come ogni rapporto finanziario non può che essere (almeno) bilaterale.

Questi punti sono delineati molto chiaramente in Regolamento CE 479/2009, riferito alle procedure per disavanzi eccessivi degli Stati, in cui si definisce ciò che è considerato “disavanzo pubblico” (e voci correlate) come segue:

Per «pubblico» si intende ciò che riguarda il settore «amministrazioni pubbliche» (S.13), suddiviso nei sottosettori «amministrazioni centrali» (S.1311), «amministrazioni di Stati federati» (S.1312), amministrazioni locali» (S.1313) e «enti di previdenza e assistenza sociale» (S.1314), escluse le transazioni commerciali quali sono definite nel SEC 95.

(…)

Per «disavanzo (o avanzo) pubblico» si intende l’indebitamento (o accreditamento) netto (EDP B.9) del settore «amministrazioni pubbliche» (S.13), quale definito nel SEC 95. Gli interessi inclusi nel disavanzo pubblico sono costituiti dagli interessi (EDP D.41) quali definiti nel SEC 95.

(…)

Per «debito pubblico» si intende il valore nominale di tutte le passività (lorde) del settore «amministrazioni pubbliche» (S.13) in essere alla fine dell’anno, ad eccezione di quelle passività cui corrispondono attività finanziarie detenute dal settore «amministrazioni pubbliche» (S.13). Il debito pubblico è costituito dalle passività delle amministrazioni pubbliche classificate nelle categorie seguenti: biglietti, monete e depositi (AF.2), titoli diversi dalle azioni, esclusi gli strumenti finanziari derivati (AF.33), e prestiti (AF.4), secondo le definizioni del SEC 95.Il valore nominale di una passività in essere alla fine dell’anno è il valore facciale.

Per cui sia sulla base dell’analisi MMT che sulla base del quadro normativo attuale è evidente che saremmo di fronte a una forma di moneta e debito pubblico. Che proprio in quanto tale, funzionerebbe.

Come esposto dalla stessa Ragioneria dello Stato:

I conti della PA costituiscono, nell’architettura della CN, la contropartita dei conti degli altri settori istituzionali (famiglie, società finanziarie e non finanziarie, istituzioni non profit, resto del mondo). Esiste, pertanto, un vincolo di coerenza tra i conti dei vari settori che regola di fatto l’attribuzione delle singole transazioni tra le varie partizioni del conto (e tra le singole voci).

3) Debito pubblico: trappola o necessità?

I CCF non sono quindi la strada per “sfuggire alla trappola del debito pubblico”, sia perché essi stessi costituiscono debito pubblico, sia perché il debito pubblico non è una colpa, ma una necessità economica. In presenza di divieto di scoperto di conto in favore del Governo presso la Banca centrale (situazione propria ma non esclusiva dell’Eurozona) il debito pubblico viene ad essere costituito da Titoli di Stato, di fatto garantiti dalla Banca Centrale di riferimento.

Nel contesto Eurozona, con gli Stati diventati utilizzatori di moneta, i problemi legati al debito pubblico derivano dal fatto che dei debiti pubblici è stata trasformata la natura, e non essendo garantiti dal monopolista della valuta sono diventati “a rischio” similarmente a dei debiti privati.

Culturalmente, l’idea di “eliminare il debito pubblico” è perfettamente in linea con le distruttive limitazioni previste dai trattati europei, ed in contrasto con le necessità di funzionamento di un’economia moderna. Il debito pubblico deve esistere e come misura minima deve, semplicemente, essere garantito dal monopolista. Cosa che in Eurozona non è prevista né oggi né in prospettiva. [Si ricorda per inciso che la ME-MMT sostiene, come assetto ottimale da adottare, la proposta di “zero policy rate” con eliminazione dell’emissione dei Titoli di Stato e il “debito pubblico” contabilizzato come sommatoria degli importi accreditati dal settore pubblico in favore del settore privato]

4) CCF per salvare l’Eurozona o per uscire dall’Eurozona?

L’idea che adottare i CCF non comporti l’uscita dall’Eurozona è altamente improbabile. La spesa così effettuata avverrebbe bypassando la BCE e le linee di politica fiscale restrittiva che la stessa BCE impone semi-informalmente agli Stati nell’ambito di un ruolo politico che a lei non compete. Che gli strumenti fiscali come gli stessi CCF non siano (ovviamente) di competenza formale BCE è certificato dal fatto che la stessa BC interpellata in merito ha dichiarato per iscritto di non avere voce in capitolo. L’immane onnipotenza (così percepita) della BCE poggia su una sorta di illusione collettiva che nell’opinione pubblica verrebbe seriamente lesa dal funzionamento di uno strumento come i CCF, con immaginabili reazioni violente del “centro di controllo” eurozona.

Il CCF appare quindi come strumento non per una “riforma morbida” dell’eurozona, quanto come primo passo per un’uscita dall’eurozona che dovrebbe essere predisposta e pronta anche per gli altri aspetti chiave urgenti e indifferibili (Sistema bancario, gestione debito esistente, etc). Tra l’altro non ha alcun senso rispondere a una struttura istituzionale che obbliga a politiche economiche malsane progettando uno strumento che permetta di permanere in questo quadro istituzionale malsano. Il recente Report Euro Area della Commissione Europea richiama ancora una volta la necessità che gli Stati membri eurozona proseguano con le riforme strutturali per incrementare la produttività, con la deregolamentazione del mercato del lavoro, etc., per cui (come evidente da anni) non sono in programma quelli che sarebbero i necessari aggiustamenti, ma piuttosto un inasprimento di quanto fino ad oggi già conosciuto.

In realtà riguardo le finalità (euro-salvataggio/euro-exit) dei CCF, esistono posizioni diverse tra gli stessi autori/promotori dello strumento:

M. Cattaneo Introdurre i CCF è un’euroexit

M. Cattaneo, L.Gallino, E.Grazzini, S. Sylos Labini Una nuova moneta fiscale per battere la crisi

e G. Zibordi che in Un appello per una nuova moneta fiscale… da cui mi dissocio,

sostiene (e mi trova d’accordo) che

L’idea di creare una moneta parallela, all’interno del sistema dell’Euro, che in qualche modo simula i poteri della Banca Centrale che oggi non abbiamo, non deve servire a illudere che questo sistema dell’eurozona, della BCE e della Troika funzionerà, come sembra invece dall’appello.

L’ intervento “CCF” va considerato come un intervento finanziario “di emergenza”. Ma è inoltre cruciale (partendo dalla fondamentale distinzione risorse materiali / finanziarie su cui si fonda la MMT) il fatto che i vincoli finanziari del sistema Eurozona siano parte di un quadro più generale di vincoli sugli Stati membri, riguardanti anche ad esempio forti limitazioni sulle politiche industriali, agricole, etc. che rendono impossibile il perseguimento dell’interesse pubblico da parte dei Governi. Questo, quanto meno, nel caso che qui ci interessa: l’Italia.

Le ultime quattro considerazioni sono necessariamente di natura politica.

La prima è che la proposta CCF è piuttosto sintetica, concreta, e già formalizzata in una bozza di proposta di legge. È un possibile strumento che nel panorama attuale si evidenzia per la propria “operatività”.

La seconda è che i vari appelli pubblici all’adozione dei CCF appaiono evidentemente carichi di “segnali calmanti” rivolti all’establishment europeo come messaggio di “non pericolosità” della proposta per la sopravvivenza del sistema euro. Scelta comprensibile se si considera che tra i promotori dell’appello figura, ad esempio, Luciano Gallino, che fino a pochi anni fa scriveva che

È necessario che un maggior numero di cittadini arrivino a convincersi che l’Unione Europea è un grandioso progetto politico, economico, sociale, culturale che presenta elementi unici al mondo.

Questa ambiguità della proposta, nelle condizioni attuali, è situata tra l’incomprensibile e inaccettabile (oltre che non credibile, come sopra evidenziato). Se siamo di fronte alla “fine della democrazia in Europa”, come di recente ha scritto lo stesso Gallino dopo aver cambiato idea rispetto a quanto scriveva due anni prima, occorre agire di conseguenza piuttosto che lanciare messaggi di accondiscendenza.

La terza è che ad oggi la proposta non pare aver riscosso alcun sostegno politico visibile. Comprensibilmente, in quanto la proposta incrinerebbe seriamente l’equilibrio politico Eurozona, per cui può essere adottata solo da un Governo o comunque uno schieramento politico che sia assolutamente pronto e preparato per questo passo ed intenda farlo con una scelta di politica fiscale che amplia il deficit pubblico, andando quindi (pur al di fuori della normativa UE) verso una violazione dell’Art. 81 della Costituzione (Pareggio di bilancio).

La quarta, conclusiva, è che i CCF sembrano essere realmente uno strumento valido come primo passo per un’euro-exit, ma come tale necessitano di un supporto politico che ad oggi non sembra esistere, e di una inequivocabilità riguardo il senso della proposta che purtroppo sembra mancare anche tra gli stessi promotori del progetto.

Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare

Seneca

 

Bibliografia

  • M. Draghi – Speech By Mario Draghi, President Of The ECB At The Global Investment Conference In London – 26/7/2012 [ecb.europa.eu]
  • W. Mosler – Definire La “Base Monetaria” In Un Regime Di Cambi Flessibili. La Grande Riformulazione (2014) [retemmt.it]
  • W. Mosler / P.Pilkington – Tax-Backed Bonds — A National Solution To The European Debt Crisis (2012) [levyinstitute.org]
  • M. Cattaneo E G.Zibordi – La Soluzione Per l’euro (2014) [Ed. Hoepli]
  • S. Fullwiler – I Lanci Di Banconote Dagli Elicotteri Sono Operazioni Di Politica Fiscale (2010) [vocidallestero.blogspot.it]
  • W. Mosler – Soft Currency Economics (1994) [mosler.org]
  • L. Randall Wray – Mmp Blog 2: The Basics Of Macro Accounting (2011) [neweconomicperspectives.org]
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  • A. Terzi – Trappola Della Liquidità O Trappola Del Risparmio? (2014) [economiaepolitica.it]
  • Regolamento Ce 479/2009 [rgs.mef.gov.it]
  • Ragioneria generale dello stato – I Principali Saldi Di Finanza Pubblica (2008) [rgs.mef.gov.it]
  • A. Terzi – Varoufakis, Padoan e il segreto di Pulcinella del debito pubblico italiano (2014) [ateconomics.com]
  • B. Mitchell – Ancora Un’altra Soluzione Per La Zona Euro (2014) [retemmt.it]
  • European Commission – Report on the Euro Area, 26/2/2015
  • M. Cattaneo – Introdurre I CCF è un’euroexit (2014) [bastaconleurocrisi.blogspot.it]
  • M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini, S. Sylos Labini – Una nuova moneta fiscale per battere la crisi (2014) [syloslabini.info]
  • G. Zibordi – Un appello per una nuova moneta fiscale… da cui mi dissocio (2014) [monetazione.it]
  • M. Cattaneo – Prima bozza della proposta di legge – Certificati di Credito Fiscale (2013) [bastaconleurocrisi.blogspot.it]
  • L. Gallino – Il modello sociale, pilastro dell’unità europea (2011) [eguaglianzaeliberta.it]
  • L. Gallino – Un Colpo di Stato è in atto in Italia e in Europa (2014) [ilmanifesto.info]

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