Eurostat il 12 settembre 2014 ha pubblicato l’ultimo rapporto sull’occupazione con i dati di luglio 2014 ed ha annunciato che l’occupazione totale nell’area dell’euro è aumentata del 0,2 per cento.
Per chi da sempre studia i dati non ci sono sorprese. Ma per il lettore occasionale potrebbe essere motivo di confusione. C’è stato un improvviso cambiamento considerato che la crescita dell’occupazione nell’ultimo trimestre era saldamente negativa in Europa?
La spiegazione è che Eurostat pubblica due diversi indici sull’ occupazione. Il primo (quello pubblicato ora a settembre) è derivato dalle stime nazionali, mentre l’altro è calcolato dalle agenzie del lavoro. Quest’ultimo indice infatti non dipinge un quadro molto roseo per nessun paese. Ma qualunque sia la valutazione di questi dati, la Commissione europea sta ancora affrontando un disastro e la risposta politica più recente non farà assolutamente nulla per alleviare il problema. Ma allora perché sorprendersi di questo?
La tabella seguente mette a confronto le stime di crescita occupazionale calcolate dalle agenzie per il lavoro per i trimestri 1 e 2 (dove disponibile) per i lavoratori di 15-64 anni di età con le stima governative. Ho aggiunto un’altra colonna alle stime delle agenzie , che mostra la variazione percentuale di occupazione rispetto all’ultimo picco registrato nel terzo trimestre del 2008.
La tabella seguente mostra la stessa stima delle agenzie per il lavoro relativa al primo trimestre 2014 e la variazione rispetto al picco del 2008 calcolata per i giovani europei (15-24 anni). Il dato è disastroso.
Ma come si conciliano le due diverse serie di dati sull’occupazione?
Eurostat fornisce un’utile pubblicazione – Relazione tra i dati sull’occupazione nell’analisi delle agenzie per il lavoro e l’analisi governativa – che permette di capire le differenze, ma non risolve le contraddizioni tra i due indici.
In sostanza le differenze sono:
- le stime nazionali sottolineano il concetto di “occupazione in unità di produzione residenti indipendentemente dal luogo di residenza del lavoratore”, mentre le agenzie per il lavoro utilizzano un “concetto nazionale di lavoro”, che rappresenta i lavoratori residenti.
La differenza tra i due concetti “corrisponde principalmente al numero netto di lavoratori transfrontalieri”. In generale la differenza è relativamente piccola. - L’agenzia per il lavoro esclude le “persone che vivono in comunità o gruppi (ad es i militari di leva), gli apprendisti e i tirocinanti non retribuiti e le persone in congedo parentale, mentre le stime governative le includono. Quindi, se ci fosse una moltitudine di giovani che lavorano gratuitamente per avere un’ ‘esperienza di lavoro’, pessima abitudine che si sta insinuando nel mercato del lavoro (cioè, il lavoro non retribuito), allora le stime nazionali li comprenderebbero mentre non lo farebbero le agenzie del lavoro.
- L’agenzia per il lavoro “esclude le persone sotto i 15 anni dalla definizione di lavoratore”, mentre “le stime governative non escludono lavoratori in base all’età”.
La mia esperienza mi dice che le stime delle agenzie per il lavoro sono in genere una guida migliore con minori incertezze.
Come ulteriore supporto alla credibilità dei dati governativi che presentano un quadro eccessivamente ottimistico, Eurostat ha pubblicato il 16 settembre 2014, anche l’ultimo dato sul – tasso di posti vacanti nella zona euro stabile al 1,7% – dimostrando che il tasso di posti vacanti è rimasto invariato rispetto alla fine del 2010 e ha solo marginalmente recuperato dal minimo raggiunto nel 2009.
Ecco il grafico dalla pubblicazione Eurostat.
Con uno sforzo di interpretazione, però, incrociando i dati con un altro grafico è abbastanza terribile.
Allora cosa è successo?
Il grafico seguente mostra la reale domanda interna (indicizzato a 100 nel 2000) per le 18 nazioni dell’ Euro e per i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna).
La domanda interna è la somma della spesa per consumi privati e pubblici più gli investimenti privati e pubblici (accumulazione di capitale). Quindi misura la spesa totale per l’economia non comprendendo quella proveniente dalle esportazioni nette (entrate dalle esportazioni meno spese per le importazioni).
C’è stato un crollo continuo dal 2007 e nessun recupero. Per nazioni come il Portogallo, la Grecia e l’Italia, la domanda interna nel 2013 è ancora al di sotto del livello registrato al momento in cui entrarono nella zona euro e cedettero la propria sovranità monetaria.
Se consideriamo la zona euro nel suo insieme la tabella seguente mostra la variazione della domanda reale interna tra il 2008 e il 2013 (in percentuale).
Le variazioni negative della spesa interna in termini reali sono impressionanti. L’Irlanda ha perso circa il 25.8 per cento, l’Italia 11.6 per cento, 43.4 per cento in Grecia, Spagna 20.1 per cento, 29.1 per cento Cipro, Lettonia 30.4 per cento, Portogallo 16.1 per cento.
Comunque si prendano questi dati rappresentano un enorme fallimento di queste economie e dato che stiamo parlando di un periodo di 5 anni, i risultati riflettono anche un gigantesco fallimento politico.
Il cosiddetto cuneo fiscale sul costo del lavoro è spesso tirato in ballo come un vincolo strutturale per l’occupazione nel contesto europeo.
Secondo Eurostat, il cuneo fiscale è:
… Definito come l’imposta sul reddito costituito dai salariali lordi del dipendente più i contributi sociali versati dal datore di lavoro, ed è espresso in percentuale sul costo totale del lavoro del dipendente. Il costo totale del lavoro è definito come la retribuzione lorda più i contributi sociali del datore di lavoro, più le imposte sui salari (quando ci sono).
Il grafico seguente mostra il cuneo fiscale di Eurostat per l’Euro17 e il PIIGS dal 2000 al 2013 dove prevale un andamento piatto con qualche andamento al ribasso.
É difficile ritenere una variabile coinvolta in una forte riduzione al ribasso di un’altra grandezza variabile quando:
- l’altra serie (variabile) è cresciuta rapidamente, mentre la variabile in esame ha mantenuto il suo valore;
- la serie coinvolta cambia drasticamente direzione , mentre non si registra alcun cambiamento significativo nella variabile in esame.
I cambiamenti nella domanda interna reale erano ciclici, non strutturali e restano tali nel periodo attuale.
Quando ho esaminato i cosiddetti determinanti strutturali del cosiddetto tasso naturale di disoccupazione (NAIRU) elencati da economisti mainstream quali l’indennità di disoccupazione, i tassi di sostituzione (sussidi) , cunei fiscali (costo, ecc) ho trovato che:
- sono altamente ciclici;
- quando si elimina la componente ciclica non si trova alcuna relazione con la variazione delle stime del NAIRU. Le prove a supporto della relazione tra crescita dell’occupazione e cuneo fiscale sono decisamente dubbie.
Inoltre, nel grafico sottostante, l’Irlanda si distingue con un basso cuneo fiscale ma il crollo reale della sua domanda interna è stato più che consistente.
Allora, perché sto scrivendo questo?
Ieri (16 settembre 2014) la divisione Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione Europea, ha pubblicato il sua ultimo grande lavoro – Politica dell’occupazione oltre la crisi (Employment policy beyond the crisis) – Guida Europa sociale – Volume 8. La
Guida Europa sociale è una pubblicazione biennale volta a fornire ad un pubblico interessato, ma non necessariamente specializzato una panoramica concisa sui settori specifici della politica dell’Unione europea nel campo dell’occupazione, degli affari sociali e dell’inclusione … il Volume 8 guarda le politica occupazionale dell’UE, sostenuta dalla strategia europea per l’occupazione. Mette in evidenza le principali iniziative per contrastare gli effetti dirompenti della crisi economica, in particolare la strategia Europa 2020 e del semestre europeo.
Il Volume 8 delinea la politica occupazionale che la commissione europea (CE) ha messo in atto. Il capitolo su “Combattere la disoccupazione in una grave recessione” (a partire da pagina 19) afferma che i massicci aumenti della disoccupazione nella maggior parte delle nazioni europee:
… rischiano di lasciare profonde cicatrici nel tessuto sociale in Europa, rendendo più difficile raggiungere l’occupazione e gli obiettivi sociali sanciti dai Trattati (l’articolo 3 del TUE impegna l’UE “a lavorare per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, […], che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”).
Che è un’affermazione vera, se mai ve ne fosse una.
Notate l’obiettivo della piena occupazione, significa che devono produrre tanti posti di lavoro quanti sono quelli desiderati dalla forza lavoro disponibile.
Ci sono circa 25 milioni di disoccupati nell’Unione europea. Se escludiamo la disoccupazione detta frizionale (circa il 2 per cento), servirebbero almeno 21 milioni di posti di lavoro (circa) per raggiungere l’obiettivo di piena occupazione.
Ma allora che cosa stanno facendo al riguardo?
Il Volume 8 dice che la CE sostiene la creazione di posti di lavoro da generare attraverso
Le riforme della tassazione sul lavoro.
Come? Con
Una riduzione del cuneo fiscale.
A quanto pare l’obiettivo è realizzarlo
senza compromettere il bilancio. Ad esempio, la tassazione può essere spostata in modo neutrale per il bilancio verso imposte sull’ambientale, sulle proprietà o sui consumi. Che sono meno dannose per la crescita dell’occupazione.
Questo è il solito incomprensibile mainstream. Notate che non propongono alcun aumento netto della spesa pubblica (cambiamenti neutri per il bilancio) così da non prevedere alcuno stimolo dell’occupazione nel settore pubblico.
Inoltre, le imposte sui consumi minano la spesa (vedi l’aumento dell’Iva in Giappone).
E inoltre non c’è nulla che suggerisca che il taglio del costo del lavoro aumenti l’occupazione. Le imprese non impiegano manodopera perché a buon mercato ma solo se c’è domanda per i loro prodotti.
Il pacchetto Commissione Europea sull’occupazione comporta anche il pagamento di integrazioni salariali. Queste potrebbero spostare l’occupazione tra diversi tipologie di lavoratori, ma non aumentare il tasso di occupazione, perché non aumentano la spesa totale nell’economia.
Propongono aumenti salariali come
benefit lavorativi per aumentare la retribuzione tra lavoratori poco qualificati.
Si tratta essenzialmente di un sussidio salariale che viene pagato dallo Stato, piuttosto che dal datore di lavoro. Tuttavia, l’evidenza è che non siano realmente efficaci nell’aumentare l’occupazione.
Piuttosto si sono notati effetti perversi in cui i lavoratori hanno drasticamente ridotto le ore di lavoro al fine di essere riconosciuti come beneficiari di questi sussidi.
Resta il fatto che le imprese non impiegano i lavoratori se non c’è una prospettiva di un aumento delle vendite dei loro prodotti. La concessione di benefits per il lavoro non è un mezzo per aumentare la domanda soprattutto quando sono fatti in un ambiente fiscalmente neutrale.
La Commissione Europea sostiene anche che vogliono
modernizzare il sistema di determinazione dei salari … al fine di garantire che i salari reali riflettano gli andamenti della produttività e sostengano la domanda aggregata.
Aspetteremo e vedremo cosa succede. Certo, la tendenza è quella di ampliare il divario tra la crescita reale dei salari (che è piatta se non negativo) e la crescita della produttività e fanno affidamento sulla crescita del credito per sostenere la crescita dei consumi.
Un cocktail letale, ma coerente con le strutture politiche neo-liberali.
Tutte le proposte per risolvere la disoccupazione di massa con la creazione di posti di lavoro riusciranno a produrre pochissimi posti di lavoro netti e un aumento insignificante di ore di lavoro.
Sono state provate più e più volte e in generale sono sempre fallite.
Queste politiche fallimentari sono tutte ispirate al sempre acclamato proclama da libro di testo neo-classico per cui la disoccupazione è causata da eccessivi salari reali piuttosto che dalla mancanza di spesa.
Riguardiamo il crollo della domanda interna (spesa) del grafico sopra.
Conclusione
Il documento della Commissione Europea è molto lucido e probabilmente è costato un botto di soldi per la pubblicazione e stampa. Ma non ispira alcuna speranza.
Speriamo che il nuovo Commissario entrante veda le cose un po’ diversamente e si renda conto che deve chiedere che ai governi europei sia permesso di aumentare sostanzialmente i loro deficit di bilancio e di impegnarsi nella creazione diretta di posti di lavoro nel settore pubblico.
Originale pubblicato il 17 settembre 2014
Traduzione a cura di Stefano Sanna