L'Editoriale

Grecia, vince il no. E adesso?

Come già successo in passato (bocciatura della Costituzione europea nel 2005 in Francia e Olanda, bocciatura del Fiscal Compact in Irlanda nel 2008) una consultazione popolare, questa volta in Grecia, ha rifiutato quello che la tecnocrazia europea aveva deciso e intendeva imporre.

Quel meccanismo robotizzato che il presidente della Commissione UE, Juncker, aveva spiegato con semplicità:

Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno.

Dal punto di vista politico questa volta è successo che c’è stata una protesta, con modalità democratiche, in un contesto in cui “le istituzioni” hanno reso evidente il proprio metodo di governance intrinsecamente eversiva: una BCE che limita (o minaccia velatamente di farlo) la liquidità e la funzionalità del sistema bancario in un’economia monetizzata altro non è se non un tentativo di eversione.

Così come un Presidente di Parlamento, Schulz, che auspica un Governo di Tecnocrati per la Grecia.

Questi giorni hanno reso manifesta la natura di regime antidemocratico (per quanto non ancora perfezionato) dell’Eurozona, che non è “altro” rispetto ai Trattati, ma è esattamente il risultato di quanto i Trattati prevedono.

Politicamente quello che ha fatto la Grecia (sebbene non risolutivo) è in ogni caso anni luce avanti rispetto a quanto ha fatto l’Italia.

Dal punto di vista macroeconomico, sfortunatamente l’esito del referendum non è di per sè una soluzione al problema della Grecia, che è più che mai sul tavolo. La semplice “ristrutturazione del debito” o “riduzione dei surplus” abbinata a “le riforme” senza trasformazione strutturale dell’attuale architettura istituzionale eurozona non riuscirebbe a risollevare l’economia greca, come abbiamo più volte scritto da sei mesi fa a questi giorni. La chiave di uscita tecnicamente esiste.

Dentro l’Euro, un accordo dell’Eurogruppo che sarebbe possibile

se solo esistesse un bilancio finanziario capace di assorbire perdite senza fine… Oh, giusto, la BCE!

[Stephanie Kelton]

Fuori dall’euro, con una strategia di uscita dall’Eurozona.

Ma per attuare qualsiasi soluzione tecnica valida occorre, come sempre, una volontà politica diffusa e solida che ancora non si intravede, e che in ogni caso prevede l’azzeramento della sostanza dei Trattati esistenti.


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