L'Editoriale

Vento di cambiamento? Neanche uno spiffero

Vento di cambiamento? Neanche uno spiffero

Roberto Gualtieri, neo-Ministro dell’Economia, è stato presentato ai media come l’uomo in grado di farsi ascoltare dalla Commissione europea: profondo conoscitore delle istituzioni europee, eurodeputato al terzo mandato, profilo capace di stare sul doppio binario politico-tecnico.

Il suo profilo risponde all’impellenza di ottenere dalla Commissione europea un margine di flessibilità dei conti maggiore di quello concesso al Governo giallo-verde (che fu inesistente). Un’aspettativa che il nuovo Governo ha ritenuto realistica perché concepito come riconoscimento politico per la desalvinizzazione del Paese e perché strumento tecnico indispensabile per contrastare una recessione all’orizzonte che potrebbe trascinare giù anche la Germania.

D’altronde Gualtieri si fa forte del vento del cambia. L’economia tedesca in crisi, i cadaveri lasciati sul campo dall’austerity, Draghi che ora (e solo ora a fine mandato) dice ciò che ha sempre taciuto: servono politiche di bilancio, le politiche monetarie da sole non bastano. Un elegante eufemismo per dire che le politiche monetarie non servono all’economia reale, come la MMT spiega.

Ma nell’Eurozona il vento del cambiamento soffia sempre troppo debolmente ed è subito smorzato alla prima folata. I tecnocrati di Bruxelles non hanno intenzione di concedere nulla facilmente tanto che il Ministro, intervistato in occasione della riunione dell’Ecofin a Helsinki, ammette:

Ai miei colleghi ho detto che una manovra restrittiva sarebbe controproducente e stiamo lavorando per collocarla nel quadro di una più generale e appropriata ‘fiscal stance’ dell’area euro.

L’auspicio è che per effetto di questa discussione ci sarà una fiscal stance più espansiva per tutta l’Eurozona… Sarebbe opportuno che a livello europeo si rispondesse al rallentamento dell’economia con una politica più espansiva, a partire dai Paesi con più spazio fiscale… per soddisfare l’esigenza di rilanciare investimenti, favorendo la domanda aggregata e la crescita potenziale.

Nuova corsa nuovo giro, si resta avvitati nel loop dei dogmi liberisti dell’Eurozona: se qualche zero virgola in più sarà concesso, sarà solo in cambio di riforme e di una progressiva riduzione del debito pubblico (ovvero: come ti allungo la corda del cappio al collo se prometti di ri-accorciartela). Di fronte a un tessuto industriale annichilito e a un Sud abbandonato, gli zero virgola non bastano.

E così, mentre dall’altra parte del mondo si accende il dibattito in grado di sfatare uno a uno gli spauracchi sul deficit, in questa parte del mondo restiamo impantanati nell’estenuante negoziazione infruttuosa con i supporter dell’austerità. È vero che si è aperto un varco nel dibattito tra gli addetti ai lavori, dando sempre più spazio alla voce di quegli economisti americani che dicono il deficit fa bene all’occupazione e all’economia. In qualche caso, giornalisti e opinionisti si stanno affrettando per portare a compimento, senza dare troppo nell’occhio, il più repentino dei cambiamenti: il deficit ora è necessario e doveroso! W le politiche fiscali!

Ma ciò che serve è che questo varco si apra in ogni ambiente e anche al di fuori della nicchia degli specialisti. Ieri Giuseppe Conte, incontrando i sindacati in vista della manovra di bilancio, ha promesso di proseguire la strada dei conti in ordine.

Ma i conti in ordine mettono i redditi in disordine.

Ma come ogni attivista MMT sa, laddove si apre il varco del dubbio quello è lo spazio del cambiamento.


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