Ci siamo lasciati alle spalle i mondiali di calcio in Brasile, di sicuro la vittoria della Germania. Eppure c’è un aspetto di questi mondiali che non va chiuso nel cassetto ma analizzato. Riguarda le proteste dei brasiliani sulle quali ci aggiornavano i media contro le spese pubbliche finalizzate all’organizzazione del mondiale.
La popolazione protestava per due motivi, uno di natura economica e l’altro di natura politica: le persone chiedevano di destinare il denaro pubblico utilizzato per realizzare 12 stadi e le infrastrutture di collegamento ai problemi più importanti e urgenti quali la sanità, la scuola, i servizi. Il governo del Brasile ha stimato la spesa complessiva intorno a 33 miliardi di real (15,1 miliardi di dollari) di cui l’85% proveniente da fondi pubblici (governo federale, governo locale e città).
Il costo annuale per la manutenzione degli stadi è stimato nel 10% del prezzo di costruzione. Ad alimentare le proteste, l’aumento del costo di trasporto dei mezzi pubblici da 3 a 3,2 real. È stato semplice collegare l’aumento del biglietto alle spese sostenute per il mondiale, spese che come spesso avviene, crescevano in continuazione rispetto al previsto. Altra benzina sul fuoco è stata gettata dalle stime del raddoppio della spesa dello Stato per includere ulteriori conti quali il miglioramento della rete elettrica (per evitare black out durante le due settimane dei Mondiali). Lo Stato brasiliano ha investito infatti 2,7 miliardi di dollari nel sistema elettrico nazionale.
Se si crede nella superstizione del debito pubblico si casca nell’errato presupposto che “lo Stato può finire i soldi e i pochi soldi che ha deve scegliere bene come spenderli”. Con un ragionamento di questo tipo è chiaro che le proteste risultano giustificate e naturali. Se poi in più si crede anche che “le tasse finanziano la spesa pubblica” allora è ovvio considerare inaccettabile l’aumento del biglietto dei mezzi di trasporto. La propaganda liberista alimenta queste convinzioni con il solo obiettivo di diminuire la spesa pubblica e quindi la presenza e la forza dello Stato. Far credere che la spesa dello Stato è un costo e non un investimento è funzionale al mantenimento delle superstizioni, ma nella realtà quando il governo brasiliano potenzia la rete elettrica sta creando nuova ricchezza reale per la sua popolazione. E in più i soldi che ha speso Stato non sono stati tolti a nessuno!
Mantenere le persone sotto inganno è funzionale a quelle think tank che analizzano la spesa dello Stato come se fosse l’investimento di un privato. Se la stampa fosse indipendente e un po’ più competente spiegherebbe la verità: come si costruiscono gli stadi si possono costruire anche gli ospedali e le scuole. Con la stessa moneta e con la stessa spesa a deficit. Invece i giornali condannano la spesa “sprecona” e improduttiva dello Stato ed elogiano la sola spesa che dà profitto, soprattutto quando è gestita da privati. E così è considerato giusto e sensato che le opere costruite dallo Stato come gli stadi debbano essere affidate a gruppi privati, che poi ne cureranno la gestione facendo pagare ai cittadini brasiliani i costi. Opere e servizi costruiti dallo Stato ceduti a privati perché ne abbiano una rendita. Agli occhi del pensiero liberista la spesa pubblica dello Stato si trasforma da improduttiva a produttiva quando a usufruire della ricchezza reale creata sono le aziende private.
Per quanto la povertà in Brasile sia un aspetto ancora presente negli ultimi 10 anni il tasso di disoccupazione si è ridotto così da creare una spinta economica virtuosa sostenuta dalla domanda aggregata dei nuovi redditi. Il tasso di disoccupazione in Brasile è uno dei più bassi al mondo.
I redditi sono mediamente cresciuti, cioè i brasiliani stanno meglio:
con un tasso di inflazione che è leggermente cresciuto negli ultimi anni ma governato (ma come la curva di Phillips non vale nel Brasile? Sicuramente la colpa è dei Brasiliani).
Il Brasile sta quindi economicamente molto meglio di prima. E se il calcio forse prima rappresentava una valvola di sfogo per un Paese povero ora è una passione tra le altre perché le persone possono alzarsi per andare a lavorare e non mendicare un salario.
I dati sulla tassazione sul reddito e sugli acquisti evidenziano come il Brasile opera senza distruggere i risparmi dei cittadini ma al netto delle tasse è in grado di lasciare il margine per creare ricchezza al netto. Infatti abbiamo una tassazione sul reddito del 27.5%, mentre la tassazione sui consumi (l’Iva) è del 19%.
Il Brasile rappresenta dunque una conferma che la spesa a deficit dello Stato genera un crescente benessere per quanto ancora non equamente distribuito.
Infine per gli amanti del “è ricco perché esporta materie prime” ricordiamo che è vero che il Brasile ha materie prime ma da 4 anni è diventato un Paese che importa più di quanto esporti.