La Teoria

MMT: un’analisi doppiamente retrospettiva (Prima Parte)

MMP Special 1: MMT: un'analisi doppiamente retrospettiva (Prima Parte)

Questa settimana ci prenderemo una pausa dalla regolare programmazione del MMP. Al suo posto, sto postando [il testo del] l’intervento d’apertura che ho tenuto alla conferenza annuale del CofFEE [1] di Bill Mitchell, a Newcastle. Come la maggior parte di voi sa, il CofFEE è il centro gemellato con il CFEPS [2] della UMKC [3]. Alcuni dei partecipanti hanno chiesto una copia del mio discorso, ed io ho ritenuto che anche qualcuno di voi potrebbe apprezzarlo, pertanto lo sto pubblicando qui. Contiene una parte della storia dello sviluppo della MMT – anche se è basata sulla mia fragile memoria, quindi non andrebbe presa troppo sul serio!

La prossima settimana torneremo [a dedicarci] alle valute “non sovrane”.

MMT: Un’analisi doppiamente retrospettiva

Intervento d’apertura: CofFEE Conference, Università di Newcastle, Australia, 2011.

Come sempre, sono felice di partecipare alla conferenza annuale del CofFEE. Penso di aver partecipato a tutte tranne una. Che strada lunga, e a volte strana, che è stata!

Warren Mosler, Bill Mitchell ed io eravamo soliti incontrarci quasi ogni anno per contare il numero di persone al mondo che avevano capito di cosa stavamo parlando. Ricordo che giusto qualche anno fa a Vail, in Colorado, avevamo finalmente superato le dita di due mani.

Ora, provando a cercare MMT su Google, appaiono milioni di risultati – e la cosa più sorprendente è che in giro per il web ci sono blog devoti alla MMT, gestiti da persone di cui non ho mai sentito parlare. Il che è una cosa buona, naturalmente, persino se non sempre capiscono le cose in maniera totalmente corretta.

E abbiamo Paul Krugman e Brad DeLong che cercano di spiegare cosa c’è di sbagliato nella MMT, anche se “prendono in prestito” le nostre idee. E policymaker, tra cui Barnanke, che sbrodolano che la spesa pubblica [avviene] tramite clic su una tastiera, cosa che li fa sembrare buoni MMTer. Senza citare la fonte.

E tutto riporta al PKT (Post Keynesian Thought [4]) dei primi anni ’90 del 1900 – il primo gruppo di discussione su internet di cui in assoluto ho sentito parlare. Iniziò con tutte le stelle dell’economia eterodossa – Paul Davidson, Herb Gintis, Michael Perelman, Ed Nell; persino Hyman Minsky vi contribuì con uno o due post.

E c’era anche questo strano ragazzo, un profano di nome Bill Mitchell, che imprecava come un marinaio ubriaco.

Non era molto tollerante nei riguardi di Keynes, ma per il resto mi trovavo d’accordo con lui più spesso di quanto non mi trovassi d’accordo con chiunque altro. Su Kalecki, su Marx, sulla politica fiscale, e specialmente contro gli Austriaci che, lentamente ma inesorabilmente, stavano uccidendo il PKT.

Emergeva anche un altro ragazzo – un gestore di fondi speculativi di nome Warren Mosler, che spingeva in maniera persistente su due cose. La prima, che esisteva qualcosa che lui chiamava soft currency economics [5]. Mi ricordava la buona vecchia economia Keynesiana del Trattato sulla Moneta, che fece seguito alla Teoria Statale della Moneta di Knapp.

E c’era l’occupazione garantita, che immediatamente riconobbi nel datore di lavoro di ultima istanza di Minsky. Non ricordo come lo chiamava Warren, ma Bill lo chiamava BSE, buffer stock employment [6].

Non ci avevo mai pensato in quel modo, ma la similitudine evidenziata da Bill con gli schemi di stabilizzazione del prezzo delle materie prime aggiunse una componente importante, che in Minsky mancava: usare la piena occupazione per stabilizzare i prezzi. Con ciò ribaltammo la Curva di Phillips [7]: disoccupazione ed inflazione non rappresentano un trade-off, anzi piena occupazione e stabilità dei prezzi vanno a braccetto.

Sfortunatamente, ad un gruppo di vacche venne una malattia chiamata BSE [8] e fummo costretti a cercare un nome alternativo. ELR [9] non mi è mai piaciuto, sebbene avesse una lunga tradizione negli USA, almeno sin dagli anni ’30 del secolo scorso. Provammo quindi PSE (public service employment [10]). Bill tirò fuori JG (job guarantee [11]), ed è quello che ha retto di più.

Ciò che Warren aggiunse fu anche una comprensione molto più profonda [del funzionamento] delle riserve bancarie e dei Titoli di Stato. Io ci arrivai dal concetto di Moneta Endogena Post Keynesiana, dall’approccio delle riserve orizzontali di Basil Moore. Non c’è nulla di profondamente sbagliato in essa, ma non comprese mai il motivo per cui uno Stato sovrano dovrebbe vendere Titoli. Warren spiegò la vendita di Titoli come un modo di drenare le riserve, e le luci si spensero. Assolutamente giusto: uno Stato vende Titoli per raggiungere il tasso d’interesse overnight target.

Penso sia stato Mat Forstater a portare l’ultimo pezzo del puzzle: l’approccio della finanza funzionale di Lerner. Credo che per nessuno di noi le conclusioni fondamentali fossero una novità, ma è stato bello scoprire che un economista piuttosto mainstream era giunto alla stessa conclusione negli anni ’40. La sostenibilità non è mai una preoccupazione appropriata ad uno Stato sovrano.

Presto Warren, Bill ed io cominciammo a discutere al di fuori del gruppo PKT. Warren chiese di vedere qualche mia pubblicazione, tra cui un libro del 1990. Nel 1994 disse di voler sponsorizzare il mio libro successivo, concedendomi un anticipo in cambio dei diritti [d’autore].

Gli spiegai che i libri di economia non fanno guadagnare soldi. Ma lui disse che questo mi avrebbe fatto vincere un Premio Nobel. Respinsi silenziosamente l’idea in quanto inverosimile, e non mi ci dedicai. Tra l’altro avevo un figlio, ed un secondo era in arrivo. Non c’era tempo per scrivere un libro.

Nel 1996 Warren scrisse di nuovo; fece un’offerta generosa, ed io asserii che in nessun modo gli avrei potuto restituire il denaro. Fu allora che realizzai che lui non solo era serio, ma anche seriamente ricco. Accettai, e lui mi distolse per un semestre dall’insegnamento. Tutto ciò che voleva, in cambio, era la possibilità di criticare le bozze dei capitoli. Cosa che fece. A volte mi convinse, altre volte fui ostinato. Warren fu sempre tollerante.

Poi mi invitò alla sua conferenza a Bretton Woods, nel 1996, dove dovetti aiutarlo a introdurre la MMT tra i suoi amici dei fondi speculativi. Iniziammo a discutere di un progetto più grande, che portò alla creazione del CFEPS, il quale prese infine forma alla UMKC – dove a noi si unirono Mat e, più tardi, Stephanie Bell/Kelton.

Bill, nel frattempo, stava fondando il CofFEE. Penso che la prima volta che venni ad OZ [Australia] fu con Ed Nell, Stephanie e Warren. E c’erano incontri in Florida, e più tardi alle Isole Vergini [USA]. Con il CFEPS, il CofFEE e in seguito il CofFEE Europe, avevamo le basi per l’eversione.

E, per saltare in avanti di qualche anno, Bill iniziò un blog. Non avevo idea di cosa fosse un blog e pensavo che stesse sprecando il suo tempo. Ma se vogliamo dare il giusto credito a qualcosa per aver diffuso la MMT in tutto il mondo, questo è il blog di Bill. Mentre le riviste accademiche, i policymaker e la stampa mainstream potevano sostanzialmente ignorarci, la blogsfera era assolutamente aperta alle idee nuove.

Lasciatemi tornare al 1997, quando stavo terminando il mio nuovo libro intitolato Understanding Modern Money [12] e mandai il manoscritto a Robert Heilbroner per vedere se avesse voluto scrivere un trafiletto per la copertina. Mi chiamò immediatamente per dirmi che non poteva farlo.

Nel modo più gentile a lui possibile, disse (con la voce più rassicurante) “Il tuo libro è sulla Moneta – il più terrificante di tutti gli argomenti. E questo libro spaventerà tutti a morte”.

Eccoci qui un decennio e mezzo dopo, e ancora li stiamo spaventando. Perché? Perché nessuno vuole la verità sulla Moneta. Vogliono finzioni confortanti, fantasie, favole con cui addormentarsi.

Di certo, questa storia parla – a sinistra – della perfida Fed e dei banchieri e delle cospirazioni contro i poveri; a destra, della perfida Banca Centrale e il Governo, la Massoneria e le cospirazioni contro i ricchi.

L’unica cosa su cui sembrano concordare è la necessità di tornare ad una Moneta sana, anche se non necessariamente concordano su ciò che “sana” sta a significare.

Quello che voglio fare, oggi, è affermare che sia la sinistra che la destra, e così pure economisti e policymaker di tutto lo spettro politico, non riescono a riconoscere che la Moneta è un monopolio pubblico.

La ben nota favola che tutti raccontano ai bambini per farli addormentare, narra che la Moneta è un’invenzione privata di qualche arguto Robinson Crusoe che era stanco dei disagi del barattare pesci, rapidamente deperibili, con le tanto desiderate noci di cocco accantonate da Venerdì.

Ammassi di cellule egoiste, colme di desiderio, ridussero continuamente i costi di transazione, guidati da una mano invisibile che selezionava la materia prima con le caratteristiche migliori per assolvere il ruolo di mezzo di scambio più efficiente. Come tutti sanno, dai Marxisti agli Hayekiani, questa si rivelò essere l’oro.

I mercati autoregolanti mantennero un perpetuo stato di massima beatitudine, producendo un vettore di equilibrio dei prezzi relativi per tutti i beni commerciabili, inclusa la Moneta aurea che opera come numerario e cela il tutto.

Tutto andava splendidamente finché il nefasto Stato non interferì, dapprima mietendo il signoraggio dal conio monopolizzato, poi stampando una quantità di Moneta eccessiva in proporzione ai beni esistenti, troppo scarsi, e sopprimendo infine l’efficienza della regolazione delle istituzioni finanziarie private.

Specialmente negli USA, leggi e regolamentazioni malaccorte condussero ad un numero eccessivo di intermediatori finanziari ma, allo stesso tempo , ad un’intermediazione finanziaria assolutamente scarsa.

Il Presidente Volcker assestò il primo colpo per il ripristino dell’efficienza gettando l’intero settore Risparmi e Prestiti in stato d’insolvenza, e consentendo poi alle casse di risparmio di fare qualunque cosa facesse loro piacere.

Il secondo colpo, la deregolamentazione, si colloca per la verità durante l’epoca Nixon, e perfino in precedenza, ma ha assunto la forma di un movimento di auto-regolamentazione durante gli anni ’90 del 1900, sulla base dell’inoppugnabile logica secondo cui il razionale interesse individuale dovrebbe trattenere gli istituti finanziari dal compiere qualcosa di imprudente.

Tutto ciò fu codificato nell’accordo di Basilea II, che diffuse nel mondo ogni sorta di pratica finanziaria anglosassone. Il colpo finale sarebbe stato quello di legare le mani dei fautori della politica monetaria ad avere obiettivi [di contenimento] d’inflazione, e quelle dei policymaker fiscali ad avere come obiettivo il pareggio di bilancio, al fine di preservare il valore della Moneta.

Tutto ciò ha portato all’era della “grande moderazione” di Bernanke, in cui stabilità finanziaria e crescita della ricchezza concorrono a creare la “ownership society” [13], in cui tutti gli individui produttivi spartiscono l’abbondanza del capitalismo autoregolato.

Sappiamo com’è andata a finire quella storia. Sotto molti degli aspetti importanti, siamo riusciti a ricreare le stesse identiche condizioni del 1929, e la storia si è ripetuta con gli stessi identici risultati.

Prendete Il Grande Crollo di John Kenneth Galbraith, cambiate le date e qualche nome, ed avrete l’autopsia della nostra calamità attuale.

Perché gli economisti sbagliano così tanto? Essi non solo fraintendono la natura della Moneta, ma anche la natura del mercato.

È usuale collegare l’economia Neoclassica alla fisica del XVIII e XIX secolo, con la sua nozione di equilibrio, di un pendolo che una volta disturbato ritorna infine alla quiete. Analogamente, un’economia soggetta ad uno shock esogeno cerca l’equilibrio attraverso le forze stabilizzatrici del mercato, scatenate dalla mano invisibile.

Questa metafora può essere applicata, virtualmente, a qualunque sfera dell’economia: dai micro-mercati del pesce, che sono traded spot [14] ai macro-mercati di una cosa chiamata lavoro, fino ai complessi mercati finanziari di CDO [15] sintetici.

Grazie alla guida della mano invisibile, domanda e offerta trovano un equilibrio e tutti i mercati sono in equilibrio.

Armato di metafore [prese in prestito] dalla fisica, l’economista non ha assolutamente alcun problema ad estendere l’analisi a livello internazionale, al commercio di materie prime, a quelli che sono chiamati flussi di capitali – per usare un eufemismo – ed alle valute stesse.

Di certo esiste un prezzo, da qualche parte, in qualche luogo, in qualche modo, che equilibrerà domanda e offerta – per le cose che possiamo farci cadere sui piedi rompendoci un dito, per gli sforzi mentali e fisici dei nostri confratelli, per finire con derivati nozionali che non occupano spazio né tempo.

Tutto deve essere in equilibrio e, se non lo è , forze invisibili ma possenti assolveranno l’inevitabile [compito].

 

Note del Traduttore

1.^ CofFEE: Il Centre of Full Employment and Equity, Centro per la Piena Occupazione e la Parità, è un centro di ricerca situato presso l’Università di Newcastle, Australia; fonte: Newcastle.edu.au

2.^ CFEPS: Centre for Full Employment and Price Stability, Centro per la Piena Occupazione e la Stabilità dei Prezzi

3.^ UMKC: University of Missouri – Kansas City

4.^ Post Keynesian Thought: Pensiero post Keynesiano

5.^ Soft Currency Economics: Economia della valuta flessibile

6.^ In economia, il buffer stock (scorta tampone) è uno strumento che consente di stabilizzare il prezzo di un bene, tipicamente una commodity: quando sul mercato ve n’è una quantità eccessiva, ed il prezzo tenderebbe a scendere, il bene viene accantonato e mantenuto in buone condizioni; quando viceversa la quantità sul mercato è insufficiente, la scorta viene gradualmente messa in vendita così da ovviare alla carenza ed evitare un aumento dei prezzi.
Analogamente, l’utilizzo di uno schema buffer stock di occupazione consente di stabilizzare il livello di occupazione ed il costo del lavoro: quando il settore privato è in contrazione, i lavoratori licenziati verrebbero assunti dallo Stato in appositi “piani di lavoro di transizione” (PLT), che li accoglierebbero garantendo loro una retribuzione adeguata ed una continuità lavorativa; in fase di espansione il settore privato potrebbe invece liberamente attingere da essi forza lavoro. Il saldo del bilancio pubblico, se manovrato in direzione anticiclica, permette di compensare le contrazioni e le espansioni del settore privato, stabilizzandolo. I PLT agirebbero cioè da stabilizzatori automatici, aumentando la spesa in deficit del settore pubblico nelle fasi di contrazione e riducendola in quelle espansive.
Per assicurare la stabilità dei prezzi, la politica attuale prevede invece l’utilizzo di un buffer stock di disoccupazione; in questo caso, tuttavia, la forza lavoro che entra nel buffer in condizioni di crisi difficilmente ve ne esce nelle fasi di espansione, perché il settore privato assume più facilmente chi ha maturato una continuità lavorativa.

7.^ In macroeconomia, la Curva di Phillips rappresenta una relazione inversa tra il tasso di inflazione e il tasso di disoccupazione. Essa afferma che un aumento della disoccupazione risulta correlato ad un relativo decremento del saggio dei prezzi. Fonte: Wikipedia.org

8.^ BSE: Bovine Spongiform Encephalitis, nota anche come “mucca pazza”

9.^ ELR: Employer of Last Resort, datore di lavoro di ultima istanza

10.^ Public service employment: occupazione di servizio pubblico

11.^ Job guarantee: lavoro garantito

12.^ Understanding Modern Money: Capire la Moneta Moderna

13.^ Ownership society: Slogan usato dall’ex-Presidente degli USA George W. Bush per indicare e promuovere un modello di società fondata sulla responsabilità personale, sulla libertà economica e sulla proprietà personale; fonte: Wikipedia.org

14.^ Traded spot: Mercato in cui lo scambio si conclude con la consegna del bene e il pagamento contestuale del suo prezzo

15.^ CDO: Collateralized Debt Obligation, un portafoglio di obbligazioni in cui è di fatto impossibile valutare i rischi di ciascuna obbligazione a causa dell’enorme numero di debiti individuali ad essa sottostanti. La conseguenza è che gli acquirenti, non potendo valutare correttamente le potenziali perdite dovute all’insolvenza dei debitori, si libereranno delle CDO non appena comprenderanno l’aumento della quota di debitori insolventi

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Originale pubblicato l’11 dicembre 2011

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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