La Teoria

Un modello analitico generale per l’analisi di valute e altre merci (1ª parte)

Un modello analitico generale per l'analisi di valute e altre merci (1ª parte)

Keynes contestò la teoria neoclassica perché trattava il capitalismo al pari di un’economia di baratto o di “scambio di beni reali”, e offrì la sua “teoria monetaria della produzione” come alternativa all’approccio tradizionale fondato sulla “dicotomia classica” [1]. Questo aspetto dell’opera di Keynes è stato [ulteriormente] sviluppato da due tradizioni, l’approccio Post-Keynesiano e quello Circuitista (Deleplace e Nell, 1996). Tra i vari temi, i Post-Keynesiani hanno approfondito la relazione tra moneta (e contratti monetari), incertezza e periodo storico (Davidson), tra determinazione del prezzo delle attività e instabilità finanziaria (Minsky), tra creazione di moneta endogena e creazione di credito (Moore, Wray). Mentre i Post-Keynesiani hanno in generale enfatizzato il ruolo della moneta come riserva di valore, la Teoria del Circuito (Graziani, Parguez, Schmitt) ha posto in evidenza l’importanza di una analisi rigorosa della circolazione della moneta per la comprensione del funzionamento delle economie capitalistiche, incluso quello del principio della domanda effettiva [2].

Sia l’approccio Post-Keynesiano sia quello Circuitista accettano la diffusa concezione secondo cui la moneta moderna non è una moneta-merce ma, piuttosto, una moneta-segno (o fiat) (si vedano per esempio Moore, 1988; Graziani, 1988). Entrambi criticano però la teoria convenzionale per il fatto di continuare a utilizzare un modello che tratta la moneta moderna come se fosse ancora una moneta-merce. Questo saggio inizia con due commenti su questo punto essenziale. Primo, anche se la moneta moderna non trae il proprio valore dal suo status di merce, una volta che un segno viene dichiarato necessario per il pagamento delle tasse esso può essere analizzato come una qualunque altra merce. Secondo, nella maggior parte delle analisi Post-Keynesiane e Circuitiste è assente il processo istituzionale attraverso cui a un segno viene attribuito il suo valore (diventa moneta). Molte analisi “aggiungono” la spesa pubblica, la tassazione e la banca centrale dopo un’iniziale analisi del funzionamento di un’economia privata che fa uso di moneta (si veda per esempio Lavoie, 1992, pp. 151-69).

Le analisi del circuito che hanno inizio con il finanziamento bancario della produzione delle imprese (o degli acquisti delle famiglie) e si concludono con il rimborso dei debiti [contratti] da parte delle imprese (o delle famiglie) lasciano senza risposta la questione del motivo per cui qualcuno, in principio, dovrebbe vendere beni reali o servizi in cambio dell’unità di conto. La risposta dettata dal “buonsenso”, “perché può usare i fondi per acquistare altri beni e servizi”, non è soddisfacente perché, per via del “regresso infinito”, la domanda resta la stessa: “perché quei venditori vogliono l’unità di conto?”. Ciò che manca è il processo attraverso il quale all’unità di conto viene attribuito valore.

La posizione assunta in questo saggio è che la domanda resta aperta perché non è possibile rispondere (adeguatamente) a meno che [nel modello] venga considerato lo Stato sin dal principio dell’analisi. “La moneta è una creatura dello Stato” (Lerner), pertanto non può essere condotta un’analisi “monetaria” prima di avere introdotto lo Stato [nell’analisi]. È interessante notare come la visione cartalista di una valuta guidata dalla tassazione si possa ritrovare negli scritti di Keynes (per non dire di Adam Smith!), dei Post-Keynesiani e dei teorici del Circuito, eppure sia quasi sempre presentata come una digressione, le cui implicazioni restano inesplorate (si veda Wray, 1998, per ciò che riguarda Smith, Keynes e i Post-Keynesiani come Minsky; per i Circuitisti, si veda Graziani, 1988).

Nell’approccio Cartalista, lo Stato, desideroso di trasferire una varietà di beni e servizi dal settore privato al dominio pubblico, in primo luogo impone una tassa. L’unità di valuta creata dallo Stato è definita come ciò che è accettabile per il pagamento delle tasse. L’imperativo di pagare le tasse diventa pertanto la forza trainante del circuito monetario. Il presente saggio propone di affinare il concetto di circuito monetario usando un modello multidimensionale concepito per rivelare e chiarire le dinamiche di una valuta guidata dalla tassazione. Sarà mostrato inoltre che questo stesso modello si presta all’analisi di qualunque merce. In un adattamento della terminologia di Moore (1988), il modello include componenti “orizzontali” e “verticali” del circuito monetario. Dopo essere stato definito e discusso, il modello sarà usato per dissipare il mito secondo cui un deficit [corrente] comporterebbe una tassazione futura e per analizzare rapidamente la crisi finanziaria asiatica del 1997.

 

Note del Traduttore

1.^ Con dicotomia classica si intende la teoria, sviluppata dagli economisti classici, secondo cui le variabili macroeconomiche reali sono determinate indipendentemente da quelle nominali. In altre parole, il livello dell’attività economica all’interno di un’economia non dipende da fenomeni puramente monetari, come il tasso di inflazione. Si dice in questo caso che la moneta è neutrale, perché variazioni dell’offerta di moneta non hanno effetto sulle quantità reali delle variabili economiche. Fonte: Treccani.it.

2.^ Elaborato da J.M. Keynes, il principio della domanda effettiva sostiene che è la domanda aggregata a generare il livello di produzione complessiva, od offerta aggregata, e non c’è alcuna garanzia che il ‘punto di domanda effettiva’ corrisponda alla piena occupazione del lavoro e alla piena utilizzazione della capacità produttiva disponibile. Tale principio implica il rifiuto della legge di Say, secondo cui il meccanismo di mercato è in grado di determinare un insieme di prezzi (compreso il prezzo del lavoro, cioè il salario, e il prezzo del capitale, cioè il tasso di interesse) tali che la domanda aggregata sia sempre esattamente uguale alla produzione potenziale, ovvero alla produzione compatibile con la piena occupazione del lavoro e il pieno utilizzo della capacità produttiva esistente. Fonte: Treccani.it.

 

Bibliografia

  • Deleplace, Ghislain e Edward J. Nell (eds.), 1996, Money in Motion: The Post Keynesian and Circulation Approaches, London: Macmillan.
  • Graham, Benjamin, 1937, Storage and Stability, New York: McGraw Hill.
  • Graziani, Augusto, 1988, “Le financement de l’économie dans la pensée de J. M. Keynes”, Cahiers d’Economie Politique, 14-15.
  • Keynes, John Maynard, 1936, The General Theory of Employment, Interest, and Money, New York: Harvest Harcourt Brace.
  • Lavoie, Marc, 1992, Foundations of Post-Keynesian Economic Analysis, Aldershot: Edward Elgar.
  • Lerner, Abba P., and David C. Colander, 1980, MAP: a market anti-inflation plan, New York: Harcourt Brace Jovanovich.
  • Moore, Basil, 1988, Horizontalists and Verticalists, Cambridge: Cambridge University Press.
  • Mosler, Warren, 1997-98, “Full Employment and Price Stability”, Journal of Post Keynesian Economics, Vol. 20. No. 2., “Soft Currency Economics” http://www.warrenmosler.com
  • Wray, L. Randall, “Money and Taxes: The Chartalist Approach”, Working Paper No. 222, Jerome Levy Economics Institute.

 

Originale pubblicato nel 1998

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo


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