L'Editoriale

La strategia Europa 2020 contro la povertà combatte tutto tranne la povertà

La povertà in Italia e nell’Eurozona è in costante aumento. Niente di nuovo. È la naturale conseguenza delle politiche economiche delle Unione Europea: più tagli la spesa pubblica più diminuisce il reddito delle famiglie che sono costrette a diminuire i consumi aggravando la disoccupazione.

Questo è facilmente comprensibile ai bambini ma non ai Commissari Europei che, a proposito di bambini, si ostinano a far entrare le formine dentro la sfera tramite un buco che ha però una forma diversa.

Così credono che tagliando la spesa pubblica e abbassando i salari si possa magicamente creare crescita.

Contro la povertà l’Unione Europea istituisce nel 2010 la Strategia Europa 2020 – Piattaforma europea contro la povertà e l’emarginazione che ha l’obiettivo di lottare contro la povertà e l’esclusione sociale, riducendo del 25% il numero di europei che vivono al di sotto della soglia nazionale di povertà facendo uscire dalla povertà oltre 20 milioni di persone entro il 2020.

È già un controsenso che l’Unione Europea si proponga di lottare contro una cosa che ha creato lei stessa. E il controsenso emerge anche dall’appello che il Parlamento Europeo ha rivolto alla Commissione Europea il 15 novembre 2011 dove

il Parlamento invita la Commissione a garantire che le misure di austerità definite di concerto con gli Stati membri non mettano in discussione il conseguimento dell’obiettivo della strategia Europa 2020 di far uscire 20 milioni di persone dalla povertà.

Ma il Parlamento Europeo vale un due di picche e dopo 3 anni stiamo peggio di prima.

Cosa si propone Strategia Europa 2020 per ridurre la povertà? Innanzitutto il miglioramento dell’occupabilità degli indigenti ovvero la capacità delle persone di essere occupate o di saper cercare attivamente, di trovare e di mantenere un lavoro. In piena deflazione economica i posti di lavoro sono pochi rispetto al numero di persone che cercano un lavoro.

Se anche gli interventi finanziati dalla UE dovessero migliorare la capacità dei disoccupati di trovare un lavoro, ma si lascia inalterato il numero dei posti di lavoro, il miglioramento in termini occupazionali sarebbe pari a zero. Serve occupazione non occupabilità. Se ci sono 95 posti di lavoro ma 100 disoccupati ci saranno sempre 5 persone fuori dal mercato del lavoro, anche se tutti e 100 migliorassero le loro competenze. Ricorre spesso nei documenti europei la frase

fornire alle persone indigenti le competenze che possono consentire loro di approfittare appieno dell’espansione del potenziale occupazionale.

Il principio “non dare un pesce ma insegna a pescare” è stato travisato dalla UE che non ha dato pesci, ha insegnato a pescare ma ha tolto i pesci dal mare (e pure il mare).

Correttamente è inserita nella Strategia un capitolo sulla “Protezione sociale e accesso ai servizi essenziali”. La povertà va prevenuta evitando quelle situazioni per cui i giovani possono diventare anziani poveri. C’è sempre però il tuttavia che si ripete spesso nel documento: è importante avere una buona pensione tuttavia i sistemi pensionistici devono essere sostenibili in termini di finanze pubbliche. Viene raccomandato ai paesi di far restare il più a lungo possibile le persone al lavoro, come dire, non ti risolvo il problema della tua povertà da anziano ma faccio in modo che tu possa arrivarci da molto anziano, durerà meno. Stesso discorso sulla sanità: UE raccomanda di trovare il giusto equilibrio tra la legittima domanda di servizi e il fenomeno misterioso “gli Stati finiscono i soldi”. È legittimo che un indigente chieda servizi sanitari gratuiti ma è più legittimo che lo Stato risparmi. Un principio è un principio non è che può essere smantellato per il solo fatto che crea povertà e disagio. Che è poi il principio sottolineato dalla Merkel agli indigenti greci a seguito della fallimentare trattativa di Tsipras

è importante risolvere la crisi umanitaria ma soprattutto mantenere le finanze stabili.


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