La scorsa settimana abbiamo esaminato la Finanza Funzionale nella versione di Milton Friedman, che abbiamo scoperto essere notevolmente simile a quella di Abba Lerner. Se l’economia sta operando al di sotto del livello di piena occupazione, lo Stato dovrebbe intervenire realizzando un deficit di bilancio; se [sta funzionando] al di sopra di tale livello, lo Stato dovrebbe [invece] realizzare un surplus. Egli sostenne anche che tutta la spesa pubblica dovrebbe essere finanziata attraverso la “stampa di Moneta”, e che le tasse [al contrario] distruggono Moneta. Il che, come sappiamo, è un’accurata descrizione del [meccanismo di] spesa di uno Stato sovrano — eccetto per il fatto che, per creare Moneta, basta cliccare su una tastiera, non [occorre] stamparla [fisicamente]. Il deficit [pubblico] è creazione netta di Moneta, attraverso clic su una tastiera. L’unico problema con l’analisi di Friedman è che lui non tenne conto del settore estero: desiderava un bilancio in pareggio in [condizioni di] piena occupazione, ma se un Paese tende a realizzare un deficit commerciale in piena occupazione, allora deve realizzare [anche] un deficit di bilancio pubblico per consentire al settore privato di incorrere in un pareggio di bilancio — che è il minimo che ci dovremmo aspettare in condizioni normali.
In qualche modo, tutta questa comprensione andò persa nel corso del dopoguerra e fu sostituita dal concetto di “finanza sana”, che è tutto fuorché sana. Si basa su un’inappropriata estensione allo Stato del concetto di “vincolo di bilancio” proprio delle famiglie. Cosa ovviamente inappropriata — le famiglie sono utilizzatori della valuta, mentre lo Stato ne è l’emettitore. Esso non è soggetto a nessun vincolo che sia simile a quello di bilancio delle famiglie. Com’è potuto succedere che l’economia sia diventata tanto confusa? Vediamo cosa disse Paul Samuelson, e poi andremo a vedere la politica adatta a promuovere una crescita di lungo periodo.
Finanza Funzionale versus Superstizione. L’approccio della finanza funzionale di Lerner è stato sostanzialmente dimenticato dagli anni ’70 del 1900. A dire il vero, nel mondo accademico fu sostituito con qualcosa noto come “vincolo al bilancio pubblico”. L’idea è anch’essa semplice: la spesa di uno Stato è limitata dal suo gettito fiscale, dalla sua capacità di indebitarsi (di vendere Titoli) e dalla “stampa di Moneta”. Secondo quest’approccio, lo Stato spende davvero le sue entrate fiscali e prende in prestito Moneta dai mercati quando le entrate fiscali sono insufficienti. Se tutto il resto fallisce, allora può ricorrere alle presse da stampa, ma la maggior parte degli economisti aborriscono tale attività perché ritenuta altamente inflazionistica. Infatti, gli economisti fanno continuamente riferimento agli episodi di iperinflazione — come alla repubblica tedesca di Weimar, all’esperienza dell’Ungheria o, in tempi moderni, allo Zimbabwe — come racconto ammonitorio contro il “finanziamento” della spesa attraverso la stampa di Moneta.
Si noti che vengono sollevate due questioni correlate. Primo, lo Stato è “vincolato” essenzialmente come una famiglia. Una famiglia guadagna un reddito (salari, interessi, profitti) e, quando quest’ultimo è insufficiente, essa può realizzare un deficit indebitandosi con una banca o un altro istituto finanziario. Nonostante si riconosca che lo Stato ha anche la possibilità di stampare Moneta, una cosa che invece le famiglie non possono fare, questa possibilità è vista come un comportamento straordinario — una sorta di ultima spiaggia. Non c’è alcuna consapevolezza del fatto che tutta la spesa pubblica avviene in realtà accreditando conti bancari — attraverso “clic” su una tastiera, [ossia attraverso un’] operazione molto più simile alla “stampa di Moneta” di quanto non lo sia la “spesa a deficit”. Vale a dire, il secondo punto è che l’approccio comune non riconosce che, in quanto emettitore della valuta sovrana, lo Stato davvero non può fare affidamento sui contribuenti o sui mercati finanziari per approvvigionarsi della “Moneta” di cui ha bisogno. Dal principio, contribuenti e mercati finanziari possono solo restituire allo Stato la “Moneta” che hanno ricevuto dallo Stato. Vale a dire che i contribuenti pagano le tasse usando gli ITD dello Stato; le banche usano gli ITD dello Stato per acquistare Titoli pubblici.
Questa confusione da parte degli economisti porta quindi all’approccio propagandato dai media e dai policymaker: uno Stato che spende continuamente di più rispetto alle proprie entrate fiscali sta “vivendo al di sopra dei propri mezzi”, scherzando con [il rischio di] “insolvenza” perché – alla fine – i mercati “smetteranno di concedere credito”. Di certo, la maggior parte dei macroeconomisti non fa questi errori — essi riconoscono che uno Stato sovrano non può davvero diventare insolvente nella propria valuta. Essi riconoscono che lo Stato può mantenere tutte le promesse quando arrivano alla scadenza, perché può “ricorrere alle presse da stampa”. Eppure, essi tremano al solo pensiero — poiché ciò esporrebbe il Paese ai pericoli dell’inflazione o dell’iperinflazione. La discussione da parte dei policymaker, quantomeno negli USA, è di gran lunga più confusa. Il Presidente Obama, per esempio, nel 2010 ha affermato che il Governo USA stava “finendo i soldi” — come fosse una famiglia che avesse speso tutta la Moneta risparmiata nel barattolo dei biscotti.
Dunque, come siamo arrivati a questo punto? Come abbiamo potuto dimenticare ciò che Lerner chiaramente comprese e spiegò?
Durante un’intervista molto interessante in un documentario su J. M. Keynes prodotto da Mark Blaug, Samuelson spiegò:
Penso vi sia un elemento di verità nell’approccio basato sulla superstizione secondo cui in ogni momento il bilancio debba essere in pareggio [è necessario]. Una volta sfatata, [si] elimina uno dei baluardi che ogni società deve innalzare per difendersi dalla spesa incontrollata. Ci dev’essere disciplina nell’allocazione delle risorse, o si avranno caos anarchico ed inefficienza. Ed una delle funzioni dell’antica religione era quella di spaventare le persone attraverso quelli che potrebbero talvolta essere considerati dei miti, [al fine di] indurre comportamenti che la vita civilizzata di lungo periodo esige. Abbiamo rimosso la convinzione della necessità intrinseca del pareggio di bilancio, se non ogni anno, [comunque] entro brevi lassi di tempo. Se il Primo Ministro Gladstone tornasse in vita direbbe “Oh! Cos’avete fatto”, e James Buchanan si schiera in quei termini. Devo dire che vedo del merito in quell’opinione.
La convinzione che lo Stato debba pareggiare il bilancio in un certo intervallo di tempo è paragonata ad una “religione”, una “superstizione” necessaria a spaventare la popolazione per far sì che si comporti in una maniera desiderata. Altrimenti, gli elettori potrebbero chiedere che i loro funzionari eletti spendano troppo, provocando inflazione. Pertanto, la credenza che il pareggio di bilancio sia un risultato desiderabile non ha nulla a che vedere con la “sostenibilità”, e le analogie tra il bilancio di una famiglia ed il bilancio dello Stato non sono corrette. Piuttosto, è necessario vincolare la spesa pubblica attraverso il “mito”, proprio perché lo Stato non è soggetto a vincoli di bilancio.
Gli USA (e molti altri Paesi) hanno davvero affrontato pressioni inflazionistiche tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’90 del secolo scorso (almeno periodicamente). Coloro che credevano che l’inflazione derivasse da una spesa pubblica eccessiva contribuirono ad alimentare la creazione della “religione” del pareggio di bilancio per combattere l’inflazione. Il problema è che quello che iniziò come qualcosa di riconosciuto come “mito” da economisti e policymaker finì per essere considerato la verità. Fu sviluppata una comprensione non corretta.
Originariamente il mito era “funzionale”, nel senso che poneva un limite ad uno Stato che altrimenti avrebbe speso troppo, creando inflazione e mettendo a rischio il vincolo del Dollaro all’oro. Ma come molti miti utili, questo alla fine diventò dannoso — un esempio di ciò che John Kenneth Galbraith chiamava una “innocente frode”, una convinzione ingiustificata che impedisce il comportamento opportuno. I Governi sovrani iniziarono a credere che davvero non potessero “permettersi” di intraprendere la politica ritenuta appropriata, nella convinzione che avrebbero potuto diventare insolventi. Ironicamente, nel bel mezzo della peggiore crisi economica dalla Grande Depressione degli anni ’30 del 1900, il Presidente Obama ha sostenuto ripetutamente che il Governo USA aveva “finito i soldi” — che non si poteva permettere di perseguire la politica che quasi tutti ritenevano essere più desiderabile. Quando la disoccupazione aumentò fino a quasi il 10 %, il Governo era paralizzato — non poteva adottare la politica raccomandata da Lerner: spendere quanto necessario a far tornare l’economia in direzione della piena occupazione.
Ironicamente, nel corso della crisi, sostanzialmente la Fed (così come altre Banche Centrali, inclusa la Bank of England e la Bank of Japan) seguì il secondo principio di Lerner: mise a disposizione una quantità di riserve bancarie più che sufficiente a mantenere il tasso d’interesse overnight ad un valore prossimo a zero. Lo fece acquistando asset finanziari dalle banche (una politica nota come “quantitative easing”) in quantità record (1750 miliardi di Dollari nella prima fase, con altri 600 miliardi aggiuntivi programmati nella seconda fase). Il Presidente Bernanke fu in effetti “tenuto sotto torchio” dal Congresso circa la provenienza di tutta quella “Moneta” necessaria ad acquistare i Titoli. Egli affermò (correttamente) che la Fed semplicemente la creò accreditando riserve bancarie — cliccando su una tastiera. La Fed non può mai finire la “Moneta”; essa può permettersi di acquistare qualunque asset finanziario che le banche siano disposte a vendere.
Eppure, abbiamo il Presidente (al pari di molti economisti e della maggior parte dei politici nel Congresso) che crede che il Governo stia “finendo i soldi”! Ci sono un sacco di “clic” con cui acquistare asset finanziari, ma non ci sono i “clic” per pagare i salari.
Questo indica quanto questo mito sia diventato disfunzionale.
Un Saldo di Bilancio per la Promozione della Crescita di Lungo Periodo. La lezione che si può imparare da quei trent’anni di esperienza USA è che, in un contesto in cui il settore privato è desideroso di realizzare un surplus di bilancio (accumulare risparmi) e che è caratterizzato dalla propensione a realizzare deficit delle partite correnti, il bilancio pubblico deve essere indirizzato al deficit persino in piena occupazione. Questa è una situazione che non fu prevista da Friedman (fatto non sorprendente, visto che nel corso dei primi due decenni dopo la seconda Guerra Mondiale gli USA realizzarono un surplus delle partite correnti). L’altra lezione da imparare è che un surplus di bilancio [pubblico] (come quello a cui presiedette il Presidente Clinton) non è qualcosa da celebrare come un traguardo — proviene da un’identità, ed è indice di un deficit del settore privato (ignorando le partite correnti). A differenza dell’emettitore sovrano della valuta, il settore privato è un utilizzatore della valuta. Quest’ultimo è realmente soggetto ad un vincolo di bilancio. E come ora sappiamo, quel decennio di spesa a deficit da parte del settore privato USA lo lasciò con una montagna di debiti che non avrebbe potuto onorare. Essa è parte della spiegazione della crisi finanziaria globale che iniziò negli USA.
Le relazioni causali sono certamente complesse. Non dovremmo arrivare alla conclusione che il deficit privato fu causato dal surplus di bilancio [pubblico realizzato durante la Presidenza] di Clinton; né dovremmo concludere che la crisi globale andrebbe attribuita unicamente alla spesa a deficit delle famiglie USA. Ma possiamo concludere che le identità contabili sono valide: in presenza di un saldo delle partite correnti pari a zero, un deficit del settore privato nazionale corrisponde ad un surplus del settore pubblico. Se il saldo delle partite correnti è in deficit, allora il settore privato può realizzare un surplus (“risparmiare”) solo se il livello di deficit del bilancio pubblico è superiore a quello delle partite correnti.
Infine, la conclusione cui dovremmo giungere grazie alla nostra comprensione della sovranità della valuta è che un deficit pubblico è più sostenibile di un deficit realizzato dal settore privato — lo Stato è l’emettitore della valuta, [mentre] una famiglia o un’impresa ne sono utilizzatrici. A meno che un Paese possa realizzare un surplus delle partite correnti continuativo, sarà necessario che il bilancio dello Stato sia stabilmente indirizzato verso un saldo in deficit al fine di promuovere una crescita di lungo periodo.
Tuttavia, dalle nostre discussioni precedenti sappiamo che il margine di manovra della politica fiscale — argomento del prossimo blog — dipende dal regime di tasso di cambio.
Inoltre, vogliamo essere chiari: il saldo di bilancio [pubblico] appropriato dipende dal saldo degli altri due settori. Un Paese che tende a realizzare un surplus delle partite correnti può attuare una politica fiscale più restrittiva; esso potrebbe persino realizzare un surplus di bilancio pubblico duraturo (come accade a Singapore — che vincola il suo tasso di cambio ed incorre in un surplus di bilancio mentre realizza un surplus delle partite correnti, accumulando valuta estera). Un surplus di bilancio pubblico è appropriato anche quando il settore privato nazionale realizza un deficit (dato un saldo delle partite correnti pari a zero, dev’essere vero per identità). Tuttavia, per le ragioni discusse in precedenza, questo — in ultima analisi — non è sostenibile poiché il settore privato è un utilizzatore, e non un emettitore, della valuta.
Infine, dobbiamo notare come non sia possibile che tutti i Paesi realizzino surplus delle partite correnti — gli esportatori netti dell’Asia, ad esempio, fanno molto affidamento sulle vendite agli USA, che [in cambio] offrono asset in Dollari agli esportatori che desiderano accumularne attraverso la realizzazione del deficit delle partite correnti. Concludiamo che almeno alcuni Paesi dovranno realizzare deficit di bilancio persistenti affinché i risparmiatori del mondo possano ricevere gli asset finanziari netti desiderati. Ha senso che a ricoprire quel ruolo sia il Governo del Paese che offre la valuta di riserva internazionale. Al momento, si tratta del Governo degli Stati Uniti.
Originale pubblicato il 22 gennaio 2012
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo
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