1. Introduzione
Economisti, numismatici, sociologi e antropologi insieme hanno sondato a lungo la fastidiosa questione su “Che cos’è la moneta?”. E sembra che la “pazzia babilonese” di Keynes abbia influenzato una nuova generazione di studiosi non convinti delle spiegazioni convenzionali sulle origini, sulla natura e sul ruolo della moneta [1]. Tra di loro ci sono i sostenitori di un approccio eterodosso identificato come “Cartalismo”, “neo-Cartalismo”, [approccio della] “moneta guidata dalle tasse”, [approccio della] “moneta moderna” o “moneta come entità creata dallo Stato”.
Il contributo cartalista ruota intorno all’idea che la moneta non può essere studiata correttamente se isolata dai poteri dello Stato – sia che si tratti di Stati-nazione moderni, sia si tratti di antichi organi di governo. Offre così una visione diametralmente opposta a quella della teoria ortodossa, in cui la moneta nasce spontaneamente dai tentativi di individui intraprendenti come mezzo di scambio volto a minimizzare i costi di transazione del baratto. La versione standard ritiene che la moneta sia neutrale – un velo, un semplice mezzo di scambio che lubrifica i mercati e deriva il suo valore dal suo contenuto metallico.
Il Cartalismo, d’altra parte, afferma che la moneta (in generale) è un’unità di conto, designata da una autorità pubblica per la codifica degli obblighi di debito nella società. Più specificatamente, nel mondo moderno questa relazione di debito è tra la popolazione e lo Stato-nazione sotto forma di una passività fiscale. Così la moneta è un’entità creata dello Stato e un credito fiscale per estinguere questo debito. Se proprio la moneta deve essere considerata un velo, è un velo della sua natura storica specifica di queste relazioni di debito. Perciò, il Cartalismo insiste su una analisi della moneta fondata dal punto di vista storico e radicata dal punto di vista sociale.
Questo capitolo distingue tra diverse proposizioni cartaliste generali sull’origine, sulla natura e sul ruolo della moneta e diverse proposizioni specifiche sulla moneta nel contesto moderno. Offre solo un esame veloce della documentazione storica per far luce sulle caratteristiche essenziali della moneta enfatizzate nella tradizione cartalista. Le idee cartaliste non sono nuove, sebbene siano per lo più associate strettamente agli scritti di Georg Friedrich Knapp della Scuola Storica Tedesca. Così il capitolo esamina brevemente esempi della storia del pensiero che hanno enfatizzato la natura cartale della moneta. Il paper quindi discute il Cartalismo, chiarendo alcuni aspetti dei concetti propri della visione cartalista e traendo le implicazioni per le valute moderne. Conclude infine con una discussione sulle diverse applicazioni di questo approccio alla politica.
Cartalismo: le proposizioni generali
La documentazione storica suggerisce un esame del Cartalismo secondo le sue proposizioni generali e specifiche. Queste ultime affrontano la natura della moneta nel contesto moderno e, sebbene il Cartalismo non dovrebbe essere strettamente identificato con l’approccio della moneta moderna, le proposizioni specifiche sono più importanti per capire le economie odierne, le valute moderne e la politica monetaria e fiscale di governo.
Molto brevemente, le proposizioni generali del Cartalismo sono:
- Il punto di vista atomistico che considera la moneta come mezzo di scambio per minimizzare i costi di transazione del baratto tra individui che massimizzano l’utilità [a], non trova nessun supporto nella documentazione storica.
- Il contesto appropriato per lo studio della moneta tiene conto degli aspetti culturali e istituzionali, ponendo un’enfasi speciale sulle considerazioni sociali e politiche.
- Di conseguenza, i Cartalisti individuano le origini della moneta nel settore pubblico, definito in senso generale.
- Proprio per sua natura, la moneta è una relazione sociale di un particolare tipo – è una relazione credito-debito.
- Il Cartalismo offre un approccio gerarchico alle relazioni sociali di debito dove la moneta, intesa come la passività dell’entità che governa, si trova al vertice della gerarchia.
- La moneta funziona principalmente come una unità di conto astratta, che è poi usata come mezzo di pagamento e saldo di un debito. Argento, carta, oro o qualsiasi “cosa” serva come mezzo di scambio è solo la manifestazione empirica di quello che è essenzialmente una unità di conto amministrata dallo Stato. Così la funzione della moneta come mezzo di scambio è incidentale e contingente alle prime due funzioni come unità di conto e mezzo di pagamento.
- Ne deriva che, per usare l’appropriata espressione di Ingham, la moneta di conto è “anteriore da un punto di vista logico e precedente da un punto di vista storico allo scambio sul mercato” (2004: p. 25).
Neo-Cartalismo: le proposizioni specifiche
Il recente “risveglio” della tradizione cartalista, detto anche neo-Cartalismo, approccio della moneta guidata dalle tasse o approccio della moneta moderna, è particolarmente interessato a capire le valute moderne. Così i Cartalisti contemporanei propongono diverse proposizioni specifiche riguardo alla moneta nel mondo moderno:
- Le valute moderne esistono all’interno del contesto di certi poteri dello Stato. I due poteri essenziali sono:
- il potere di imporre tasse ai suoi cittadini, e
- il potere di dichiarare che cosa accetterà per il pagamento delle tasse.
- Così lo Stato definisce la moneta come quell’entità che sarà accettata nelle esattorie governative per estinguere i debiti nei suoi confronti.
- Lo scopo della tassazione non è di finanziare la spesa pubblica, ma quello di creare la domanda per la valuta – da cui il termine “moneta guidata dalle tasse”.
- Logicamente, e in pratica, la spesa pubblica avviene prima della tassazione, per fornire quanto è necessario a pagare le tasse.
- Nel mondo moderno, gli Stati di solito hanno il potere di monopolio sull’emissione della loro valuta. Stati con controllo sulla valuta sovrana (cioè quelli che non operano sotto le restrizioni di tassi di cambio fissi, dollarizzazione, unioni monetarie o currency board [b]) non affrontano nessun vincolo finanziario operativo (sebbene possano affrontare vincoli politici) [2].
- Gli Stati che emettono la loro valuta non hanno nessun obbligo di prendere a prestito o tassare per finanziare la spesa. Mentre le tasse creano la domanda di valuta, contrarre un prestito è a priori un’operazione di gestione del tasso di interesse. Questo conduce a conclusioni di politica drasticamente diverse.
- Come monopolista della propria valuta, lo Stato ha anche il potere di stabilire i prezzi, considerando sia il tasso di interesse sia prezzo al quale la valuta è scambiata con altre merci e servizi.
Il neo-Cartalismo è giustamente incluso nella scuola di pensiero generale Cartalista. Quando si dice che “la moneta è una entità creata dallo Stato” o che “le tasse guidano la moneta”, ci sono due cose importanti da tenere a mente. In primo luogo, con “Stato” ci si riferisce non solo ai moderni Stati-nazione, ma anche a qualsiasi autorità di governo come un governo sovrano, un antico palazzo, un prete, un tempio o un governo coloniale. In secondo luogo, la “tassa” denota non soltanto una moderna imposta sul reddito, sugli immobili o un’altra imposta sulla persona, ma anche un qualsiasi obbligazione non reciproco nei confronti dell’autorità di governo – multe, tasse, pagamenti, tributi, imposte e altri obblighi.
Prima di entrare nel dettaglio delle proposizioni generali e specifiche del Cartalismo, le prossime due sezioni daranno uno sguardo veloce alla documentazione storica delle origini della moneta e al riconoscimento della natura cartale della moneta nella storia del pensiero.
2. Storia della moneta
I Cartalisti insistono su uno studio della moneta basato sulla struttura delle relazioni sociali e fondato da un punto di vista storico. Mentre un resoconto conclusivo della sua genesi è forse impossibile da ottenere, essi si rivolgono ad una analisi storicamente completa per portare alla luce una spiegazione più accurata della natura, dell’origine e del ruolo della moneta [3].
Genesi della moneta
È un fatto fondato che [il concetto di] Moneta preceda la stampa di monete fisiche di quasi 3000 anni. Così i Cartalisti intendono correggere il comune errore di confondere le origini della moneta con le origini della coniazione (Innes, 1913: p. 394, Knapp, 1924: p. 1, Hudson, 2003: p. 40).
Molto in generale, essi propongono due spiegazioni dell’origine della moneta. Grierson (1977), Goodhart (1998) and Wray (2001) affermano che la Moneta ha avuto origine in antichi sistemi penali che istituivano sistemi di compensazione basati su multe, simili al guidrigildo, come mezzo per saldare il proprio debito per i danni inflitti alla parte lesa. Questi debiti erano saldati secondo un sistema complesso di esborsi, che alla fine furono centralizzati come pagamenti allo Stato per i crimini commessi. In seguito, l’autorità pubblica aggiunse varie altre multe, pagamenti, tasse e imposte alla lista delle obbligazioni della popolazione.
La seconda spiegazione, offerta da Hudson (2003) e sostenuta da alcuni studiosi di Assiriologia (ibid.: p. 45, n. 3), traccia le origini della moneta nei palazzi e templi mesopotamici, che svilupparono un sistema elaborato di contabilità interna di crediti e debiti. Queste grandi istituzioni pubbliche giocarono un ruolo chiave nello stabilire una unità di conto e conservazione del valore di uso generale (inizialmente per registrazione interna ma anche per amministrare i prezzi). Hudson sostiene che la moneta si sia evoluta attraverso istituzioni pubbliche come misura standardizzata, indipendentemente dalla pratica di pagamenti per lesioni.
Queste storie non sono mutualmente esclusive. Come suppone Ingham, dato che un sistema di debiti per trasgressioni sociali è esistito in società pre-Mesopotamiche, è molto probabile che “il calcolo delle obbligazioni sociali si trasformò in un mezzo per misurare le equivalenze tra merci” (2004: p. 91). L’analisi di Henry dell’antico Egitto (2004) unisce le due spiegazioni. In Egitto, come in Mesopotamia, la moneta è emersa dalla necessità della classe dominante di mantenere una contabilizzazione dei raccolti agricoli e dei surplus accumulati, ma è servita anche come sistema di contabilità per il pagamento di tasse, tributi esteri e obblighi tribali verso i re e i preti [4].
L’importanza della documentazione storica sta nel: (1) delineare la natura della moneta come relazione sociale di debito; (2) evidenziare il ruolo delle istituzioni pubbliche nello stabilire una unità di conto standard codificando schemi di contabilizzazione e liste di prezzi; e (3) mostrare che in tutti i casi la moneta è stata un fenomeno precedente al mercato, che rappresentava inizialmente una unità di conto astratta e un metodo di pagamento e, solo in seguito, un mezzo di scambio generalizzato.
La cartalità della moneta
La precedente discussione dà una indicazione preliminare della natura cartale della moneta. La storia rivela il ruolo dell’autorità pubblica per stabilire un equivalente universale per misurare i debiti e per determinare quale “oggetto” sarà usato in corrispondenza di questa misura di conto.
Come spiega Knapp, i pagamenti sono sempre misurati in unità di valore (1973 [1924]: pp. 7-8). La moneta perciò è cartale perché lo Stato “proclama… che un pezzo di questo tipo è valido, così come tante unità di valore” (ibid.: p. 30). È irrilevante quale materiale sarà usato in corrispondenza di quelle unità di valore. La moneta è un “biglietto” o un “gettone” usato come mezzo di pagamento o misura di valore. Il mezzo di pagamento, “sia monetine sia garanzie” o qualsiasi “oggetto fatto di materiale privo di valore”, è un “oggetto rappresentativo” al quale “un decreto [dello Stato] dà un uso che prescinde dal suo materiale” (ibid.: p. 32).
Questo è ciò che dà al Cartalismo il suo nome: “Forse la parola latina ‘Charta’ può avere il senso di biglietto o gettone. . . I nostri mezzi di pagamento hanno questa forma di gettone o cartale” (ibid.). Da qui in poi, Knapp definisce sempre la moneta come “un mezzo di pagamento cartale” (ibid.: p. 38).
È importante distinguere tra la “moneta di conto” e l'”oggetto-moneta”, cioè tra la unità di conto astratta e l’oggetto fisico a cui essa corrisponde. Keynes spiega: “la moneta-di-conto è la descrizione o il titolo e la moneta è l’oggetto che risponde alla descrizione” (Keynes, 1930: pp. 3-4, corsivo nell’originale). Le teorie ortodosse non riescono a distinguere la moneta di conto dall’oggetto empirico che serve da moneta, il che conduce a diversi enigmi irrisolvibili di teoria monetaria (vedi oltre).
Per concludere, la moneta “certa” è quella che è accettata dalle esattorie dello Stato; “la cartalità si è sviluppata… perché lo Stato dice che le monete hanno questo aspetto e che la loro validità è fissata grazie al suo annuncio” (Knapp, 1973 [1924]: p. 36). Allo stesso modo, Keynes sostiene che “l’Età della Moneta Cartalista o di Stato è stata raggiunta quando lo Stato ha reclamato il diritto di dichiarare quale oggetto dovesse corrispondere, come moneta, alla moneta-di-conto contingente – quando reclama non solo il diritto di imporre il vocabolario, ma anche quello di scrivere il vocabolario” (Keynes, 1930: p. 5).
Dalla Mesopotamia e dall’Egitto alle moderne economie, monarchi, governatori e Stati-nazione hanno sempre “scritto il vocabolario”. Quindi, il Cartalismo può spiegare perché oggetti apparentemente privi di valore come i tally stick [c]), tavolette di creta o la carta sono stati usati come moneta [5]. Le autorità di governo non hanno solo scelto la moneta di conto e dichiarato quale “oggetto” debba corrispondere alla moneta, ma hanno anche usato la tassazione come veicolo per far nascere nuove valute. Questo non è forse mai così evidente come nei casi dell’Africa coloniale.
Le economie Africane furono monetizzate attraverso l’imposizione di tasse e l’insistenza affinché le tasse fossero pagate con la valuta europea. L’esperienza di pagare le tasse non era nuova per l’Africa. La novità stava nel requisito che le tasse fossero pagate nella valuta europea. Il pagamento obbligatorio in valuta europea fu una provvedimento critico nella monetizzazione delle economie africane come anche nella diffusione del lavoro salariato (Ake, 1981: p. 34).
Tasse che avrebbero dovuto esser pagate in moneta [in Africa] furono introdotte su numerosi oggetti – bestiame, terreni, case e le persone stesse. La moneta per pagare le tasse era ottenuta dalla coltivazione di colture destinate al commercio o dal lavoro in fattorie di proprietà europea o nelle loro miniere (Rodney, 1972: p. 165, corsivo nell’originale).
L’imposizione fiscale da pagare in valuta Europea era tutto quello che serviva perché le tribù colonizzate cominciassero ad usare la nuova moneta. La tassazione ha costretto i componenti della comunità a vendere merci e servizi ai colonizzatori in cambio della valuta che avrebbe permesso di soddisfare i loro obblighi fiscali. La tassazione si rivelò essere un mezzo estremamente efficace per costringere gli africani a iniziare la produzione di raccolti destinati al commercio e per offrire il lavoro in cambio di un salario (vedi anche Forstater, 2005).
Le autorità pubbliche, come i governatori coloniali, non solo “scrissero il vocabolario” ma lo fecero per molti millenni. Come evidenziato da Keynes, la moneta è stata moneta cartale per almeno 4000 anni:
Lo Stato, perciò, entra in gioco innanzitutto come l’autorità legale che impone il pagamento della cosa che corrisponde al nome o alla descrizione nel contratto. Ma entra doppiamente in gioco quando, in aggiunta, reclama il diritto di determinare e dichiarare quale oggetto corrisponde al nome, e di variare la sua dichiarazione di volta in volta – vale a dire quando reclama il diritto di rivedere il vocabolario. Questo diritto è reclamato da tutti gli Stati moderni e così è da almeno quattromila anni. È quando si è raggiunto questo stadio dell’evoluzione della moneta che il Cartalismo di Knapp – la dottrina in base alla quale la moneta è una creazione peculiare dello Stato – è pienamente realizzato… Oggi tutta la moneta civilizzata è, oltre ogni possibilità di discussione, cartalista. (Keynes, 1930: pp. 4-5)
3. La moneta cartale nella storia del pensiero
Molti studiosi, sia ortodossi che eterodossi, hanno trattato la natura cartale della moneta. Wray (1998) e Forstater (2006) hanno documentato questi esempi nella storia del pensiero. Le loro analisi sembrano indicare due separate linee di ricerca:
- La prima usa la natura cartale della moneta per identificare il ruolo di questa nell’evoluzione dei mercati (Ingham, Henry), nell’introduzione di nuove valute, nella diffusione di governi centralizzati (Polanyi, Lovejoy) e nella nascita del capitalismo e del lavoro salariato (Marx, Ake).
- La seconda rileva la natura della moneta come entità guidata dalle tasse nel tentativo di scoprire perché della carta, apparentemente priva di valore, circoli come mezzo di scambio (Smith, Say, Mill, Wicksteed).
Dal primo gruppo di studiosi, ad esempio, Polanyi rifiuta nettamente il trattamento tradizionale delle conchiglie delle cipree [d] come “moneta primitiva” (Forstater, 2006). Studiando l’introduzione di moneta non-metallica in Africa, Polanyi osserva che la ciprea esisteva insieme a valute metalliche, che erano già ampiamente diffuse nel continente. La ciprea era infatti un esempio del “lancio di una valuta come strumento di tassazione” (1966: p. 189, citato in Forstater, 2006). Polanyi inoltre sostiene che la nascita di valute non-metalliche dovrebbe essere correttamente considerato “come una peculiarità della diffusione del governo centralizzato e dei mercati alimentari nei primi imperi [Africani] che lasciarono la loro impronta nella storia locale della moneta” (ibid.).
Allo stesso modo, Lovejoy (come i già citati Ake e Rodney) racconta che la tassazione nella Nigeria pre-coloniale fu usata per generare domanda di nuove valute:
gli emirati [della Nigeria] pagavano le imposte in cipree, così che il sistema di tassazione assicurava efficacemente che le persone partecipassero nell’economia di mercato e usassero la valuta, una politica notevolmente simile a quelle che i successivi regimi coloniali seguirono nello sforzo di veder accettate le loro valute. (Lovejoy, 1974: p. 581, citato in Forstater, 2006)
Anche Marx scrisse sull’obbligatorietà delle tasse [che sta] dietro la moneta moderna, ma la sua analisi si focalizzava sul ruolo della stessa nella nascita del capitalismo e del lavoro salariato. È ben noto che Marx aveva una teoria della moneta come merce, ma ciononostante evidenziò che le relazioni basate sulla moneta nascondevano le relazioni sociali di produzione sottostanti (Ingham, 2004: p. 61). Questo, afferma Forstater, giocò un ruolo chiave nell’enfasi di Marx sul ruolo della tassazione e dello Stato nel monetizzare le economie primitive e nell’accelerare l’accumulazione del capitale (vedi l’analisi dettagliata in Forstater, 2006). La trasformazione di tutte le tasse in tasse monetarie portò alla trasformazione di tutto il lavoro in lavoro salariato, in modo molto simile all’esperienza coloniale africana prima citata (Marx, 1857).
Il secondo gruppo di studiosi che contemplò l’idea di moneta guidata dalle tasse fu quello interessato al valore della moneta e quello che tentò di risolvere l’enigma (neo)classico del perché certe unità di materiale apparentemente inutile circolavano come mezzo di scambio mentre altre, di evidente valore, no.
Non occorre guardare oltre la Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith per trovare un riconoscimento della natura cartale della moneta e del ruolo della tassazione [6].
Un principe che dovesse sancire che una certa quota delle sue tasse debba essere pagata in un certo tipo di moneta cartacea, darebbe in tal modo un certo valore a quella moneta cartacea; anche se il termine fissato per il pagamento finale e per il suo rimborso dovesse dipendere completamente dalla sua volontà. (Smith, 1776: p. 312)
Forstater riporta che anche Say e Mill riconoscevano che quella carta avesse valore perché era stata “resa valida a soddisfare le rivendicazioni della tassazione pubblica che ricorrevano a periodicità costante” (Say, 1964 [1880]: p. 280. citato in Forstater, 2006) e perché lo Stato aveva acconsentito “a riceverla come pagamento delle tasse” (Mill, 1848: pp. 542-3, citato in Forstater, 2006). Mill aggiunge inoltre che, se l’emittente è lo Stato sovrano, questo può fissare arbitrariamente la quantità e il valore della valuta cartacea (ibid.). Qui Mill sembra riconoscere la rivendicazione cartalista che è lo Stato sovrano, in realtà, che “scrive il vocabolario” scegliendo l’unità di conto e fissando arbitrariamente il suo valore. Per concludere, Wicksteed riconosce esplicitamente il ruolo della tassazione come metodo per creare un desiderio costante di moneta così che il governo possa acquisire tutti i beni e i servizi necessari ai suoi obiettivi, ufficiali e non (Wicksteed, citato in Forstater, 2006).
Mentre l’approccio alla moneta come entità guidata dalle tasse trova un certo supporto nella storia del pensiero economico, il semplice riconoscimento dell’obbligatorietà dell’esistenza delle tasse dietro la moneta non fu sufficiente a trarre le piene implicazioni ed estensioni logiche dietro al concetto di cartalità della moneta. Chiaramente gli economisti neoclassici si sforzarono di capire l’uso della moneta cartacea, ma la natura di entità guidata dalle tasse della moneta semplicemente non quadrava con la visione tradizionale della moneta come “velo”. Così, la prossima sezione ricapitola la posizione cartalista attraverso un confronto con la versione ortodossa o – come la chiamano Knapp (1973 [1924]) e Goodhart (1998) – la posizione metallista.
4. Metallismo contro Cartalismo
Alcune delle differenze tra Metallismo e Cartalismo (rispettivamente teoria-M e teoria-C [Goodhart, 1998]) sono già emerse nelle sezioni precedenti. La versione tradizionale delle origini, della natura e del ruolo della moneta è fin troppo familiare. Secondo la teoria-M, in origine i mercati emersero grazie all’innata propensione delle persone allo scambio. Nel tempo, la moneta si è naturalmente sviluppata per lubrificare questi mercati attraverso la drastica riduzione dei costi di transazione.
La teoria-M si focalizza sulla moneta come mezzo di scambio. Il suo valore deriva dalle proprietà intrinseche della merce che la garantisce – di solito un qualche tipo di metallo prezioso (da cui il termine metallismo). La moneta deve la sua esistenza ad agenti razionali che scelgono spontaneamente una merce per scambiarla, spinti dai requisiti della doppia coincidenza dei bisogni (Goodhart, 1993: p. 410). La moneta, perciò, ha origine nel settore privato ed esiste solo per facilitare le transazioni dei mercati. Dato che la moneta non ha proprietà speciali che possano dotarla di un ruolo principale, l’analisi monetaria passa in secondo piano rispetto all’analisi “reale”.
Poiché l’analisi ortodossa fa leva sul funzionamento privo di interferenze dei mercati privati, essa di solito non considera il ruolo (o intervento) del governo. L’assenza di qualsiasi collegamento tra lo Stato e la moneta spiega anche perché la teoria-M non può spiegare la relazione importante e quasi universale “un Paese-una valuta” (Goodhart, 1998). Il metallismo si sforza di trovare valore nella moderna moneta fiat, non sostenuta da nessuna merce dal valore intrinseco. Per la teoria-M, la valuta cartacea circola perché gli Stati hanno usurpato il controllo sulla moneta e perché essa continua a ridurre i costi di transazione del baratto (Goodhart, 1998: p. 417, n. 21).
I Cartalisti individuano diversi problemi nella versione metallista. In particolare, identificano due argomenti circolari, relativi all’uso della moneta come mezzo di scambio, di pagamento e deposito di valore astratto. Il primo riguarda l’esistenza della moneta. Per la teoria-M, la moneta è una conseguenza del fatto che agenti razionali “detengono la merce più commerciabile in un’economia di baratto” (Ingham, 2000: p. 20). In altre parole: (a) la moneta è universale perché gli agenti razionali la usano; e (b) gli agenti razionali la usano perché è universale. I tentativi di risolvere questa circolarità concentrandosi sul ruolo della moneta nella riduzione dei costi di transazione sono stati insoddisfacenti.
Le difficoltà logiche emergono dal “problema dell’identificazione” – i benefici dell’uso di una merce particolare come mezzo di scambio possono essere riconosciuti solo dopo che la merce è già stata utilizzata. Le monete, ad esempio, devono essere coniate e messe in circolazione prima che i benefici della riduzione dei costi di transazione siano appurati. E, come nota Goodhart, gli stessi costi dell’uso di un metallo prezioso non lavorato possono essere decisamente elevati (1998: p. 411). Così l’argomentazione che agenti privati scelgono insieme, spontaneamente, una certa merce per gli scambi perché riduce i costi è, come minimo, inconsistente.
Il secondo argomento circolare si riferisce alle altre funzioni della moneta. Il ragionamento ortodosso è che: (a) la moneta è un deposito di valore astratto perché è un mezzo di pagamento; e (b) la moneta è un mezzo di pagamento perché è una riserva di valore astratto (Ingham, 2000: p. 21). Essenzialmente non c’è nessuna proprietà definitiva che dà alla moneta il suo status speciale. In assenza di una condizione non ambigua che spieghi l’uso di oro, di bastoncini di legno o di sale come moneta, la scelta spontanea diviene essenziale per la versione ortodossa e deve essere assunta a priori. Il risultato è una teoria della moneta “lanciata dall’elicottero” (Cottrell, 1994: p. 590, n. 2).
La teoria-C non soffre del “problema dell’identificazione” o del paradosso della “scelta spontanea”. Non ha nessuna difficoltà a spiegare l’introduzione e la circolazione della valuta fiat o la regolarità della relazione “un Paese-una valuta”. Questo perché l’origine della moneta è posta al di fuori dei mercati privati e si basa su una rete complessa di relazioni sociali (di debito) dove lo Stato gioca un ruolo principale. [7]
I poteri legittimi e sovrani dell’organo di governo rendono la moneta una “entità creata dallo Stato” (Lerner, 1947). Il valore della moneta deriva dai poteri dell’autorità che emette. Non c’è niente di spontaneo nella sua esistenza; invece, è contingente a quello che lo Stato ha dichiarato di accettare per il pagamento di tasse, imposte e tributi agli uffici pubblici. Vari “oggetti-moneta” hanno dominato i mercati privati perché sono stati scelti dalle esattorie di Stato per il regolamento del debito. I Cartalisti evitano ragionamenti circolari evidenziando che il ruolo della moneta come unità di conto ha preceduto il suo ruolo come mezzo di pagamento e mezzo di scambio. Questo ruolo è stato istituito dalla capacità dello Stato di denominare liste di prezzi e contratti di debito nelle unità di conto prescelte.
5. Accettazione: legge sul corso legale o gerarchia del debito?
Prima di approfondire la teoria Cartalista e le sue applicazioni alla politica, è opportuno un ulteriore chiarimento. Si ritiene comunemente che la natura cartale della moneta sia basato sul potere dello Stato di promulgare leggi che definiscono la moneta a corso legale (Schumpeter, 1954: p. 1090). Ma quando Knapp ha proclamato che “la moneta è un’entità della legge” (1973 [1924]: p. 1), non ha proposto che “la moneta è un’entità creata dalla legge sul corso legale” e, infatti, ha esplicitamente rigettato questa interpretazione. I Cartalisti affermano che l’accettazione dipende non dallo status di corso legale della moneta ma dall’ordine piramidale delle relazioni sociali di debito. Il potere di delegare alla tassazione e di determinare come saranno pagate le tasse spiega perché la moneta di Stato è la forma di debito più accettabile.
Se la moneta è debito, chiaramente chiunque può emettere moneta (Minsky, 1986: p. 228). Minsky evidenzia che, come voce di bilancio, la moneta è un asset per chi la possiede e una passività per chi la emette. Quello che importa, tuttavia, non è la capacità di creare debito ma l’abilità di indurre qualcun altro ad accettarlo (ibid.). In un certo senso, il debito diventa moneta solo dopo che l’accettazione si è verificata (Bell, 2001: p. 151). Monete diverse hanno vari gradi di accettabilità, il che suggerisce un ordinamento gerarchico del debito (Minsky. I986; Wray, 1990; Bell, 2001).
Se le relazioni sociali di debito sono organizzate secondo una struttura piramidale, allora le forme di moneta meno accettabili sono alla base della piramide, mentre quelle più accettabili sono in cima (vedi Bell, 2001). Inoltre, ogni passività è convertibile in una forma più alta e accettabile di debito. Quale passività, allora, sta al vertice della piramide?
A tutti gli agenti economici tranne uno, lo Stato, è richiesto di pagare un IOU (io-ti-devo) di una terza parte, o qualcosa che sta al di fuori della relazione di credito-debito, per regolare i debiti. Dato che solo il sovrano può distribuire il suo IOU per regolare i debiti, la sua promessa sta in cima alla piramide. La sola cosa per cui lo Stato è responsabile è di accettare il suo IOU nelle esattorie pubbliche (Wray, 2003a: p. 146, n. 9) [8].
Questa visione piramidale delle relazioni sociali di debito dà una indicazione preliminare della prevalenza della moneta di Stato. Ma gli agenti non possono semplicemente rifiutarsi di accettare la moneta del sovrano e, perciò, minare la sua posizione nella piramide? La risposta è “no”, perché finché nell’economia c’è qualcuno che deve pagare tasse denominate nella valuta di Stato, quella moneta sarà sempre accettata.
Questo indica che l’emissione di valuta non è un potere essenziale dello Stato. Infatti essa ha un carattere contingente. Lo Stato può benissimo dichiarare che accetterà il pagamento di tasse in – diciamo – sale, conchiglie o bastoncini di legno. In effetti, esistono esempi storici simili, anche se generalmente i sovrani hanno preferito usare i propri timbri o carta o qualcosa su cui possedevano un controllo pieno e incondizionato. L’essenza della moneta di Stato non sta né nella capacità di creare leggi né nella capacità di stampare moneta, ma nella capacità dello Stato di creare “la promessa di ultima istanza” (Ingham, 2000: p. 29, corsivo aggiunto), cioè di imporre tasse e dichiarare cosa sarà accettato dalle esattorie per estinguere il debito verso lo Stato. L’unità di conto che permette di regolare gli obblighi fiscali è definita dalla speciale autorità che “fa i conteggi” (ibid.: p. 22).
Lo stesso Knapp enfatizzò questo punto: “Né può il corso legale essere preso come prova, dato che nei sistemi monetari ci sono frequentemente tipi di moneta che non sono a corso legale … ma l’accettazione … è decisiva. L’accettazione da parte dello Stato definisce i sistemi monetari” (Knapp, 1973 [1924]: p. 95, corsivo nell’originale); e Keynes approvò: “Knapp accetta come ‘Moneta’ – correttamente, penso – qualsiasi cosa lo Stato si impegni ad accettare nelle sue esattorie, che sia dichiarato a corso legale tra cittadini o meno” (Keynes, 1930: p. 6, n. 1). Il codice delle leggi è solo una manifestazione dei poteri dello Stato. La mancanza di leggi sul corso legale non significa che la moneta di Stato non sia accettabile – questo è il caso dell’Unione europea, ad esempio, dove non esistono leggi formali sul corso legale, e tuttavia l’euro circola ampiamente. [9]
Qual è, allora, lo scopo delle leggi sul corso legale? Davidson fornisce la risposta: le leggi sul corso legale determinano quello che sarà “universalmente accettabile – agli occhi del tribunale – nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali” (2002: p. 75, corsivo aggiunto). Perciò, le leggi sul corso legale assicurano solo che, quando una controversia è regolata in tribunale relativamente ai dollari (ad esempio), i dollari devono essere accettati [dalla controparte].
La moneta è davvero una creatura della legge – non la legge sul corso legale, ma la legge che impone e fa rispettare obbligazioni non reciproche alla popolazione. L'”oggetto-moneta” è solo la manifestazione empirica della scelta da parte dello Stato della “moneta di conto” che estingue queste obbligazioni. Questa è la natura del meccanismo della moneta guidata dalle tasse.
Questo capitolo è cominciato sottolineando diverse proposizioni generali e specifiche del Cartalismo. Fin qui, l’attenzione si è focalizzata principalmente sulle prime. Il ruolo dell’autorità pubblica e della tassazione è stato usato per decifrare la natura della moneta come creatura dello Stato e per localizzare la sua posizione negli strati più alti della piramide delle relazioni sociali di debito. Il contrasto con la versione metallista ha rivelato l’importanza di distinguere tra l'”oggetto-moneta” e la “moneta di conto”. Per finire, è stato mostrato che la cartalità della moneta non deriva dalle leggi sul corso legale ma dalla capacità dello Stato di creare la promessa di ultima istanza.
Alla luce del Cartalismo, come si possono interpretare la moneta nel mondo moderno e, in particolare, le operazioni fiscali e monetarie dello Stato? Il resto di questo capitolo si concentra sulle proposizioni specifiche del neo-Cartalismo e sulle loro applicazioni alla politica.
6. La moneta nel mondo moderno
I neo-Cartalisti sono particolarmente interessati alle valute sovrane – quelle non convertibili in oro o in qualsivoglia valuta estera secondo tassi di cambio fissi (Mosler, 1997-98; Wray, 2001). Il loro punto di partenza è che la maggior parte delle economie moderne operano sulla base di sistemi di moneta ad alto potenziale (MAP). La MAP – riserve, monete, banconote federali e assegni del Tesoro – è ciò che permette di saldare le obbligazioni fiscali ed è collocata al vertice della piramide del debito. Di conseguenza, è anche la moneta “in cui sono convertite le passività bancarie” e che è usata per la compensazione interbancaria (tra le banche stesse o tra le banche private e la Banca Centrale) (Wray, 1998: p. 77). Solo un’adeguata comprensione di come la MAP è offerta all’economia e del suo effetto sul sistema monetario può rivelare pienamente tutte le implicazioni della politica fiscale e monetaria moderna.
La moneta moderna è moneta di Stato. Oggi la tassazione ha il compito di creare la domanda di valute di Stato così che l’autorità che emette moneta possa acquistare dal settore privato i beni e i servizi necessari. La tassazione, in un certo senso, è un veicolo per spostare risorse dal dominio privato a quello pubblico. La spesa pubblica, nei sistemi a valuta sovrana, non è limitata dalla capacità dello Stato di “aumentare” il gettito. Infatti, come sarà spiegato in seguito, gli Stati sovrani non hanno nessun vincolo finanziario operativo.
Per cogliere pienamente la logica del finanziamento sovrano, è necessario fare una distinzione analitica tra i settori pubblico e non-pubblico [privato]. Per il settore privato, la spesa è effettivamente limitata dalla capacità di guadagnare reddito o di indebitarsi. Questo non è il caso del settore pubblico, il quale “finanzia” la spesa con valuta propria. Questo è un riflesso del suo stato di fornitore unico (monopolio). Per esempio, negli USA il dollaro non è una “risorsa limitata del governo” (Mosler, 1997-98: p. 169). Piuttosto, è un credito fiscale per la popolazione, che si deve confrontare con una passività fiscale denominata in dollari. Pertanto la spesa pubblica fornisce alla popolazione quanto è necessario per pagare le tasse (dollari). Lo Stato non ha bisogno di raccogliere tasse per spendere; è piuttosto il settore privato che deve guadagnare dollari per saldare il suo debito fiscale. Lo Stato consolidato (che include il Tesoro e la Banca centrale) non è mai limitato dal gettito nella sua valuta.
Se lo scopo della tassazione è quello di creare domanda di moneta di Stato, allora, da un punto di vista logico e operativo, la riscossione delle tasse non può verificarsi prima che lo Stato abbia messo a disposizione ciò che richiede per il pagamento delle tasse. In altri termini, prima viene la spesa e dopo segue la tassazione. Un altro modo di vedere questo nesso causale è dire che la spesa pubblica “finanzia” il “pagamento delle tasse” da parte del settore privato e non viceversa. Ne conseguono diverse altre implicazioni.
Deficit e surplus
La spesa pubblica fornisce moneta ad alto potenziale alla popolazione. Se il settore privato desidera accumularne una parte – una condizione normale del sistema – per la logica della contabilità ne risulta necessariamente un deficit [10]. Inoltre, lo Stato non può riscuotere in tasse più di quanto abbia speso in precedenza; così un pareggio di bilancio è il minimo teorico che si possa raggiungere. Ma il desiderio del settore privato di risparmiare al netto assicura che sia creato un deficit. La domanda di mercato di valuta, quindi, determina l’ampiezza del deficit (Wray, 1998: pp. 77-80).
In un dato anno, naturalmente, è possibile un surplus, ma è sempre limitato dall’ammontare della spesa a deficit degli anni precedenti. Se, in un determinato periodo contabile, la spesa pubblica è inferiore al gettito fiscale, si riduce necessariamente la quantità di asset finanziari netti in possesso del settore privato. Ne consegue che il surplus riduce sempre il risparmio netto del settore privato, mentre il deficit lo alimenta. Si dovrebbe anche notare che, quando gli Stati incorrono in surplus di bilancio, non “guadagnano” niente perché la riscossione delle tasse “distrugge” moneta ad alto potenziale (Mitchell e Mosler, 2005: p. 9). Per comprendere questo punto, è necessario dare un’occhiata più attenta alla spesa pubblica e alle operazioni relative alla tassazione.
Spesa pubblica e tassazione
La spesa pubblica e la tassazione non nascondono grandi misteri. Lo Stato spende semplicemente compilando assegni del Tesoro o accreditando conti bancari privati. Viceversa, quando il Tesoro riceve un assegno come pagamento delle tasse, addebita il conto della banca commerciale che ha emesso l’assegno. Ad oggi, non è necessario distinguere tra la Federal Reserve e il Tesoro quando si discute di spese e di entrate dello Stato. Questo perché, quando il Tesoro compila un assegno tratto sul suo conto alla Federal Reserve, di fatto scrive una richiesta a se stesso. Come notano Bell e Wray (2002-3), l’attività di bilancio all’interno dell’amministrazione pubblica non ha conseguenze significative, perché non ha nessun impatto sul livello delle riserve del sistema bancario nel suo complesso (p. 264). Quello che importa, tuttavia, è che le azioni consolidate della Federal Reserve e del Tesoro hanno come effetto un’immediata variazione del livello di riserve dell’intero sistema. È questo effetto sulle riserve che è importante per comprendere la politica.
La politica fiscale dello Stato è uno dei due importanti fattori che modificano il livello delle riserve del sistema bancario. L’altro consiste nelle operazioni di mercato aperto della Federal Reserve. Il Tesoro è il principale fornitore di MAP. Quando compila un assegno sul suo conto alla Federal Reserve, per necessità contabile le riserve nel sistema bancario aumentano. Quando riscuote i pagamenti delle tasse, d’altra parte, le riserve bancarie diminuiscono. In alterativa, quando la Federal Reserve acquista titoli sul mercato aperto aggiunge riserve, e quando vende titoli le drena. Ciò che il Cartalismo chiarisce immediatamente dopo, è che l’effetto della politica fiscale sulle riserve può essere grande e dirompente. Così, mentre le operazioni del Tesoro sono discrezionali, le operazioni della Banca centrale hanno una natura ampiamente difensiva.
Moneta ad alto potenziale, prestiti e tassi d’interesse
Storicamente, le banche hanno perseguito l’obiettivo di minimizzare la quantità di riserve non fruttifere a bilancio. Essenzialmente, le riserve in eccesso rispetto alla quantità necessaria ad onorare gli impegni di pagamento quotidiani sono prestati sul mercato overnight per guadagnare interessi. In alternativa, se le banche non possono onorare i requisiti di riserva, prenderanno in prestito le riserve sul mercato overnight. A parità di altre condizioni, queste operazioni non modificano il livello di riserve nel sistema bancario nel suo complesso. Spesa pubblica e tassazione, tuttavia, lo modificano. Ogni nuova iniezione di “moneta esogena” (MAP) inonda il sistema bancario con le riserve in eccesso. Le banche provano a trasferire le riserve indesiderate alle altre banche, ma, a livello aggregato naturalmente, questi tentativi sono inefficaci e si limitano a ridurre i tassi d’interesse overnight. La spesa pubblica, pertanto, aumenta le riserve a livello sistemico ed esercita una spinta al ribasso sui tassi d’interesse.
Al contrario, la riscossione delle tasse riduce la moneta ad alto potenziale, cioè distrugge riserve. Dato che i requisiti di riserva sono calcolati con un certo sfasamento temporale (perfino in un sistema contabile che non prevede alcuno sfasamento temporale [vedi Wray, 1998: pp. 1024]), a parità di altre condizioni, il pagamento delle tasse genera una carenza di riserve a livello di sistema. L’effetto sulle riserve è opposto e, mentre le banche si agitano per ottenere le riserve di cui necessitano sul mercato overnight, il tasso d’interesse su fondi federali è spinto al di sopra del valore fissato come obiettivo. Riassumendo, l’azione discrezionale del Tesoro influenza direttamente i tassi d’interesse attraverso i suoi effetti sulle riserve.
Lo Stato ha elaborato vari modi per mitigare l’effetto della politica fiscale sulle riserve. Il primo modus operandi è l’utilizzo dei tax and loan accounts (T&Ls) [e], che offrono solo un sollievo temporaneo a queste considerevoli fluttuazioni delle riserve (vedi Bell, 2000 per un’analisi dettagliata). Nonostante i T&Ls riducano l’effetto della spesa pubblica sulle riserve, il ricorso a questi conti non corrisponde mai esattamente all’ammontare del gettito fiscale o della spesa pubblica. Perciò c’è sempre un flusso di riserve nel sistema bancario nel suo complesso che deve essere bilanciato in modo da evitare oscillazioni del tasso d’interesse overnight (ibid.).
Il secondo metodo per trattare gli eccessi o le carenze di riserve consiste nel ricorso alle operazioni di mercato aperto. Per drenare l’iniezione di riserve in eccesso, la Federal Reserve offre titoli in vendita sul mercato aperto. Con quest’azione offre, di fatto, un’alternativa fruttifera all’offerta infruttifera di riserve in eccesso da parte delle banche e previene il logico azzeramento del tasso d’interesse overnight [11]. L’acquisto di titoli, al contrario, aggiunge riserve laddove se ne verifica una carenza a livello sistemico e attenua così qualsiasi spinta al rialzo del tasso overnight. Pertanto è più appropriato vedere le operazioni di mercato aperto non come procedure di indebitamento o prestito dello Stato, ma come operazioni di gestione del tasso d’interesse.
Da qui emergono numerose considerazioni. Primo, nonostante il coordinamento tra le attività del Tesoro e quelle della Federal Reserve, è chiaro che la politica fiscale è discrezionale e ha un significativo impatto sulle riserve. Secondo, in un’era in cui la politica mira a mantenere un tasso d’interesse positivo, la Federal Reserve non ha altra scelta che agire in difesa per opporsi alle fluttuazioni delle riserve attraverso operazioni di mercato aperto. Pertanto la Federal Reserve opera in modo non discrezionale (Wray, 1998; Fullwiler, 2003).
Sia la tassazione sia l’indebitamento riducono le riserve. La tassazione semplicemente le distrugge, mentre l’indebitamento le prosciuga, attraverso lo scambio di asset infruttiferi del settore privato (riserve in eccesso) con asset che comportano un pagamento di interessi (titoli). Per lo Stato, la tassazione e l’indebitamento non sono operazioni di finanziamento, ma influenzano certamente la ricchezza nominale del settore privato. La prima riduce la “moneta esogena” (cioè il risparmio netto del settore privato), mentre la seconda scambia un asset con un altro, lasciando la ricchezza “intatta” (Wray, 2003a: p. 151).
Quanto sopra descritto ribalta completamente il senso comune. Gli Stati non hanno bisogno dei soldi dei cittadini per spendere; sono piuttosto i cittadini ad aver bisogno dei soldi dello Stato per pagare le tasse. La spesa pubblica crea sempre nuova moneta, mentre la tassazione la distrugge sempre. Spesa e tassazione sono due operazioni indipendenti. Le tasse non sono accumulate e non posso essere riutilizzate per “finanziare” spese future. Per finire, le vendite di titoli sono necessarie per drenare le riserve in eccesso generate da operazioni fiscali così da mantenere un tasso d’interesse positivo.
Il valore della valuta e la determinazione esogena dei prezzi
Dato che la politica monetaria è accomodante [o espansiva] e la politica fiscale è discrezionale, il Cartalismo assegna a quest’ultima la responsabilità di mantenere il valore della valuta. È già stato mostrato che le tasse impartiscono valore alla moneta di Stato. Come evidenziò Innes: “Una moneta da un dollaro non è tale in virtù del materiale di cui è fatta, ma in virtù della porzione di tasse che consente di estinguere” (1914: p. 165). Ma sostenne anche che “quanta più moneta di Stato c’è in circolazione, tanto più poveri siamo” (ibid.: p. 161). In altre parole, se la moneta di Stato in circolazione eccede in modo significativo l’ammontare complessivo delle passività fiscali, il valore della moneta crollerà. Così, ciò che dà alla moneta il suo valore non è solo la necessità di pagare le tasse, ma anche la difficoltà di ottenere quanto è necessario per il pagamento delle tasse.
Ad esempio, nel discutere dell’esperienza delle colonie americane con moneta cartacea non convertibile, Smith riconobbe che l’emissione in eccesso rispetto alla tassazione è stata la chiave del motivo per cui alcune valute, a differenza di altre, hanno mantenuto il loro valore (per ulteriori dettagli vedi Wray, 1998: pp. 21-2). Wray spiega: “sono l’accettazione della moneta cartacea per il pagamento delle tasse e la restrizione dell’emissione rispetto alle passività fiscali totali a dare valore alla moneta cartacea” (ibid.: p. 23).
7. Estensioni politiche
Dopo aver svelato la natura della finanza pubblica, i Cartalisti affermano che gli Stati possono e dovrebbero implementare la “finanza funzionale”. Quest’ultima fu proposta da Abba Lerner, il quale obiettò con veemenza qualsiasi idea convenzionale su cos’è che costituisce una finanza “sana”.
La finanza funzionale può essere ricompresa nell’approccio cartalista, perché riconosce correttamente la moneta come entità creata dallo Stato al quale attribuisce due ruoli politici importanti. Lerner (1947) ha affermato che lo Stato, in virtù del suo potere discrezionale di creare e distruggere la moneta, ha l’obbligo di sostenere la sua spesa a un livello che mantenga (1) il valore della valuta e (2) la domanda di produzione corrente al livello corrispondente alla piena occupazione.
Affinché lo Stato possa raggiungere i suoi due principali obiettivi, Lerner propose due principi di finanza funzionale determinanti per le decisioni sull’ammontare della spesa pubblica necessaria e sul modo di finanziarla. Più in dettaglio, il primo principio richiede che il livello di spesa pubblica totale non dovrebbe essere “né superiore né inferiore al livello che, ai prezzi correnti, consentirebbe di acquistare tutte le merci che è possibile produrre” (1943: p. 39). Spendere al di sotto di questo livello comporta disoccupazione, mentre spendere al di sopra di esse causa inflazione. L’obiettivo è mantenere la spesa sempre ad un livello “appropriato”, in modo da assicurare la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Il secondo principio afferma che la spesa pubblica dovrebbe essere “finanziata” attraverso l’emissione di nuova valuta. Questa seconda “legge” della finanza funzionale è basata sul riconoscimento da parte di Lerner del fatto che la tassazione non finanzia la spesa, ma riduce le riserve di moneta del settore privato (ibid.: pp. 40-41).
La finanza funzionale può essere implementata in ogni Paese in cui lo Stato emetta la valuta domestica (Wray. 2003a: p. 145). Due politiche, virtualmente identiche come concezione, che abbracciano l’approccio della finanza funzionale sono quella relativa al datore di lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort – ELR) (Mosler, 1997-98; Wray, 1998) e il modello di occupazione buffer stock [f] (Mitchell, 1998). Queste indicazioni politiche mirano a stabilizzare il valore della valute eliminando contemporaneamente la disoccupazione. Le proposte sono motivate dal riconoscimento che gli Stati sovrani non hanno nessun vincolo finanziario operativo, possono fissare a loro discrezione un prezzo fondamentale nell’economia e possono fornire una domanda di forza lavoro infinitamente elastica.
I Cartalisti hanno sostenuto simili programmi di occupazione basati sul lavoro di Hyman Minsky e Abba Lerner e che richiamano l’esperienza del New Deal negli USA. Il datore di lavoro di ultima istanza (per usare la terminologia di Minsky) è, molto semplicemente, un programma pubblico che offre un lavoro che offre un pacchetto fisso, di salario e condizioni contrattuali, a chiunque non abbia trovato occupazione nel settore privato ma è pronto, disponibile e in condizione di lavorare.
L’ELR è proposto come un programma universale che non richiede alcun means test [g], che fornisce quindi per definizione una domanda infinitamente elastica di forza lavoro ed elimina la disoccupazione offrendo un lavoro a chiunque lo desideri. Attraverso l’ELR, lo Stato fissa solo il prezzo del lavoro nel settore pubblico, lasciando che tutti gli altri prezzi siano determinati dal mercato (Mosler, 1997-98: p. 175). Fintanto che il salario ELR è fissato, sarà un riferimento sufficientemente stabile per il valore della valuta (Wray, 1998: p. 131). Come è spiegato sopra, il valore della valuta è determinato da quello che è necessario fare per ottenerla e, con l’ELR in funzione, è chiaro cosa questo sia esattamente: il valore della valuta è uguale a un’ora di lavoro ELR secondo il salario ELR contingente.
Inoltre, si può affermare che l’ELR migliori la stabilità dei prezzi a causa del suo meccanismo buffer stock (Mitchell, 1998). In breve, quando arriva una recessione, i lavoratori disoccupati trovano un impiego nel settore pubblico al salario ELR. La spesa pubblica totale aumenta per ridurre le pressioni deflazionistiche. Diversamente, quando l’economia si surriscalda e la domanda privata di lavoro aumenta, i lavoratori ELR sono assunti nel settore privato con un salario superiore a quello del programma ELR. La spesa pubblica si contrae automaticamente, riducendo le pressioni inflazionistiche sull’economia. Così, l’impiego nel settore pubblico agisce come una scorta di riserva che si contrae ed espande in modo anticiclico. Questo meccanismo buffer stock assicura che la spesa pubblica sia (come ha insegnato Lerner) sempre a livello “appropriato”.
Questa proposta suggerisce in modo innovativo che la piena occupazione può ancorare il valore della valuta (all’opposto della convinzione diffusa che la disoccupazione sia necessaria per frenare l’inflazione). Il programma ELR utilizza le estensioni logiche della moneta cartale per raggiungere i due obiettivi dello Stato – l’eliminazione della disoccupazione e la stabilizzazione dei prezzi.
Lo spazio a disposizione non consente una discussione dettagliata di questa proposta; quello che importa è evidenziare le sue caratteristiche istituzionali di tipo cartale. L’approccio ELR/buffer stock riconosce che:
- Lo Stato è la sola istituzione che può separare “l’offerta di lavoro dalla profittabilità di assumere lavoratori” (Minsky, 1986: p. 308) e può perciò fornire una domanda infinitamente elastica di lavoro, senza preoccuparsi di come finanziarla.
- Lo Stato può creare un’ancora per il valore della valuta che emette fissando in modo esogeno il salario dei lavoratori ELR.
- Lo Stato può utilizzare un meccanismo buffer stock per assicurare che la spesa sia sempre ad un livello appropriato – né più, né meno.
- La responsabilità per la piena occupazione e per la stabilità dei prezzi è del Tesoro, non della Fed. L’espressione “sana gestione finanziaria” assume un significato nuovo: è quella che assicura la piena occupazione e la stabilità dei prezzi.
I Cartalisti evidenziano che la realizzazione di un programma di occupazione del genere è una scelta politica solo per i Paesi che hanno controllo sovrano sulla propria valuta. Non è una proposta praticabile per Paesi dollarizzati o che operano in regime di currency board o di altri regimi di tasso di cambio fisso. Questo è dovuto al fatto che l’importante legame tra l’autorità che emette moneta e l’agente fiscale è stato reciso, riducendo così drasticamente il ventaglio di possibili opzioni politiche di stabilizzazione. Goodhart ha evidenziato che, allo stesso modo, l’attuale disegno istituzionale dell’Unione Monetaria Europea evidenzia un “divorzio senza precedenti tra le principali autorità monetarie e quelle fiscali” (1998: p. 410). Kregel (1999) ha presentato un’innovativa proposta per correggere questo difetto istituzionale e permettere all’Unione Monetaria Europea di implementare un programma di tipo ELR. Raccomanda che la Banca Centrale Europea agisca come agente fiscale per conto dell’Eurozona e implementi la finanza funzionale per assicurare elevata occupazione e stabilità dei prezzi.
Allo stesso modo, l’analisi cartalista può essere applicata allo studio di questioni attuali di politica interna, come l’erogazione universale di pensioni, l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Il dibattito corrente sulla “crisi” della sicurezza sociale negli USA, ad esempio, e praticamente tutte le discussioni retoriche sulla pianificazione del bilancio governativo, si basano su convinzioni fittizie relative alle limitazioni alla spesa fiscale.
Il Cartalismo insiste sul fatto che l’attenzione su problemi inesistenti impedisce adeguate risposte politiche a questioni pressanti come la crescita economica, lo sviluppo e la stabilità della valuta e dei prezzi. Solo dopo aver spostato l’attenzione dagli ostacoli immaginari alla politica fiscale possiamo cominciare a indirizzare problemi relativi alla erogazione di assistenza sanitaria e di istruzione adeguate, opportunità di occupazione esperibili e beni e servizi necessari dall’invecchiamento della popolazione.
8. Conclusioni
Questo capitolo è cominciato con le proposizioni generali e specifiche del Cartalismo, che delucidano in modo costruttivo la natura della moneta come entità guidata dalle tasse e il potere sovrano degli Stati moderni. Nonostante il Cartalismo non sia legato ad una singola proposta politica, esso riconosce la finanza funzionale come uno strumento logico utile per la stabilizzazione economica. La prospettiva cartalista può essere applicata a molte aree differenti, dalla comprensione dei diversi regimi valutari agli aspetti quali la previdenza sociale e la disoccupazione. Il Cartalismo è adatto specialmente per lo studio della politica monetaria e di quella fiscale contemporanee.
Per concludere, è appropriato ricordare la convincente osservazione di Lerner che “il problema della moneta non può essere separato dai problemi dell’economia proprio come i problemi dell’economia non possono essere separati dai più importanti problemi della prosperità, della pace e della sopravvivenza umana” (1947: p. 317).
Lerner ha avvertito, inoltre, che in regimi di valuta sovrana “la finanza funzionale funzionerà indipendentemente da chi aziona le leve [e che] coloro che non usano la finanza funzionale, … non avranno nessuna possibilità rispetto a quelli che la useranno nel lungo periodo” (1943: p. 51). Il Cartalismo è in grado di contribuire al dibattito pubblico sulle azioni politiche praticabili nell’interesse pubblico, in modo costruttivo.
Note dell’Autore
1.^ In un articolo dallo stesso titolo Ingham racconta quello a cui Keynes si riferiva come la sua “pazzia Babilonese”. In una lettera a Lydia Lopoltova, Keynes scrisse che l’impresa di collocare le vere origini della moneta nelle antiche civiltà del Vicino Oriente “lo assorbì fino alla frenesia” (Ingham, 2000: p. 16. n. 3).
2.^ Il Cartalismo non è limitato ai sistemi a tasso di cambio fluttuante – “anche un gold standard può essere un sistema Cartalista” (Wray, 2001: p. 1). La scelta del regime del tasso di cambio ha varie implicazioni per il potere di spesa dello Stato, ma non significa che lo Stato abbia perso la capacità di imporre una tassa ai suoi cittadini e di dichiarare come questa tassa debba essere pagata.
3.^ Un’analisi dettagliata della storia della moneta va oltre l’obiettivo di questo capitolo. I lettori interessati sono rimandati al Capitolo 1 di Tymoigne e Wray in questo volume.
4.^ Henry aggiunge inoltre che la Moneta non può esistere senza potere e autorità. Le società basate sull’ospitalità e sullo scambio semplicemente non hanno motivo di usarla, mentre in una società in cui le relazioni sociali sono gerarchicamente organizzate, la classe dominante è costretta a inventarsi unità di conto standard, che misurino non solo il surplus economico raccolto sotto forma di tasse, ma anche doni reali e tributi religiosi che sono stati imposti sulla popolazione (2004: p. 90).
5.^ Il caso dell’Egitto è particolarmente interessante perché l’unità ufficiale di conto, chiamata deben, non aveva nessuna relazione con alcun oggetto specifico. Era una misura di conto astratta pari a 92 grammi, per cui varie “cose” – frumento, rame o argento – equivalenti a 92 g, e relativi multipli, erano usati come moneta (Henry, 2004: p. 92).
6.^ Per una discussione dettagliata della posizione di Smith, vedi Witty (1998): pp. 19-23 e Wray (2000): pp. 47-9.
7.^ Questo non significa che il settore privato non possa creare moneta o non l’abbia mai creata (Goodhart. 1998: p. 418). Il punto è che le spiegazioni sulle origini della moneta che si basano sul ruolo dello Stato sono empiricamente più convincenti.
8.^ Ad esempio, per essere accettati, gli IOU di una famiglia o di una ditta devono almeno essere convertibili in depositi (moneta bancaria) o contante (moneta di Stato). Allo stesso modo, i depositi bancari devono essere necessariamente convertibili in riserve o contate (moneta di Stato ad alto potenziale) per essere accettati. La moneta di Stato è sempre alla fine della catena di convertibilità.
9.^ Si noti che anche una violazione della regolarità “un Paese-una valuta” non significa che lo Stato abbia perso il potere di imporre una tassazione e di dichiarare cosa estinguerà gli oneri fiscali. Nel caso dei currency board, per esempio, lo Stato ha abbandonato volontariamente il controllo sovrano sulla sua valuta a favore di un’unità monetaria straniera ma, finché la valuta nazionale viene richiesta nel pagamento delle tasse, circolerà. Nei Paesi completamente dollarizzati, lo Stato ha scelto di dichiarare che tutti i debiti sono pagabili in dollari (anche se non ha il controllo sovrano sull’emissione di dollari). In tutti i casi precedenti, lo Stato ha comunque esercitato la sua prerogativa di determinare cosa sarà usato come moneta “definitiva”.
10.^ Godley (1999) ha dimostrato che, per necessità contabile, i deficit del settore pubblico equivalgono ai surplus del settore privato (compresi quelli di imprese, famiglie e residenti all’estero).
11.^ Per discussioni tecniche sulle operazioni della Federal Reserve, si veda Fullwiler (2003. 2005).
Note del Traduttore
a. ^ Il concetto di massimizzazione dell’utilità è descritto ad esempio qui.
b. ^ Currency board: questa espressione è traducibile con comitato valutario, ma solitamente viene usata l’espressione inglese anche in italiano; vedere per esempio Wikipedia.org.
c. ^ I tally stick sono dei bastoncini di legno squadrati, intagliati in modo tale da indicare l’ammontare di una compravendita o di un debito. Il nome del debitore e la data della transazione erano scritti sui lati opposti del bastoncino, che era poi diviso in due parti nel senso della lunghezza, in modo da dividere a metà gli intagli. Un taglio praticato vicino a una estremità faceva sì che i due pezzi fossero di lunghezza diversa. La parte più lunga era conservata dal venditore/creditore, la parte più corta dal compratore/debitore. Ogni metà conteneva una descrizione completa della transazione, in modo che entrambe le parti fossero protette da tentativi di frode. Questo sistema, nato in questa forma nel Medioevo, è sopravvissuto fino al XX secolo in economie rurali in alcune zone del Danubio e della Svizzera (vedi Moslereconomics.com e Wikipedia.org).
d. ^ Le cipree sono una famiglia di molluschi marini i cui gusci (in particolare quelli dell’esemplare Monetaria moneta), provenienti dalle Maldive, sono stati adoperati come moneta in Africa, India, Cina e Nord America. In merito, si veda ad esempio Wikipedia.org qui e qui e Conchsoc.org.
e. ^ I tax and loan accounts sono conti bancari, aperti in banche private a nome della Federal Reserve, che il Tesoro USA adopera come conti per spese operative; vedi Investorwords.com.
f. ^ Il modello buffer stock (scorta di riserva) prevede che un operatore (in genere lo Stato) accumuli una scorta di una merce (in questo caso di forza lavoro) e la usi per stabilizzare il suo prezzo: quando è presente una sovrapproduzione (che ne farebbe crollare il prezzo) compra la merce in eccesso, e quando c’è scarsità (che ne farebbe aumentare il prezzo) la rivende.
g. ^ Means test: indagine basata sull’analisi del reddito personale, intrapresa per determinare se una persona (o una famiglia) possa essere destinataria di benefici o sussidi pubblici.
Bibliografia
Ake, C. (1981), A Political Economy of Africa, Essex, UK: Longman Press.
Bell, S. (2000), “Do taxes and bonds finance government spending?”, Journal of Economic Issues, 34(3): 603-20.
Bell, S. (2001), “The role of the state and the hierarchy of money”, Cambridge Journal of Economics, 25, 149-63.
Bell, S. and Wray, L.R. (2002-3), “Fiscal effects on reserves and the independence of the Fed”, Journal of Post Keynesian Economics, 25(2): 263-72.
Cottrell, A. (1994), “Post-Keynesian monetary economics”, Cambridge Journal of Economics, 18, 587-605.
Davidson, P. (2002), Financial Markets, Money and the Real World, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar.
Forstater, M. (2005), “Taxation and primitive accumulation: the case of colonial Africa”, Research in Political Economy, 22, 51-64.
Forstater, M. (2006), “Tax-driven money: Additional evidence from the history of thought, economic history, and economic policy”, in M. Setterfield (ed.), Complexity, Endogenous Money, and Exogenous Interest Rates, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar.
Fullwiler, S.T. (2003), “Timeliness and the Fed”s daily tactics”, Journal of Economic Issues, 37(4): 851-80.
Fullwiler, S.T. (2005), “Paying interest on reserve balances: it”s more significant than you think”, Journal of Economic Issues, 39(2): 543-9.
Godley, W. (1999), “Seven unsustainable processes”, Special Report, Levy Economics Institute.
Goodhart, C.A.E. (1998), “The two concepts of money: Implications for the analysis of optimal currency areas”, European Journal of Political Economy, 14: 407-32, reprinted in S. Bell and E. Nell (eds), The State, the Market and the Euro, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, 2003, pp. 1-25.
Grierson, P. (1997), The Origins of Money, London: Athlone Press.
Henry J.F. (2004), “The social origins of money: The case of Egypt”, in L.R.Wray (ed.), Credit and State Theories of Money, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 79-98.
Hudson, M. (2003), “The creditary/monetary debate in historical perspective”, in S. Bell and E. Nell (eds), The State, the Market and the Euro, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 39-76.
Innes, A.M. (1913), “What is money?”, Banking Law Journal, May: 377-408.
Innes, A.M. (1914), “The credit theory of money?”, Banking Law Journal, January-December 31: 151-68.
Ingham, G. (2000), “Babylonian madness: on the historical and sociological origins of money”, in J. Smithin (ed.), What is Money?, London: Routledge, pp. 16-41.
Ingham, G. (2004), The Nature of Money, Cambridge: Polity Press.
Keynes, J.M. (1930), A Treatise on Money, London: Macmillan.
Knapp, G.F. (1973 [1924]), The State Theory of Money, Clifton, NY: Augustus M. Kelley.
Kregel, J. (1999), “Price stability and full employment as complements in a new Europe”, in P. Davidson and J. Kregel (eds), Full Employment and Price Stability in a Global Economy, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 178-94.
Lerner, A.P. (1943), “Functional finance and the federal debt”, Social Research, 10: 38-57.
Lerner, A.P. (1947), “Money as a creature of the state”, The American Economic Review, 37: 312-17.
Lovejoy, Paul, E. (1974), “Interregional monetary flows in the precolonial trade of Nigeria”, Journal of African History, XV(4): 563-85.
Marx, K. (1973 [1857]), Grundrisse: Foundations of the Critique of Political Economy, New York: Vintage.
Mill, John Stuart (1848), Principles of Political Economy, London: J.W. Parker.
Minsky, H. (1986), Stabilizing an Unstable Economy, New Haven, CT: Yale University Press.
Mitchell, W. (1998), “The buffer stock employment model”, Journal of Economic Issues, 32(2): 547-55.
Mitchell, W. and Mosler, W. (2005), “Essential elements of a modern monetary economy with applications to social security privatisation and the intergenerational debate”, CofFEE Working Paper 05-01, Newcastle, Australia: Centre of Full Employment and Equity, February.
Mosler,W. (1997-98), “Full employment and price stability”, Journal of Post Keynesian Economics, 20(2): 167-82.
Mosler, W. and Forstater, M. (1999), “General framework for the analysis of currencies and commodities”, in P. Davidson and J. Kregel (eds), Full Employment and Price Stability in a Global Economy, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 166-77.
Polanyi, K. (1966), Dahomey and the Slave Trade: An Analysis of an Archaic Economy, Seattle, WA: University of Washington Press.
Rodney, Walter (1972), How Europe Underdeveloped Africa, Washington, DC: Howard University Press.
Say, Jean-Baptiste (1964 [1880]), A Treatise on Political Economy, 4th edn, New York: A.M. Kelley.
Schumpeter, J.A. (1954), History of Economic Analysis, Oxford: Oxford University Press.
Smith, A. (1937 [1776]), The Wealth of Nations, the Cannan edition, New York: The Modern Library.
Wray, R.L. (1990), Money and Credit in Capitalist Economies: The Endogenous Money Approach, Aldershot,UK and Brookfield, USA: Edward Elgar.
Wray, L.R. (1998), Understanding Modern Money: The Key to Full Employment and Price Stability, Cheltenham, UK and Lyme, USA: Edward Elgar.
Wray, L.R. (2000), “Modern money”, in J. Smithin (ed.), What is Money?, London: Routledge, pp. 42-66.
Wray, L.R. (2001), “Understanding modern money: Clarifications and extensions”, CofFEE Conference Proceedings, Newcastle, Australia: Centre of Full Employment and Equity, December, http://e1.newcastle.edu.au/coffee/pubs/workshops/12_2001/wray.pdf.
Wray, L.R. (2003a), “Functional finance and US government budget surpluses”, in E. Nell and M. Forstater (eds), Reinventing Functional Finance, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 141-59.
Wray, L.R. (2003b), “The Neo-Chartalist approach to money”, in S. Bell and E. Nell (eds), The State, the Market and the Euro, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 89-110.
Originale pubblicato nel 2006
Traduzione a cura di Carlo Vittoli, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo e Andrea Sorrentino