Approfondimento

Reddito di Cittadinanza. C’è una terza via

Il 2020 ha visto una crescita record della povertà in Italia a causa dell’impatto drammatico della pandemia sull’economia del paese. Gli ultimi dati Istat certificano un aumento delle famiglie povere (7,7% delle famiglie totali, nel 2019 erano il 6,9%). Peggiora anche l’indice relativo alla povertà delle persone singole (9,3%, nel 2019 erano il 6,8%). Sempre l’Istat segnala un rischio povertà per i giovani più che doppio rispetto agli anziani. Il dato relativo alla povertà assoluta raggiunge quota 11,3% nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni.

Il Reddito di Cittadinanza

Si tratta di uno strumento di emergenza volto a dare un sostegno immediato a chi non ha un reddito e che ha sicuramente smorzato gli effetti negativi della crisi, ma non può essere uno strumento funzionale per far ripartire l’economia, un errore di valutazione che caratterizza molti suoi sostenitori.

Sull’altro fronte, con la ripresa delle attività, molti imprenditori lamentano di non trovare sul mercato giovani disponibili ad accettare i lavori proposti perché percettori del reddito di cittadinanza. Nella realtà, dietro quello che appare come un inspiegabile diniego, si nascondono proposte per lavori stagionali, poco retribuiti e quindi poco concorrenziali con il reddito di cittadinanza. La difficoltà a trovare lavoratori disponibili a ogni condizione, rimette in moto l’esercizio del pressing per eliminare ogni forma di sussidio statale, in modo da spingere i poveri ad accettare qualsiasi offerta lavorativa. Ma non è così che si costruisce la ripresa di un paese moderno.

La terza via

In altre realtà il dibattito verte invece sull’implementazione dei Piani di Lavoro Garantito che rappresentano uno strumento efficace per risolvere la disoccupazione, impiegare le competenze delle persone, rimettere in moto il mercato del lavoro in una logica che non sia orientata al ribasso. Un lavoro garantito dallo Stato consente, a chi ha perso il lavoro, di avere un reddito, essere attivo, mantenere la propria vita lavorativa su un piano di continuità e reinserirsi più facilmente nel mercato del lavoro del settore privato. Soprattutto è uno strumento anticiclico che favorisce la ripartenza dell’economia. Va inoltre valutato che i costi derivanti dalla mancanza di possibilità d’impiego si scaricano sempre e comunque sul bilancio pubblico. Tramite il RdC, lo Stato italiano fornisce ai disoccupati sussidi ed ammortizzatori sociali che, non solo hanno dei costi economici importanti, ma anche dei costi sociali. Come propone Pavlina Tcherneva – economista MMT e autrice del libroThe Case for a Job Guarantee – perché, invece di pagare le persone per non lavorare, non scegliere di pagarle per lavorare? Ossia di fornire loro non un sussidio di disoccupazione, bensì direttamente un impiego.

 Gli economisti MMT hanno elaborato lo strumento dei PLG partendo da un punto di vista macroeconomico. I disoccupati sono sempre stati utilizzati come una sorta di riserva-cuscinetto finalizzata a controllare l’inflazione. Cosa avverrebbe se l’impiego venisse invece utilizzato in funzione di riserva-cuscinetto? Il dibattito è aperto e richiede un approfondimento maggiore di quello che oggi possiamo riservare in questo articolo, ma è fondamentale spostarlo dalla mera dialettica sussidi sì – sussidi no.


Articolo pubblicato sulla rivista Bergamo Economia nel mese di Giugno 2021


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