La Teoria

Principio 5: La storia della sostenibilità fiscale e del margine di manovra fiscale

Quando due fondatori della MMT si incontrano per discutere del loro lavoro

Nell’economia mainstream, il concetto di sostenibilità fiscale e quello di margine di manovra fiscale sono definiti in termini finanziari.

Ad esempio, il FMI definisce il margine di manovra fiscale in questo modo:

… il margine di manovra nel budget di un Governo che permette di avere risorse a disposizione per perseguire gli scopi desiderati senza mettere a repentaglio la sostenibilità della sua posizione finanziaria o la stabilità dell’economia. L’idea è che il margine di manovra fiscale deve esistere o essere creato se devono essere rese disponibili risorse addizionali per una spesa proficua del Governo. Un Governo può creare il margine di manovra fiscale aumentando le tasse, assicurandosi sovvenzioni esterne, tagliando spese non prioritarie, prendendo in prestito risorse (da cittadini o prestatori esteri), o prendendo in prestito dal sistema bancario (quindi, espandendo l’offerta di moneta). Ma deve far questo senza compromettere la stabilità macroeconomica e la sostenibilità fiscale – accertandosi di avere la capacità, sia nel breve sia nel lungo periodo – di finanziare i suoi programmi di spesa così come di onorare il proprio debito.

La MMT rifiuta interamente queste nozioni.

Non è possibile definire il margine di manovra fiscale o la sostenibilità a partire da qualche livello di deficit rispetto al PIL o da qualche soglia di debito pubblico rispetto al PIL o da qualsiasi altro indice “finanziario” autoreferenziale.

Il concetto di sostenibilità fiscale non può essere definito in maniera significativa in termini di qualsivoglia nozione di solvibilità pubblica. Uno Stato sovrano è sempre solvibile (a meno che scelga di non esserlo per ragioni politiche!).

Il concetto di sostenibilità fiscale non includerà alcuna nozione degli imperativi finanziari che uno Stato sovrano affronta né invocherà la fallace analogia tra una famiglia e uno Stato.

Il concetto di sostenibilità fiscale non includerà alcun concetto di vincoli “finanziari” esteri o timori riguardo alla titolarità estera del debito di uno Stato.

Abbiamo imparato che:

  • uno Stato sovrano non è vincolato al gettito fiscale, il che significa che il margine di manovra fiscale non può essere definito in termini finanziari;
  • la capacità dello Stato sovrano di mobilitare risorse dipende solo dalle risorse reali disponibili per la nazione.

Tuttavia, affermare che uno Stato può accreditare conti correnti bancari e aggiungere importi alle riserve bancarie ogniqualvolta ritenga di farlo non significa che dovrebbe spendere senza avere riguardo della destinazione della spesa che sostiene.

Il concetto di sostenibilità fiscale è definito in modo più appropriato in termini di obiettivi sociali come il benessere.

Ad esempio, la sostenibilità fiscale è direttamente correlata agli scopi per i quali le risorse lavorative sono utilizzate nell’economia.

L’obiettivo è sostenere la piena occupazione, che è lo scenario di riferimento in un’economia efficiente che cerca di evitare lo spreco di risorse.

Una volta che lo Stato assume come propria responsabilità il raggiungimento e il sostegno alla piena occupazione, ci sono specifici requisiti imposti sulla sua spesa.

In questo post del blog, The full employment fiscal deficit condition [La condizione di deficit fiscale della piena occupazione] (13 Aprile 2011), in sintesi, abbiamo appreso che:

  1. un sistema macroeconomico è in stato stazionario (cioè, a riposo o in equilibrio) quando la somma degli apporti di spesa [aggregata] equivale alla somma delle riduzioni di spesa [aggregata]. Ogni volta che questa relazione è disturbata (ad esempio, da un cambio nel livello di apporti, qualsiasi sia la fonte), il reddito nazionale si aggiusta e porta a riduzioni nel livello di spesa – sensibili rispetto al reddito – in linea con il nuovo livello degli apporti di spesa. A quel punto il sistema è nuovamente a riposo.
    Dovrebbe essere compreso attraverso questo esempio che il sistema è in costante flusso e che l’equilibrio, definito in questo modo, è continuamente disturbato. Le variazioni di reddito che conseguono, operano per riportare in equilibrio aumenti e riduzioni di spesa.
  2. Gli aumenti provengono dalla spesa per le esportazioni [prodotte nell’economia], dalla spesa per gli investimenti (in beni capitali) e dalla spesa pubblica.
  3. Le riduzioni derivano dai risparmi delle famiglie, dalla tassazione e dalla spesa per importazioni.
  4. Per ogni “agente” che spende più del proprio reddito ci sarà un altro “agente” che spenderà necessariamente meno del proprio reddito.
  5. Ogni Stato, multinazionale – residente o non residente – può realizzare deficit (spendere più di quanto guadagna). Ad esempio, coloro che spendono più del proprio reddito sono le famiglie che si indebitano per acquistare case, le imprese che si indebitano per investire in nuovi beni capitali e gli Stati che spendono più di quanto prelevano attraverso le tasse. D’altro canto, le famiglie e le imprese che risparmiano stanno realizzando surplus.
    Un’economia che si trova in stato stazionario non necessariamente sarà in piena occupazione o realizzerà il livello di risparmio desiderato.
  6. Quando un’economia è in stato stazionario e c’è un livello di disoccupazione elevata dovrà esserci un gap di spesa e desideri di risparmio non soddisfatti, poiché la disoccupazione di massa è il risultato di una domanda carente (in relazione alla spesa richiesta per offrire posti di lavoro retribuiti a sufficienza).
  7. Se non si innesca una dinamica che conduce a un incremento nella spesa privata (o non-governativa), allora l’unica strada attraverso la quale l’economia aumenterà il proprio livello di attività è un incremento della spesa pubblica netta. Questo significa che l’apporto che avviene attraverso l’incremento di spesa pubblica deve più che compensare la riduzione di spesa che deriva dal gettito fiscale.
  8. Per sostenere la piena occupazione, il deficit fiscale deve compensare esattamente il gap creato dalle riduzioni di spesa non-governativa, essendo queste superiori alle iniezioni di spesa.

Se il deficit fiscale non è sufficiente, allora il reddito nazionale diminuirà e si perderà la condizione di piena occupazione. Se lo Stato cerca di espandere il deficit fiscale oltre la soglia della piena occupazione, allora la spesa nominale supererà la capacità dell’economia di rispondere con un incremento di produzione reale e, anche se il reddito aumenterà, questo sarà dovuto all’effetto prezzi (vale a dire, si verificherebbe l’inflazione).

In alcuni casi, sarà richiesto un surplus fiscale per sostenere la piena occupazione senza inflazione, se le iniezioni di spesa non-governativa dovessero superare le riduzioni (cioè, se l’export è particolarmente robusto).

Uno Stato che opera secondo queste regole sta conducendo una politica fiscale sostenibile.

Qualunque sia il saldo fiscale che emerga sotto queste condizioni.

Non c’è niente di intrinsecamente buono o cattivo in un deficit fiscale pari al 2% del PIL rispetto a un deficit pari al 10% del PIL o ad un surplus del 3% del PIL.

Per valutare la sostenibilità fiscale è necessario che comprendiamo il contesto, il che significa che dobbiamo comprendere le decisioni di risparmio e di spesa del settore non-governativo.

Questo si collega anche al concetto MMT di margine di manovra fiscale, [concetto] che è relativo a desideri di risparmio non soddisfatti, come evidenziato dall’esistenza di disoccupazione di massa.

In un’economia monetaria moderna, il margine di manovra fiscale non ha nulla a che fare con ciò che il bilancio fiscale corrente sia o sia stato e con ciò che il rapporto debito pubblico/PIL sia o sia stato.

Uno Stato sovrano può acquistare e gestire ogni risorsa disponibile che sia in vendita nella propria valuta, incluso tutto il lavoro disponibile.

È la disponibilità di risorse (beni e servizi) che sono in vendita nella valuta di emissione che definisce quanto margine ha lo Stato.

Uno Stato del genere non può restare senza i fondi per perseguire il suo obiettivo di assicurare che tutte le risorse disponibili siano occupate in maniera produttiva.

Così il deficit passato non pone particolari vincoli su ciò che lo Stato può fare in futuro, eccetto dire il fatto che – se il deficit è stato adeguatamente calibrato per supportare la piena occupazione con la leva fiscale – allora ci sarà meno da fare nel caso in cui il settore privato dovesse contrarsi.

Per comprendere meglio il concetto di sostenibilità fiscale e disingannarvi rispetto alla falsa asserzione che sia in qualche modo correlata alla storia del rapporto debito/PIL, sarà d’aiuto la serie dei post del blog che segue:

  1. Fiscal sustainability 101 – Part 1 [Sostenibilità fiscale 101 – Parte 1] (15 Giugno 2009)
  2. Fiscal sustainability 101 – Part 2 [Sostenibilità fiscale 101 – Parte 2] (16 Giugno 2009)
  3. Fiscal sustainability 101 – Part 3 [Sostenibilità fiscale 101 – Parte 3] (17 Giugno 2009)
  4. The full employment fiscal deficit condition [La condizione di deficit fiscale per la piena occupazione] (13 Aprile 2011)
  5. Fiscal space has nothing to do with public debt ratios or the size of deficits [Lo spazio fiscale non ha niente a che fare con il rapporto debito/PIL o la dimensione dei deficit] (30 Agosto 2018).

 

Originale pubblicato il 13 dicembre 2018

Traduzione a cura di Daniele Basciu


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