Approfondimento

Ancora un’altra soluzione per la Zona Euro

La base di una valuta fiat, emessa dal governo in condizioni di monopolio e priva di valore intrinseco (a differenza di valute agganciate all’oro o all’argento), è che rappresenta la sola unità che il settore non-governativo può usare per pagare le tasse e altre obbligazioni al Governo. Tale proprietà fa sì che la moneta,altrimenti senza valore, abbia un valore e ci sia una domanda per essa. Se non ci fosse la capacità di usare la valuta per questo scopo, perché dovremo accettare di usare la valuta scelta dal governo?

Alcuni economisti in Italia poco tempo fa hanno proposto uno schema ibrido per salvare l’euro e consentire al paese di ricominciare a crescere senza violare le regole imposte dal PSC – Patto di stabilità e crescita e senza che la BCE violasse la clausola di non salvataggio [degli Stati facendosi garante del loro debito, ndt], benché entrambe le violazioni siano state commesse negli ultimi 5 anni, e siano state trascurate dalle élite. Il piano, è simile a quello proposto nel 2009 dal governo della California. Ha alcuni meriti, ma non centra il punto [fondamentale, ndt]. Il problema dell’Eurozona è l’euro!

I lettori abituali (quelli di lunga data) forse ricorderanno che, nel 2009, proposi all’allora Governatore della California di emettere moneta per superare la crisi fiscale dell’epoca [1, 2].

Per favore, leggete il mio blog – California IOUs are not currency … but they could be! [gli IOU Californiani non sono moneta … ma potrebbero esserlo!, gli IOU sono titoli di credito “I owe you” [Io ti devo], ndt] – per maggiori approfondimenti su questo punto.Ho poi continuato a seguire la linea concettuale dell’idea in – My letter to the Governor (arnie).

Avevo notato come il peggioramento fiscale della California fosse particolarmente grave nel 2009. Il deficit (24,2 miliardi di dollari) aumentò in seguito al blocco totale dell’attività economica e il gettito fiscale crollò.

I dati dello State Controllers Office, organismo di controllo fiscale indipendente della California, hanno messo chiaramente in evidenza la crisi di liquidità che lo Stato stava affrontando. A differenza di un governo nazionale, che emette la (propria) valuta e che quindi non può mai esaurirla, la California stava affrontando una situazione nella quale non sarebbe stata in grado di pagare i suoi conti (in dollari).

Per qualsiasi Stato o governo locale (che usa la valuta della nazione, senza capacità di emetterla), ogni deficit fiscale deve essere “finanziato”, dal momento che tale livello governativo affronta un vincolo in termini di entrate.

Un governo di questo tipo – per risolvere il deterioramento fiscale – deve aumentare le tasse, tagliare la spesa o aumentare i prestiti (i.e. mediante l’emissione di titoli di debito pubblico).

Come osservazione generale, tentare di usare cambiamenti di politica discrezionali “per lottare contro” gli stabilizzatori automatici (la perdita ciclica di entrate fiscali dovuta al deteriorarsi dell’economia) è una follia per governi di questo tipo.

Cercare di risolvere una situazione di deficit in ascesa aumentando le tasse e tagliando la spesa (pubblica) – al culmine di una grave recessione economica – non è raccomandabile se l’obiettivo è di (a) tornare a crescere il più rapidamente possibile, e (b) portare realmente il deficit di cassa a dimensioni gestibili.

Quasi certamente infatti una strategia di questo tipo mina entrambi gli obiettivi e rende i problemi peggiori. In questo periodo ci sono tutte le ragioni per aumentare l’indebitamento per finanziare le infrastrutture e altri progetti che non solo darebbero una spinta fiscale all’economia ma lascerebbero anche una longeva eredità di beni pubblici. Gli investimenti infrastrutturali lasciano un’eredità di cui potranno beneficiare le future generazioni, e in tal senso l’aumento degli investimenti [finanziati, ndt] attraverso il debito pubblico può essere considerato equo su base intergenerazionale.

Naturalmente questo “Stato” potrebbe trovare difficile l’accesso ai mercati dei capitali privati dato l’aumento del rischio di default. Il costo di accesso ai finanziamenti potrebbe anche essere proibitivo e senza protezione federale (nazionale), la capacità di prendere a prestito potrebbe essere limitata.

Quindi anche se per il governo nazionale emettere moneta e onorare le passività denominate nella propria valuta non è mai un problema, lo stesso non si può dire per un governo locale che è un utilizzatore di valuta e, in questo senso, la considera come fosse valuta estera.

Al tempo, il governo californiano ha proposto di superare la crisi mediante l’emissione di IOUs [warrant riservati, titoli di credito, ndt] al posto di effettuare pagamenti in contanti, essendo molto probabilmente a corto di denaro.

Era chiaro che, nelle condizioni che venivano proposte, gli IOUs non sarebbero divenuti una seconda valuta accanto al dollaro.

La proposta originaria (luglio 2009) dello State Controllers Office è stata accompagnato da qualche analisi in merito a come il sistema degli IOUs avrebbe funzionato (http://www.sco.ca.gov/eo_news_registeredwarrants.html).

Anzitutto, non c’era garanzia di convertibilità in cash, ma lo Stato rese noto che se avesse avuto sufficiente liquidità avrebbe riscattato i titoli con gli interessi. In realtà poi smise di rimborsare i warrant in circolazione il 10 novembre 2010, non c’era alcuna disposizione sul fatto che gli IOUs potessero essere trattati come se fossero cash.

In secondo luogo, e cosa più importante, non vi era alcuna norma che permettesse a un cittadino californiano di poter pagare le tasse statali utilizzando i warrant come controvalore. In altre parole, i warrant non erano moneta.

Eppure era abbastanza evidente come un semplice annuncio dello Stato sarebbe stato sufficiente per consentire alla California di essere sovrana sui propri titoli.

Come sottolineato nell’introduzione se lo Stato della California avesse annunciato che avrebbe accettato i titoli IOUs (il loro valore nominale era in dollari) come mezzi per il pagamento degli obblighi fiscali verso lo Stato allora la situazione sarebbe cambiata radicalmente.

Un sistema del genere funzionerebbe in questo modo. Gli impiegati statali ricevono una parte (o tutta) la loro paga in titoli IOUs (sotto forma di fogli di carta o attraverso trasferimenti elettronici – di titoli bancari), con i quali è loro consentito di pagarvi le tasse.

Se tutti i cittadini californiani – allo stesso modo – potessero estinguere i propri obblighi fiscali mediante questi titoli ci sarebbe una certa domanda di essi, il che significa che gli impiegati statali sarebbero in grado di spendere gli IOUs nei negozi così come farebbero con i dollari.

Lo Stato della California non avrebbe alcun limite finanziario nell’emettere i titoli IOU. Semplicemente, li spenderebbe (pagando i propri lavoratori), e dopo li riprenderebbe quando la gente paga le tasse. Imporre l’obbligo delle tasse (sotto forma di titoli) ne fa nascere una domanda, ed essi a questo punto circolano come “moneta”.

Poco dopo il sistema bancario svilupperebbe dei Conti in titoli IOUs e dei prodotti correlati. In questo modo lo Stato della California potrebbe mantenere più facilmente il livello dei servizi, senza imporre costi enormi alle persone svantaggiate che sono costretti ad accettare tali IOUs. Lo Stato potrebbe anche aumentare l’occupazione pubblica per attenuare gli impatti che la recessione ha sul mercato del lavoro.

Ci potrebbe essere una certa riluttanza a detenere i titoli. Ma in termini generali il desiderio di domandare gli IOUs da parte dei californiani dipenderebbe dal vigore con cui sono fatti rispettare gli obblighi fiscali. La California potrebbe far rispettare gli obblighi fiscali permettendo che essi vengano estinti usando titoli; ciò sarebbe sufficiente a generare una domanda funzionale di titoli se fossero una valuta operativa. In questa sede non sto considerando alcun aspetto costituzionale. Si tratta solo di un’argomentazione logica.

Se lo Stato stabilisse che ogni residente possa pagare le proprie tasse usando titoli allora questi sarebbero – in generale – maggiormente accettati come una moneta alternativa in California e lo svantaggio per quei cittadini costretti ad accettarli al posto dei pagamenti liquidi sarebbe considerevolmente ridotto (o eliminato interamente).

Come si è visto successivamente, il governo californiano fu riluttante a questa soluzione (sotto pressione dalla Federal Reserve) seguendo invece la via dell’austerità e annunciando tagli massicci alla spesa pubblica; l’economia si deteriorò ulteriormente e la crescita e la persistenza della disoccupazione di massa divenne la peggiore di tutta la nazione.

Il grafico che segue mostra il tasso di disoccupazione ufficiale tra gennaio 2004 e agosto 2014 di California e Stati Uniti. Dopo aver rifiutato l’uso dei titoli IOUs come moneta sovrana alternativa, il tasso di disoccupazione ha continuato a crescere per circa un altro anno, e migliorò quando l’economia nazionale ha dato segni di miglioramento.

Official unemployment rate (%)

Un’altra soluzione per l’Eurozona

Nel caso dell’Eurozona, il problema è l’euro in sé. Non è possibile negarlo. Comunque, nonostante le economie che hanno istituito l’Eurozona siano ancora rimaste impantanate nella stagnazione, c’è un continuo rifiuto di questo fatto.

Persino i progressisti propongono soluzioni che rifiutano l’uscita dall’euro. Cioè, (soluzioni che) evitano di affrontare la questione principale.

In un capitolo nel mio libro sull’Eurozona intitolato Eurozone Dystopia: Groupthink and denial on a grand scale – che sarà pubblicato a inizio 2015 – ho analizzato un certo numero di schemi proposti per eludere la crisi incluso quello dell’istituzione – a livello europeo – di un programma di sussidi per la disoccupazione e vari piani di ristrutturazione del debito designati per rispettare i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita (PSC).

Li ho definiti schemi di austerità, perché evitano di affrontare la questione vera. Se una nazione utilizza una valuta estera all’interno di una area monetaria comune, dovrà avere un supporto dal punto di vista fiscale a livello di emissione di tale moneta, (supporto) che in questo caso dovrebbe dare la Banca Centrale Europea, qualora ci siano da affrontare cambiamenti derivanti da un calo asimmetrico della spesa complessiva.

Inoltre, non solo per negare alle nazioni quel supporto ma poi per impedire loro di sostenere e di affrontare questi cambiamenti nell’ambito della loro capacità fiscale – ciò che fa il PSC – le si mettono nelle condizioni tali da dover affrontare un lungo periodo di recessione e di disagio.

Il disegno dell’Eurozona è difettoso anche al livello più elementare e nel libro propongo che Italia o Francia prendano le redini e negozino un modo per abbandonare la moneta comune cosicché le altre nazioni più piccole, che non hanno lo stesso peso delle grandi economie, possano abbandonarla senza che vengano loro imposte dannose penalità.

Così finora non sono stato convinto da nessuna di quelle che ho definito soluzioni ibride che hanno come obiettivo quello di affrontare le conseguenze dell’austerità preservando l’austerità stessa.

Ultimamente un’altra soluzione è stata proposta, molto simile a quella della California che ho spiegato sopra, che avrebbe dato allo Stato americano una valuta diversa all’interno dell’area del dollaro americano.

In un articolo su EconoMonitor del 3 luglio 2014, Which Options for Mr. Renzi to Revive Italy and Save the Euro?, Biagio Bossone, Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi lanciano un appello al Primo ministro Matteo Renzi chiedendo di introdurre i cosiddetti “Certificati di credito fiscale” (CCF) per permettere all’economia italiana di uscire dalla recessione indotta dall’austerità, continuando a rispettare le regole dell’Eurozona.

Nell’articolo viene inizialmente documentato il collasso industriale dell’Italia, la cui produzione ad oggi è inferiore del 25% a quella del 2008. Una catastrofe al di fuori di qualunque immaginazione. Anche gli investimenti privati sono diminuiti del 26% e

la perdita di capacità produttiva si attesta a circa il 15%.


Ancora, il debito pubblico italiano continua ad aumentare in proporzione al PIL nonostante il Governo – ossessionato dall’austerità – stia realizzando il più ampio surplus di saldo primario dell’Eurozona. Il pareggio di bilancio primario non contempla il pagamento degli interessi, e riflette solo la differenza tra la spesa e il gettito fiscale al netto del pagamento di interessi sul debito da rimborsare.

Loro ritengono che questa situazione sia impossibile; sotto queste circostanze, l’Italia infatti non è in grado di creare (al netto) nuovi lavori e ridurre l’enorme quantità di disoccupati. Ci dev’essere più spesa, ed è improbabile che questa arrivi dal settore privato, visto il tasso di disoccupazione e i redditi in diminuzione.

Inoltre correttamente aggiungono che:

Le riforme strutturali (come la giustizia, l’istruzione, la governance, il fare impresa), per quanto necessarie per modernizzare il paese e migliorare l’ambiente economico, non spingeranno affatto ad alcun miglioramento in tempi brevi.

Potrebbero anche aver detto che questi processi sono più efficaci quando l’economia è in forte crescita perché – in quel caso – le risorse sono più mobili. I cambiamenti strutturali hanno sempre implicato la necessità di spostare risorse produttive da una destinazione d’uso ad un’altra. Imporre questi processi quando la domanda di lavoro è sostanzialmente depressa e le vendite diminuite significa, in genere, che le risorse rimosse da un settore oggetto di riforma diventeranno inattive piuttosto che essere assorbite da settori in crescita.

Provate a dirlo alle élite dell’Eurozona, che pensano solo in termini di terra bruciata!

Gli autori rifiutano anche l’idea che cambiamenti della politica monetaria, (come i recenti tassi d’interesse negativi fissati dalla BCE), daranno un qualche stimolo [all’economia, ndt].

La conclusione è di buon senso. La preferenza verso la politica monetaria come soluzione – dall’inizio della crisi finanziaria globale – riflette l’avversione neo-liberista alla politica fiscale.

Enfatizzano la politica monetaria perché odiano la politica fiscale nonostante l’ovvia evidenza che la prima non è uno strumento di politica [economica, ndt] adatto ad affrontare un enorme collasso di spesa.

Sicuramente i tassi di interesse possono essere ridotti e le Banche Centrali possono pompare denaro dal nulla all’interno delle riserve bancarie. Ma questo non garantisce che le persone avranno accesso a maggiore credito e spenderanno di più. Questo è un altro mito neo-liberale, che un aumento delle riserve da parte delle della Banca Centrali stimolerebbe l’aumento del credito e consentirebbe alle banche di prestare più facilmente. Non funziona così. Per favore, leggete i seguenti blog – Building bank reserves will not expand credit e Building bank reserves is not inflationary per ulteriori approfondimenti.

Invece gli autori, ricorrono a un piano che risale a quello della Germania di Hiltler dei primi anni 1930, dove la Banca Centrale e il Ministero delle Finanze crearono una compagnia immaginaria – la Metallurgische Forschungsgesellschaft (Mefo) – il cui unico compito era quello di emettere titoli Mefo. (Per chi legge il tedesco), l’operazione del Mefo è delineata in Drittes Gesetz zur Neuordnung des Geldwesens (Umstellungsgesetz).

I Nazisti capirono che non sarebbero riusciti a ricostruire la Germania né attraverso le tasse, né attraverso l’emissione di sufficiente debito pubblico, visto quanto era povero il Paese dopo il Trattato di Versailles. Anche la paura di riaccendere di nuovo l’inflazione era tanta.

La soluzione allora fu di istituire la Mefo come il principale mezzo per la ricostruzione della potenza bellica tedesca. I tedeschi erano a conoscenza che questo avrebbe dovuto essere un processo segreto così usarono la facciata del Mefo per realizzare l’obiettivo.

Sostanzialmente, ecco come funzionava il sistema.

Dapprima il governo ordinava ai produttori di armamenti tedeschi di costruire nuove armi.

Secondo passaggio, le compagnie costruttrici avrebbero emesso buoni Mefo [note di pagamento (in carico alla Compagnia Mefo, ndt)] che la Compagnia Mefo accettava. Era un sistema di pagamenti differiti.

Terzo, chi emetteva i buoni poteva quindi presentarli a sconto alle banche tedesche che potevano a loro volta riscontarli presso la Reichsbank (Banca centrale)

Il Governo (Reich) garantiva i titoli per i successivi 5 anni dalla data della loro emissione.

Di fatto, mentre alla Banca Centrale era stato impedito di finanziare direttamente il Tesoro, i titoli Mefo consentirono a quest’ultimo di acquisire enormi prestiti della Banca Centrale, (prestiti) che gli permisero di finanziarne la ricostruzione fino al 1939.

I nostri autori dell’Eurozona ricalcano la stessa idea, anche se si potrebbe discutere l’accuratezza storica della loro conclusione secondo cui tale piano fu abbandonato una volta raggiunta la piena occupazione.

Infatti, tale schema portò il Ministro delle finanze tedesco in un aperto conflitto con la Banca Centrale e, nel 1939, l’autore del piano, Hjalmar Schacht, si dimise dal suo ruolo di Ministro dell’economia. In seguito sarebbe saltato di nuovo fuori a Norimberga e sarebbe stato poi dichiarato libero dal momento che venne fatto prigioniero da Hitler dopo l’attentato al Fuhrer del 20 luglio.

Gli autori inoltre non menzionano la natura segreta del Mefo come un modo per nascondere la ricostruzione degli armamenti in Germania per i suoi fini bellicosi.

Ma queste sono osservazioni (fatte) di proposito.

La loro proposta è che:

… Il governo italiano potrebbe emettere nuovi titoli chiamati CCF (Certificati di Credito Fiscale) in quantità necessaria a ridurre gradualmente il gap di crescita dell’economia, considerando valori plausibili del moltiplicatore fiscale per una economia con grande capacità (produttiva) inutilizzata, in cui la politica monetaria opera in condizione di zero lower bound [tasso di interesse a breve termine pari o prossimo a 0, ndt].

E i CCF avrebbero caratteristiche tali da renderli una valuta sovrana:

I CCF rappresentano particolari titoli di Stato: il Governo non ha l’obbligo di rimborsarli in futuro. Piuttosto, due anni dopo l’emissione essi sono accettati per saldare qualsiasi obbligo finanziario nei confronti dello Stato italiano (tasse, contributi previdenziali, contributi al sistema sanitario nazionale ecc). Il differimento consente alla produzione di riprendersi e genera le risorse per compensare il deficit delle entrate fiscali denominate in euro che si determina una volta che i CCF cominciano ad essere accettati dallo Stato per il pagamento delle tasse ed altre obbligazioni imposte dalla legge.

In altre parole, i CCF sarebbero equivalenti all’euro nel senso che potrebbero essere usati per pagare tutte le tasse e altre obbligazioni di legge. In questo senso, sarebbero immediatamente ammissibili per lo scambio all’interno del settore privato.

Come fa il governo ad emettere questi titoli?

Secondo gli autori, lo Stato dovrebbe distribuirli liberamente al “settore privato di imprese e lavoratori”, e “potrebbe sottoscrivere esso stesso una quota addizionale di CCF, da utilizzare per realizzare ulteriori azioni a supporto della domanda (ad esempio, integrare il reddito di famiglie in difficoltà, migliorare il sistema sanitario nazionale, sbloccare pagamenti di titoli scaduti in favore dei creditori del Governo, ecc…).”

Gli autori non ne parlano, ma è ovvio che il governo italiano potrebbe immediatamente introdurre un Piano di lavoro garantito e finanziarlo proprio con i CCF. I lavoratori userebbero i titoli come (fosse) reddito, dal momento che sarebbero convertibili in euro, il che – complessivamente – sarebbe uno stimolo alla spesa.

Gli autori notano che “il mercato li sconterebbe come qualunque titolo di Stato zero-coupon [a interessi zero, ndt] (non soggetta a rischio di default)” a due anni, mentre coloro che li mantenessero come attività di portafoglio “dopo la data di scadenza” li userebbero “per pagare le tasse ed le obbligazioni nei confronti dello Stato”.

Gli autori credono che questo piano non violerebbe (le regole sul) la concessione degli “aiuto di Stato” dell’UE; non posso commentare senza aver letto a fondo la legge, preferisco lasciare la discussione agli avvocati.

Non c’è dubbio che questo piano funzionerebbe proprio allo stesso modo in cui gli IOUs avrebbero funzionato in California. Il fatto è che l’Italia e tutti gli altri Stati membri dell’Eurozona sono come gli Stati d’America o d’Australia, sebbene questi ultimi abbiano un’autonomia fiscale considerevolmente maggiore, considerando la mancanza di qualsiasi tipo di vincolo come il Patto di Stabilità e Crescita. È abbastanza certo che gli Stati negli USA hanno scelto di introdurre regole di pareggio di bilancio, ma queste sono generate dalla loro stessa legge che potrebbero modificare senza essere espulsi dall’area del dollaro statunitense (quella che noi chiamiamo America). Non c’è dubbio che il piano darebbe uno stimolo necessario per generare crescita.

Ma gli autori rimangono fedeli all’Eurozona, e i vincoli del PSC sono visti come parametri “normali” per l’Italia. Essi caratterizzano il regime di credito d’imposta come una “misura non convenzionale in occasioni straordinarie”. Dicono infatti:

L’uso dei CCF dovrebbe essere attivato solo in situazioni molto critiche, come ad esempio la depressione economica che i Paesi dell’Eurozona stanno affrontando da ormai troppo tempo, caratterizzata da enorme scarsità di risorse, tendenze deflazionistiche, nessuna politica monetaria autonoma, e politica fiscale pesantemente vincolata. Ovviamente, non si dovrebbe abusare del ricorso all’emissione dei CCF. L’emissione dovrebbe avvenire nell’ambito di specifiche disposizioni di legge, sotto un controllo parlamentare rigoroso e trasparente, e un quadro predefinito in cui è specificato l’obiettivo da raggiungere e la relativa tempistica.

Non sono d’accordo con questa concettualizzazione.

La capacità di un paese di avere discrezionalità nell’uso della moneta è il segno distintivo della propria sovranità. Senza di essa, il governo è incapace di adempiere alle proprie responsabilità di promuovere la piena occupazione e l’equità, e di affrontare le sfide che si presentano, come il cambiamento climatico, ecc.

Affermare che un sistema che consenta di ripristinare la sovranità dovrebbe essere solo temporaneo e introdotto solo in caso di depressione economica, oppure quando c’è “un’enorme scarsità di risorse” è, di per sé, straordinario.

La crisi attuale dell’Eurozona e dell’Italia, in particolare, non è affatto straordinaria, dato il disegno del sistema monetario che è stato introdotto. È andato sempre a convergere su recessione e stagnazione. L’andamento attuale dell’Eurozona è più o meno esattamente quello che è stato previsto nei primi anni ’90 da coloro che si opponevano alla creazione dell’unione monetaria.

La sovranità è caratteristica intrinseca di un governo responsabile. Non deve essere ripristinata quando vi è una profonda recessione e poi ritirata di nuovo.

Conclusione

Ciò che non è divulgato da questi autori e da altri che propongono questi sistemi ibridi è il perché essi vogliono tenersi stretto l’euro. L’Italia starebbe molto meglio se si lasciasse l’Eurozona alle spalle e ristabilisse incondizionatamente la sovranità monetaria. Non solo in caso di depressione!

Perché si fanno tutti questi sforzi per inventare ‘schemi ingegnosi’ che mantengono l’euro, e (si sopporta) tutto l’inutile peso che lo rende impraticabile come sistema monetario?

Questo è abbastanza per oggi!

Spargi la voce…

 

Originale pubblicato il 25 settembre 2014

Traduzione a cura di Marco Medici


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