Nel Recovery Plan c’è il destino dell’Italia.
Con queste parole Mario Draghi ha presentato il documento alla Camera. Lo storytelling prende i toni dell’ispirazione e della visione.
È questione non solo di reddito e benessere, ma di valori civili e sentimenti che nessun numero e nessuna tabella potrà mai rappresentare.
Non è proprio così. Quando si parla di investimenti ci sono numeri che fanno la differenza in termini di destino del Paese e quei numeri non sono nel Recovery Plan italiano.
Accantonata la retorica, sarà la realtà dei numeri a determinare tempi e slancio della ripresa economica.
I fondi di Next Generation Eu ammontano a 191, 5 miliardi (di cui 122 miliardi di prestiti) nell’arco di tre anni. Così pochi che il Pnrr (Piano nazionale per la ripresa e la resilienza) è stato integrato con altri 30 miliardi (scostamento di bilancio votato il 15 aprile scorso) e potrebbe far conto su altri 26 miliardi da stanziare entro il 2032. Difficile pensare che i 220 miliardi, distribuiti su più anni, possano compensare la perdita del PIL di 150 miliardi nel solo 2020.
Per poter avere a luglio, ovvero dopo sedici mesi dall’inizio della pandemia, la prima tranche di fondi che corrisponde al 13% del totale, l’Italia ha dovuto impegnarsi in una serie di riforme che non hanno alcun nesso di causa-effetto con la ripresa economica, come l’abolizione della Quota 100. Perché andare in pensione più tardi dovrebbe favorire la ripresa economica? Il rilancio dell’economia e dell’occupazione è correlato all’ampiezza del deficit. Un concetto chiaro agli USA, dove a marzo è stato approvato e già implementato un piano di stimolo di 1900 miliardi, cifre lontane dai 750 miliardi dell’intero Next Generation Eu.
Sospeso il Patto di Stabilità e con un ruolo maggiore della BCE, perché dobbiamo legarci mani e piedi a fondi che hanno più vincoli che risorse? La Commissione europea due volte l’anno deciderà se erogare la parte di finanziamento spettante, costringendoci ad assistere al progressivo ridimensionamento del ruolo del Parlamento a semplice organo burocratico che produce provvedimenti legislativi (riforme, decreti, deleghe) in tappe forzate per attuare il Recovery Plan (deciso dai tecnici).
Il Recovery Fund è una questione politica e non una soluzione tecnicamente efficace. Per le istituzioni europee era fondamentale creare la percezione che l’Unione europea sia in grado di dare strumenti e non solo regole. Ma è difficile sfuggire alla propria natura e ancora una volta l’Unione europea ha dato regole, tempi, vincoli e uno strumento poco efficace. Le Maire, Ministro delle Finanze francesi ha recentemente dichiarato che «è necessario puntare agli investimenti e non al consolidamento dei bilanci pubblici imparando la lezione di dieci anni fa».
Tra qualche anno sarà evidente che Next Generation Eu non ha innescato l’aumento del PIL narrato. La colpa verrà attribuita ai Governi che non avranno saputo utilizzare efficacemente questa grande quanto unica opportunità. La preoccupazione sulla capacità italiana di utilizzare efficacemente e velocemente i fondi risulta a dir poco eccessiva di fronte al vero problema: stiamo legando il destino del Paese a strumenti inadatti a gestire il cambiamento a causa della scarsa portata, dei tempi e vincoli.
L’ultima considerazione riguarda l’utilizzo strumentale del ricorso costante alle nuove generazioni. Una narrazione mediaticamente efficace, ma che non ha un riscontro concreto nelle azioni. Una buona parte dei giovani rischia di allungare verso un tempo indefinito l’ingresso nel mercato del lavoro, senza poter scaricare a terra la potenza della propria energia intellettuale, fisica e motivazionale. Anche in questo caso è necessario andare oltre i titoli dei giornali: il Ministro Brunetta sbandiera il riavvio dei concorsi pubblici, nei quali però è previsto in fase di preselezione che si possa dare un peso maggiore ai titoli piuttosto che al risultato delle prove concorsuali, penalizzando quei giovani che, non avendo ancora avuto la possibilità di lavorare, faticheranno ad acquisire i titoli richiesti. Serve inoltre un piano di lavoro transitorio per i giovani e per chi ora è fuori dal mercato del lavoro.
La digitalizzazione, uno degli obiettivi dell’agenda europea a cui è subordinato il Pnrr, rappresenta uno degli strumenti che accompagnano il cambiamento della società e del mercato ma non è uno strumento in grado di garantire di per sé PIL e aumento dell’occupazione. Molte delle aziende che avevano usufruito di Industria 4.0 sono rimaste comunque pesantemente penalizzate da questa crisi.
Gli anni di austerità imposti dai Trattati europei inducono l’opinione pubblica a pensare che il destino dell’Italia sia legato al Recovery Plan, o quello o niente. Anni di tagli alla spesa pubblica, riduzione del deficit e pandemia ci fanno vedere la pioggia di miliardi laddove non è.