L'Editoriale

La collettività è più ricca quando ha tanti beni, non quando se ne priva. Proprio come te

Nella macroeconomia la letteratura tecnica utilizza le lettere X ed M per identificare gli scambi economici con l’estero. La lettera X rappresenta le esportazioni, ovvero tutto quello che una collettività nazionale produce internamente per poi venderlo ad altri soggetti (pubblici o privati) in altre nazioni. La lettera M individua le importazioni, ovvero tutti i beni e servizi che una collettività nazionale importa dalle altre nazioni e che poi verranno utilizzate internamente.

Si tratta di un’infinità di cose, completamene diverse tra di loro (dal grano ai progetti, dal software al cemento etc…) che escono o entrano in una nazione e la moneta è l’unità che le misura e permette un confronto quantitativo.

La differenza tra X ed M sarà quindi espressa in unità di conto rappresentata dalla moneta di uno Stato (dollari, euro, yen etc.). Di seguito una delle due situazioni in cui uno Stato si può trovare:

X – M = valore negativo

In questo caso la collettività esporta MENO di quanto importa. Gli economisti mainstream ricorderebbero che i deficit della bilancia commerciale sono insostenibili e che vanno a discapito del lavoro e della produzione. La soluzione? Azzerare il deficit commerciale per poi portarlo a valori positivi.

Questo ragionamento può apparire corretto alla maggioranza delle persone, perché la nostra testa (e con la nostra anche quella di molti economisti) confonde l’unità di misura con le cose misurate.

Vediamo il dato da un altro punto di vista: il benessere reale di una nazione è costituito da tutto ciò che produce e che tiene per se, più tutte le importazione meno quello che esporta.

Pertanto il benessere di una nazione è dato dalle cose che vengono utilizzate (libri, scuole, automobili, prestazioni professionali, manutenzioni, macchinari, manodopera etc…) e non dai bit o la carta moneta che le misura.

Finché c’è qualcuno disposto ad inviarci beni e servizi in cambio della nostra moneta non c’è nessun motivo per mettervi fine in quanto noi stiamo godendo di cose reali che aumentano il nostro benessere.

L’importazione di beni potrebbe rendere inutili le imprese all’interno dello Stato che producono quei beni. La MMT spiega però che lo Stato attraverso la sua moneta fiat è sempre in grado di attuare una politica fiscale (tagliando le tasse e regolando la spesa governativa) che permetta (se preferibile) ai propri cittadini di produrre altri beni e servizi internamente (piuttosto che importarli). Tale politica sarebbe in grado di garantire un potere di spesa tale da permettere di acquistare sia tutto quello che NOI produciamo SIA tutto quello che vogliamo importare, fino a che esistono soggetti “esteri” disponibili a venderci i beni che producono.

Non sorprende a questo punto scoprire che l’Italia del boom economico (1950 – 1970) aveva una bilancia commerciale con l’estero in deficit.

Rimane da chiarire un punto: l’acquisto dei beni che importiamo comporta la contrazione di un debito con l’estero? Esaurisce il risparmio nazionale?

Se il nostro amico che vive a Londra decide di comprarsi una macchina prodotta in Cina va nella sua banca inglese e chiede un prestito in sterline che spende per comprarsi la macchina. La casa automobilistica cinese ora si ritrova un deposito di sterline in una banca inglese. La banca ha effettuato un prestito ed ha un deposito. Tutto è in equilibrio. Il nostro amico che preferisce l’auto alle sterline è soddisfatto. La banca che vuole prestiti e depositi è soddisfatta, altrimenti non avrebbe dato nulla al nostro amico. La casa automobilistica cinese che vuole ottenere sterline piuttosto che l’automobile è soddisfatta.

La creazione del credito, ovvero il prestito bancario, ha finanziato il desiderio da parte della casa automobilistica cinese di avere dei risparmi in sterline. La casa automobilistica cinese ora può usare le sterline per acquistare attività finanziarie da chi è disposto a venderle oppure può acquistare beni e servizi sempre da chi è disposto a venderli. Quando lo farà sarà a prezzi di mercato.

Pertanto i soldi con cui acquistiamo i beni importati non creano nessun debito in moneta estera perché non c’è nessun intervento di capitale straniero ed il credito generato ha finanziato il desiderio di risparmio in sterline degli stranieri.

In economia vale l’opposto della religione: è meglio ricevere che dare.

Ma per chi vive nell’eurozona la tecnocrazia criminale ha imposto dei trattati che impediscono politiche fiscali e di spesa governativa a sostegno del potere di spesa dei cittadini. La scarsità di moneta imposta dalla BCE ci costringe a lavorare sempre di più per produrre beni e servizi da vendere all’estero (vedi la situazione della Germania) per mantenere un costante potere di spesa, mentre chi importa ( il sud Europa della zona euro) non avendo più strumenti per equilibrare il potere di spesa dei propri cittadini accumula debiti in euro gravati dagli interessi da restituire alle banche.

Un incubo finanziario di nome euro che costringe le persone a produrre beni e servizi non per il loro benessere ma per pagare gli interessi alla finanza.

Una nuova religione che ha sovvertito le leggi economiche: il popolo lavora per dare esclusivamente ad altri le cose che produce e di cui è costretto a privarsi, nel tentativo di sopravvivere.


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