Questa analisi neoliberista è alla base della costante richiesta di introdurre le cosiddette “riforme strutturali”. Questo argomento è uno dei preferiti della Comunità Europea. A titolo di esempio, una relazione dell’esecutivo dell’UE sugli squilibri macroeconomici in Spagna pubblicata nel 2015 indicava i seguenti obiettivi per il nostro mercato del lavoro [1]. Gli inserti tra parentesi sono miei.
- “Continuare con nuove misure per ridurre la segmentazione del mercato del lavoro per favorire [la creazione di] posti di lavoro sostenibili di qualità, ad esempio attraverso la riduzione del numero di tipologie contrattuali e garantire un accesso equilibrato ai diritti di indennizzo in caso di licenziamento” (Ridurre i salari reali)
- “Continuare a monitorare regolarmente le riforme del mercato del lavoro” (Accelerare il ritmo di introduzione delle riforme strutturali)
- “Promuovere lo sviluppo dei salari reali in modo che siano coerenti con l’obiettivo di creare posti di lavoro” (Ridurre i salari reali)
- “Rafforzare i requisiti di ricerca di lavoro rispetto ai sussidi di disoccupazione” (Ridurre la disutilità del lavoro)
- “Evidenziare l’efficacia e gli obiettivi delle politiche attive del mercato del lavoro, tra i quali sono inclusi i sussidi alle assunzioni soprattutto per coloro che affrontano maggiori difficoltà nell’accedere ad un’occupazione” (Ridurre il costo reale del fattore lavoro per le imprese)
- “Rafforzare il coordinamento tra mercato del lavoro e politiche di istruzione e formazione” (Ridurre la disoccupazione frizionale).
- “Accelerare la modernizzazione dei servizi per l’impiego per garantire una assistenza personalizzata efficace, una formazione adeguata e l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, con particolare attenzione ai disoccupati di lungo periodo” (Ridurre la disoccupazione frizionale)
- “Garantire l’effettiva applicazione della cooperazione pubblico-privato nei servizi di collocamento entro la fine del 2014 e monitorare la qualità dei servizi erogati” (Ridurre la disoccupazione frizionale)
- “Garantire il funzionamento efficace del Portale Unico per l’impiego e integrarlo con misure aggiuntive per assicurare la mobilità del lavoro” (Riduzione della disoccupazione frazionale e della disutilità del lavoro)
Dalla lettura del documento della Commissione europea si deduce che i colpevoli dell’elevata disoccupazione spagnola sarebbero:
- la mancanza di formazione dei lavoratori e il mancato incontro tra competenze offerte e competenze domandate;
- salari reali che stentano a diminuire;
- le rigidità del mercato del lavoro: quei lavoratori che non vogliono trasferirsi dalla loro città;
- un servizio pubblico di collocamento inefficace;
- i tipi di contratti di lavoro che generano un mercato doppio in cui alcuni hanno una protezione contro il licenziamento e altri no. Nell’espressione “accesso equilibrato ai diritti di indennizzo in caso di licenziamento” io leggo la prescrizione di ridurre tali diritti per coloro che ancora li hanno.
La mancanza di domanda aggregata come conseguenza delle politiche di austerità e la mancanza di fiducia degli imprenditori non compaiono nella lista!
Per anni, le politiche applicate dai governi che si sono succeduti, sotto gli auspici della Comunità Europea, hanno sempre avuto lo stesso andamento. Tuttavia, negli ultimi 30 anni, la disoccupazione è rimasta ostinatamente alta. I neoliberisti obietteranno che non abbiamo fatto le riforme strutturali con sufficiente convinzione ed entusiasmo. Dobbiamo riconoscere loro la perseveranza nell’applicare le proprie ricette economiche. Il problema è che questa analisi neoliberista non è sostenuta né dall’evidenza empirica né da un’analisi concettuale.
La teoria produttività marginale del lavoro = salario = disutilità del lavoro è ingegnosa sebbene sia estremamente difficile da applicare nella pratica. Riconoscere che sarebbe estremamente difficile per chiunque calcolare la propria disutilità di lavorare se non in modo molto approssimativo. Sappiamo che lavorare in una fogna per 200 euro al mese non compensa lo sforzo fisico, gli odori sgradevoli e i rischi [che si corrono]. Sappiamo anche che una posizione amministrativa per € 45.000 all’anno è una buona opportunità, ma dubito che la maggior parte delle persone possa fare calcoli in modo preciso. Possiamo solo arrivare ad una misura grossolana della nostra disutilità.
D’altra parte il concetto di produttività marginale del lavoro, sebbene sia elegante, soprattutto se accompagnato dal solito apparato algebrico che piace agli autori classici, potrebbe in pratica applicarsi solo a certi lavori omogenei in cui i lavoratori potevano essere sostituiti facilmente da altri. Forse un buon contabile sarebbe in grado di attribuire un valore alla produttività marginale del lavoro della impresa per cui lavora. Quando vediamo che certi alti dirigenti o calciatori ricevono stipendi esorbitanti, possiamo credere che se i loro datori di lavoro rescindessero i loro contratti il loro reddito diminuirebbero nella stessa misura dei salari risparmiati? Se Cristiano Ronaldo lasciasse il Real Madrid, davvero l’anno successivo smetterebbe di ricevere da quel club € 17 milioni? Le entrate dell’ACS si ridurrebbero di 5 milioni di euro se il presidente Fiorentino Pérez non fosse più presidente? È credibile che la produttività marginale di un medico [impiegato] nelle cure primarie sia equivalente al un salario medio di € 1.832 al mese osservato in Spagna nel 2014? Come viene determinata la produttività marginale di un’infermiera? Onestamente sembra che il concetto non possa avere interesse maggiore di quello destato da una curiosità statistica.
Forse nel contesto della società industriale di fine Ottocento, si potrebbe calcolare il rendimento marginale di un lavoratore, ma questo autore non ha mai visto che una impresa potesse dire quale fosse il rendimento marginale di ogni lavoratore in tutta la sua esperienza professionale. È più che dubbioso che le differenze salariali osservate tra uomini e donne possano essere giustificate dalle differenze nella produttività marginale di ciascun sesso. Sembra più realistico assumere che i livelli salariali siano determinati dal potere contrattuale di ciascuna delle parti, senza che nessuno sia in grado di sapere quale sia la produttività marginale di ogni lavoratore, il che – se potesse essere calcolato – sicuramente fluttuerebbe in modo costante di mese in mese.
Forse Michal Kalecki ha già spiegato all’inizio del XX secolo come i salari dei lavoratori nel settore industriale dipendessero dal grado di monopolio e dal potere contrattuale ottenuto grazie all’azione sindacale. Ostacolati i sindacati, molti lavoratori hanno visto il loro reddito diminuire al di sotto del livello fumoso di disutilità del lavoro. Molti non smettono di lavorare per questo motivo, ma sicuramente sono caduti in una profonda demotivazione con conseguenze disastrose per la produttività, che è davvero importante per migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Possiamo lanciare più obiezioni alla posizione della Commissione europea e dei governi neoliberisti sul problema della disoccupazione spagnola. Gran parte delle ricette sopra descritte sono misure che mirano a ridurre la disoccupazione frizionale. Solo un cieco potrebbe pensare che, nel bel mezzo di una profonda depressione che ha lasciato un quarto della forza lavoro disoccupata, una semplificazione delle tipologie contrattuali ridurrà il tasso di disoccupazione più di pochi decimi di punti percentuali. Riconosciamo – dopo l’ennesima riforma del lavoro – che la disoccupazione continua ad essere estremamente alta. Stiamo facendo riforme del lavoro dai Patti della Moncloa. Cos’altro dobbiamo fare? Forse il famoso contratto unico riuscirà effettivamente a mettere fine alla dualità del mercato del lavoro, in cui alcuni godono di contratti a tempo indeterminato con clausole vantaggiose in caso di licenziamento ed altri sono condannati a contratti temporanei, però sicuramente il risultato sarebbe quello di uguagliare le condizioni di tutti al ribasso. Una razionalizzazione dei servizi di collocamento sarebbe utile per ridurre la disoccupazione frizionale ma non riesco a comprendere come una valanga schiacciante di disoccupati negli uffici di collocamento possa essere servita efficacemente da pochi funzionari, quando il problema è che non c’è letteralmente alcuna domanda di lavoratori. Non sarebbe male se lo stato collaborasse a ridurre la disoccupazione raddoppiando o addirittura triplicando il numero di persone impiegate in questi uffici di collocamento, ma dubito che riusciranno a migliorare una situazione di devastazione come quella attuale. Se il problema è che i lavoratori non sono ben formati, perché i giovani meglio formati – scienziati, ingegneri, medici, infermieri – partono per vivere in altri Paesi dove pagano salari migliori e danno loro contratti stabili? Non sembra plausibile sostenere che il miglioramento della qualità dell’offerta dei lavoratori risolverà il problema quando non vi è alcuna domanda di lavoro da parte delle imprese. Temo che solo i politici continuino a credere che il problema della disoccupazione possa essere risolto ricorrendo al BOE [i].
Note dell’Autore
1.^ Country Report Spain 2015 Including an In-Depth Review on the prevention and correction of macroeconomic imbalances.
Note del Traduttore
i.^ Cfr Boletín Oficial del Estado, organismo pubblico dipendente dal Ministerio de la Presidencia, competente per la pubblicazione e la diffusione delle leggi, delle disposizioni e degli altri atti soggetti all’obbligo di pubblicazione, fonte: Eur-lex.europa.eu
Originale pubblicato il 12 ottobre 2015
Traduzione a cura di Veronica Frattini, Supervisione di Maria Consiglia di Fonzo