L'Editoriale

Recovery Fund: un contenitore troppo piccolo

Il Governo italiano ha raccolto l’elenco dei progetti per il Recovery Fund. È una lista provvisoria che al momento consta di 557 progetti (qui l’elenco) proposti dai Ministeri e dalle Regioni che dovrebbero ruotare intorno ai 6 pilastri (digitalizzazione e innovazione – rivoluzione verde e transizione ecologica – infrastrutture per la mobilità – istruzione e formazione – equità, inclusione sociale e territoriale – salute) su cui si fonda il piano italiano da inviare all’UE entro il 15 ottobre.

La stima dell’importo necessario a finanziare i quasi 600 progetti è di circa 600 miliardi, decisamente più dei 240 miliardi assegnati all’Italia. Abbiamo già spiegato l’inadeguatezza del Recovery Fund, uno strumento che non è in grado di favorire la ripresa economica: è un prestito, è insufficiente, è in ritardo ed è sottoposto a continui veti e semafori rossi.

Ritorniamo all’elenco dei progetti. Alcuni giornali lo hanno paragonato alla lettera a Babbo Natale, altri hanno evidenziato l’assenza di alcuni temi, altri commentatori cadono ancora vittime della fobia della spesa pubblica che vedono insinuarsi tra i progetti degli investimenti. Il dibattito ha riguardato cosa fosse giusto o meno inserire nella lista: è giusto che ci siano i fondi destinati all’eliminazione delle tasse sugli aumenti contrattuali o ai poli per il co-working?

Il tema però è un altro: ancora una volta il frame della scarsità ribalta la logica della progettualità dello sviluppo del Paese. È il finanziamento che deve seguire l’idea dello sviluppo, non il contrario.

Sino a quando non verrà scardinata la narrazione per la quale le risorse finanziarie sono per natura scarse, il dibattito girerà sempre intorno a “è più urgente la Salerno-Reggio Calabria o la digitalizzazione delle scuole?”. Dentro un contenitore piccolo possono starci solo cose piccole.

Un Paese moderno è un sistema complesso, con molteplici esigenze e un potenziale che si può esprimere pienamente solo grazie a investimenti importanti e a lungo termine, a maggior ragione durante una grave crisi economica come quella in corso. Ancora una volta si pensa alla progettualità del futuro di un Paese come al bilancio di un’azienda.

Abbiamo bisogno di pensare in grande, in prospettiva, in maniera equa e con una bussola che orienta verso l’interesse pubblico. E solo dopo far seguire il ragionamento sul dimensionamento economico. Non abbiamo bisogno di ripensare i servizi per l’impiego, abbiamo bisogno di Piani di Lavoro Transitorio per tutti quelli che oggi non hanno un lavoro. Abbiamo bisogno di edilizia sociale, di infrastrutture all’avanguardia dal punto di vista tecnologico in ogni parte del Paese (giusto per citare alcuni esempi, l’elenco è lunghissimo).

Ma questo può farlo un Paese monopolista della valuta.

Invece avremo un elenco di 557 progetti che, posti al vaglio della selezione in vista del 15 ottobre, verranno ridotti in modo da stare dentro contenitori piccoli e che poi verranno ulteriormente selezionati a livello europeo.


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