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La povertà si elimina con il lavoro

La povertà si elimina con il lavoro

Il 18 maggio, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si è tenuta la conferenza “Combattere le diseguaglianze eliminando la povertà”.

L’evento, risultato della collaborazione tra Rete MMT e Rethinking Economics – studenti Cattolica, ha proposto in sede accademica il dibattito sui due drammi che più affliggono la società: la povertà e le disuguaglianze economiche e sociali. I due temi sono stati affrontati da diversi punti di vista ed utilizzando molteplici approcci teorici, in modo da dare una visione il più completa possibile. La povertà e le disuguaglianze sono una manifestazione delle politiche economiche perseguite, ma l’analisi economica va integrata con un ampio ed eterogeneo insieme di strumenti di indagine come la sociologia, la filosofia etica e morale.

L’intervento della professoressa Chiara Saraceno, docente di Sociologia presso l’Università di Torino, ha ruotato intorno alla necessità di conciliare l’occupazione con la lotta alla povertà, in quanto i due aspetti non sempre procedono insieme. Oggi assistiamo ad un aumento dei lavori part-time e delle tipologie di lavoro precario, che non si configurano però né come occupazione decente né come misura di contrasto alla povertà. Avere un lavoro oggi non è sufficiente per non dirsi poveri, come dimostra il caso della fascia di poveri composta da nuclei familiari con basso monoreddito.

Il professor Randall Wray, docente di Economics presso la University of Missouri – Kansas City e Senior Scholar al Levy Economics Institute of New York, ha fatto notare che i costi della disoccupazione non sono misurabili solo in termini economici, ma hanno anche componenti sociali molto forti: oltre alla mancata produzione, la disoccupazione ha infatti una ricaduta in termini di emarginazione sociale, crimine, povertà ed instabilità sociale e politica. L’alto livello di disoccupazione registrato ai giorni nostri è spiegato da un livello di spesa pubblica troppo basso rispetto a quello della tassazione, e da qui nasce l’esigenza di aumentare il deficit del settore pubblico. Uno Stato con la sua valuta sovrana possiede gli strumenti necessari per raggiungere la piena occupazione ed offrire un salario che possa permettere ai lavoratori una vita dignitosa. In particolare, il professor Wray ha illustrato i contenuti del Job Guarantee, o piano di lavoro garantito, una misura di politica economica che porterebbe all’occupazione di tutti coloro che vogliono e possono lavorare. Attraverso i piani di lavoro garantito, l’offerta di lavoro verrebbe interamente comprata creando una riserva di occupati che porterebbe un diffuso benessere ed uno sviluppo sostenibile per la società. La misura comporta indirettamente l’istituzione di un salario minimo dignitoso, sotto il quale nessun lavoratore presterebbe il proprio lavoro. Il valore della valuta sarebbe agganciato ad un’ancora di alta qualità, ovvero il lavoro, e ciò si tradurrebbe in un’elevata stabilità dei prezzi e del valore della valuta. Tuttavia, avverte il professor Wray, non è scontato che lo Stato decida di avvalersi di strumenti che portino alla piena occupazione, in quanto esistono motivazioni politiche che fanno tendere lo Stato alla conservazione di un esercito di riserva di disoccupati, con l’obiettivo di mantenere alta la ricattabilità dei lavoratori e bassa la quota dei salari.

L’analisi del Professor Luigi Campiglio, docente di Politica Economica presso l’Università Cattolica, ha messo in risalto come le politiche di austerità abbiano danneggiato le fasce sociali più deboli. È stato mostrato come la generazione che va dai 20 ai 39 anni, identificata come il gruppo sociale che gioca un ruolo strategico per lo sviluppo del Paese, sia stata fortemente danneggiata dalle misure di austerità poste in essere in questi anni. Tali politiche hanno fatto sprofondare alcuni gruppi sociali in una trappola dalla quale è molto complesso uscire. L’economia è spesso definita scienza della scelta, ma il professor Campiglio ha mostrato come alcuni gruppi sociali in realtà abbiano ben poco da scegliere.

Padre Michael Czerny, membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha valutato la relazione tra la fragilità del sistema ambientale e la crescente povertà come un elemento che deve far pensare alla conversione della nostra società verso un nuovo modello economico. Padre Michael afferma che non si raggiunge una crescita attraverso l’accumulo di ricchezze materiali, ma che la vera crescita si basa su tre pilastri: sviluppo economico, inclusione sociale e sostenibilità ambientale. L’economia è forte e dinamica quando permette a tutti di trarre beneficio dai frutti prodotti, ed è quindi indispensabile promuovere un lavoro dignitoso che sia sostenibile per il lavoratore, per il datore di lavoro, per la comunità e per l’ambiente. Padre Michael ha espresso una forte critica verso il paradigma tecnocratico, così chiamato da Papa Francesca nella sua enciclica Laudato Sì, paradigma che si serve di un’ideologia che interpreta la natura e la persona come un oggetto da controllare, senza alcuna preoccupazione per il suo valore o i suoi limiti.

Padre Michael ha concluso affermando che il sapere economico non deve essere demonizzato, ma deve essere liberato dalla distorsione concettuale creata dal principio della massimizzazione del profitto.

Il Professor Riccardo Bellofiore, dell’Università di Bergamo, ha valutato la crisi in atto come una crisi della teoria dominante ed anche delle teorie alternative. Per avere una valida critica dell’esistente non si può non partire da un ragionamento che muova sul capitalismo, e quindi dal controllo politico e dal conflitto tra le classi sociali da cui è animato. Le politiche di pieno impiego alimentano forti opposizioni da parte di alcune classi sociali che non sono disposte a slegare l’andamento dell’economia dalle proprie aspettative. Il professore vede in un cospicuo intervento dello Stato la chiave per uscire dalla crisi di questi tempi, promuovendo un piano di lavoro rivolto ai lavoratori, qualificati e non, che si estenda ad un orizzonte temporale medio-lungo.

È comune a tutti gli interventi la necessità di abbandonare le disastrose politiche di austerità che rafforzano le disparità economiche e producono vere e proprie tragedie sociali.

Parlare di povertà e disuguaglianze in un luogo di cultura così prestigioso come il contesto accademico è stato un passo importante, che noi speriamo possa servire da stimolo e da incoraggiamento per lo sviluppo del dibattito. Le istituzioni e le Università, infatti, sono troppo spesso miopi davanti alle problematiche che coinvolgono la società. Per questo è importante elogiare l’impegno di quegli studenti che organizzano momenti di formazione e di sviluppo di una diffusa consapevolezza. La collaborazione tra Rete MMT e Rethinking Economics per l’organizzazione di questa iniziativa è l’esempio di come l’incessante e continuo impegno sia la chiave per creare una cultura economica e sociale diversa.


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