Approfondimento

Il taglio delle indennità di disoccupazione negli Stati Uniti è crudele e stupido – Seconda Parte

Ci sono due buone fonti di dati degli Stati Uniti che forniscono informazioni essenziali sullo stato del mercato del lavoro negli Stati Uniti. In primo luogo, l’US Bureau of Labor Statistics – US JOLTS database, che fornisce informazioni dettagliate sugli ingressi e sulle uscite dal lavoro e relativi indici, che consente una valutazione dei livelli di domanda e offerta di lavoro.

In secondo luogo, fornisce un flusso complessivo di dati che ci permette di calcolare le variazioni nel mercato del lavoro – per esempio, da essere disoccupati a trovare un lavoro. Oggi non voglio prendere in considerazione questa fonte di dati, ma probabilmente lo farò in seguito perchè è stato appena aggiornato.

I dati JOLTS ci permettono di analizzare l’assunto-base che

la disoccupazione è un problema profondamente connesso all’offerta di lavoro

e che la concessione di

sussidi ai disoccupati aumenta la disoccupazione.

La sintesi delle prove che fornisco in questo blog è semplice. Il punto di vista secondo cui ci sono un sacco di posti di lavoro disponibili negli Stati Uniti e che i sussidi di disoccupazione minano la determinazione della gente a occupare quei posti di lavoro è del tutto falso ed è teoricamente illogico oltre a non avere alcun riscontro nella pratica.

Tale risposta non significa che io ignori o escluda problemi dal lato dell’offerta (mancanza di competenze ecc) come parte della soluzione. Ma tutte le politiche dal lato dell’offerta che funzionano lo fanno quando sono applicate nel contesto di pieno impiego.

La riforma strutturale (come il miglioramento delle competenze, oppure favorire la mobilità verso le regioni in via di sviluppo, ecc) è in gran parte inefficace quando il mercato del lavoro è debole. Devono esserci specifici posti di lavoro transitori.

Il mainstream richiama continuamente l’ immaginario che in qualche modo la domanda e l’offerta del mercato del lavoro siano indipendenti l’una dall’altra. Questo concetto permette di definire soluzioni di equilibrio nette che portano a dire agli studenti di economia che i tagli dei salariali e il peggioramento dell’ergonomia nel lavoro servono a ridurre la disoccupazione di massa.

Io adoro il database JOLTS perché in un modo semplice fornisce la prova incontrovertibile di quanto sia errata questa idea sulla disoccupazione di massa, e tutto questo in un’ analisi temporale di breve periodo.

Non esiste una teoria credibile che proponga la scarsità come maggiore stimolo per ottenere un impiego quando mancano alcuni milioni di posti di lavoro per arrivare al livello necessario che garantisca un lavoro a tutti coloro che lo desiderano.

Dimenticate il piccolissimo numero di disoccupati che non vogliono lavorare. Sono numericamente di un ordine insignificante che non merita attenzione. Infatti la stragrande maggioranza (composta da milioni di cittadini) ha voglia di lavorare, ma non riesce a trovare lavoro perché non c’è lavoro!

Una buona politica non punisce le sorti del 99,5 per cento (o poco più) dei disoccupati solo per preoccuparsi del recalcitrante 0,5 per cento. La politica conservatrice è tipicamente costruita su un odio cieco per questo 0,5 per cento di disoccupati che non vogliono lavorare (dai livelli di reddito inferiori devo aggiungere) con interventi di politiche del lavoro che danneggiano la stragrande maggioranza dei disoccupati.

Naturalmente, gli stessi conservatori non usano la stessa determinazione per risolvere il problema di quell’1 per cento al vertice delle retribuzioni, che con ogni sorta di trucchi minano l’integrità del sistema economico.

Ma il taglio ai sussidi di disoccupazione quando non c’è altra alternativa è molto stupido. La disoccupazione radicata negli Stati Uniti è un chiaro segno di un’ insufficiente spesa governativa complessiva per l’economia.

Le imprese creano posti di lavoro in risposta alla domanda dei loro prodotti. Esse potrebbero dare occupazione a milioni di lavoratori disperati che hanno appena avuto il taglio dei loro sussidi, ma non li occuperanno perché non c’è domanda sufficiente a giustificare un aumento della produzione e quindi l’aumento di posti di lavoro.

Una domanda latente o fittizia per un tozzo di pane non è una domanda sostenuta con il denaro! Gli economisti mainstream non l’hanno mai veramente capito. Marx lo sapeva. Keynes e Kalecki lo sapevano. Clower e Leijonhufvud avevano nuovamente lavorato su questo nel 1960 ma gli economisti conservatori e fautori del libero mercato non potevano vedere oltre la legge di Say!

Inoltre, il fatto che questi tagli sono ora a livello federale significa che se c’è un taglio diffuso dei redditi da sussidio, allora le vendite si ridurranno e la disoccupazione aumenterà anziché diminuire perché diminuisce la spesa aggregata.

Poi dipenderà dalla differenza tra la diminuzione dell’offerta della forza lavoro (quanti lavoratori rinunciano a cercare lavoro) e la riduzione della domanda di occupazione, se il tasso di disoccupazione aumenta o diminuisce. Ma qualunque sia il risultato entrambi i casi sono pessimi!

Il mio ultimo blog sul database US JOLTS era: il Taglio dei sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti non diminuirà la disoccupazione.

Ecco alcune prove di ciò che sta accadendo.

In primo luogo, l’occupazione rimane molto debole. Il seguente grafico mostra la crescita occupazionale annua (in percentuale) nei mesi successivi alla recessione dopo il picco del 1981 e nei mesi successivi alla più recente recessione.

grafico mitchell parte due

I picchi prima dei rispettivi stop erano simili (2,1 per cento nel maggio 1981 ed al 2,3 per cento a dicembre 2006).

Dopo la recessione del 1981 il picco di crescita occupazionale si è ristabilito dopo 27 mesi e questo fu un periodo di recessione piuttosto lungo se si considera il ritmo di crescita dei livelli occupazionali.

Si può vedere che la crisi più recente ha toccato il fondo molto più tardi ed era molto più profonda e la ripresa è stata molto più lenta.

Inoltre, nonostante ci sia andato vicino nel 66 mese successivo e di nuovo 70 mesi dopo il picco (rispettivamente nel mese di giugno e ottobre 2012), il ciclo attuale non è ancora tornato al picco pur modesto toccato nel dicembre 2006.

E ora l’economia sta affrontando una contrazione che peggiorerà ulteriormente per le conseguenze dovute ai tagli sui sussidi di disoccupazione.

In secondo luogo, la disoccupazione non può essere spiegata come l’eliminazione di un comportamento anticiclico.

I libri di testo mainstream che sostengono le posizioni per cui i sussidi alla disoccupazione riducono le propensione alla ricerca di un posto di lavoro sono basati sull’idea che il supporto del governo federale per la disoccupazione distrugga la già debole iniziativa dei beneficiari e dovrebbe essere ridotto (o abbandonato del tutto)

Questa narrativa promuove politiche socio-patologiche, che portano i disoccupati a vivere una vita materiale più modesta, e vende queste teorie indecenti come strategie per incentivare i disoccupati a darsi maggiormente da fare per cercare lavoro.

La storia vista dalla parte dell’offerta inizia con un modello da manuale del mercato del lavoro che spiega come l’occupazione e il salario reale sono determinati in questo mercato del lavoro dall’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro.

Il livello di occupazione di equilibrio preso in considerazione è costruito come se ci fosse la piena occupazione perché presuppone che ogni azienda che voglia impiegare del personale per un determinato salario reale può trovare lavoratori che sono disposti a lavorare a quel prezzo ed inoltre presuppone che ogni lavoratore che è disposto a lavorare a quel salario reale può trovare un datore di lavoro disposto ad assumerlo a quel prezzo.

La disoccupazione frizionale è una facile conseguenza di questa rappresentazione classica del mercato del lavoro, in quanto è costituita dalla disoccupazione volontaria.

Fermo restando i fattori tecnologici nel lavoro, tutte le variazioni del livello di occupazione (e quindi di disoccupazione) sono guidati dalla scelta di cambiare lavoro. Ci sono stati molti articoli scritti da economisti mainstream chiave (come Milton Friedman), che sostengono che i cicli economici sono guidati dalla scelta di cambiare lavoro.

Il concetto essenziale di queste teorie sul cambio di lavoro è che sono sono costruite come anticicliche – cioè, aumenta l’occupazione quando l’economia è in declino e viceversa, nonostante tutte le evidenze dimostrino il contrario.

Devono sostenere questa tesi perché i cambiamenti nel mondo del lavoro devono venire dal lato dell’offerta.

Questa è la teoria per cui le oscillazioni del ciclo economico sono caratterizzate dalle oscillazioni della disoccupazione volontaria. Quindi, una flessione dell’occupazione (o un aumento della disoccupazione) si verifica – presumibilmente – perché i lavoratori hanno una maggiore preferenza per più tempo libero e meno lavoro e l’offerta di lavoro ad ogni livello reale dei salari si riduce (cioè, i lavoratori sono ora meno disponibili a fornire le stesse ore di lavoro rispetto a prima a parità di salario reale).

Così i lavoratori preferiscono abbandonare il lavoro per andare in spiaggia e rilassarsi.

I sussidi di disoccupazione – così ci raccontano – aumentano l’attrattiva per il tempo libero, perché permettono di andare in spiaggia a sdraiarsi, sorseggiare dello champagne ed essere pagati per farlo (tutto grazie alla gentile concessione del sussidio di disoccupazione). Del resto chi non opterebbe per questa condizione?

Ma la maggior parte di queste persone non ha fatto questa scelta perchè in verità è una realtà scomoda. Anche l’analisi sociologica è sbagliata – visto che innumerevoli studi ci dicono come i disoccupati subiscono in realtà alienazione, isolamento sociale e un crollo dell’ autostima.

La ripresa dell’attività economica – così ci raccontano – è invece caratterizzata da lavoratori in cui cresce una nuova sete di lavoro e quindi sono disposti a fornire più ore di lavoro rispetto a prima allo stesso livello dei salari reali. Evidentemente, si ammalano di relax e di poter disporre di automobili tipo BMW, grandi orologi, e vacanze sulla neve con tutte quello che ne consegue.

E a livello empirico questa teoria ci dice che con il venir meno dell’occupazione questo ammalarsi di relax nuovamente sparisce.

Il modo più semplice quindi,per dare sostegno a questa teoria basata sull’offerta, è dire che se il tasso di abbandono del lavoro del lavoro è anticiclico. Cioè aumenta quando l’occupazione cresce e diminuisce quando il lavoro manca. Abbastanza semplice.

Lester Thurow nel suo meraviglioso libro dal 1983 – Dangerous Currents – affermava l’opposto e ha contestato la visione tradizionale chiedendosi:

… Perché l’abbandono dal lavoro cresce nel boom economico e crolla in recessione? Se le recessioni sono dovuti ad errori informativi, l’abbandono del lavoro dovrebbe aumentare in recessione e diminuire nel boom, proprio il contrario di quanto accade nel mondo reale.

Il riferimento a “errori informativi” è un’altra versione del mainstream: il lavoro visto dalla parte dell’offerta. La loro teoria sostiene ancora che la banca centrale / ministero del Tesoro possono temporaneamente determinare una riduzione della disoccupazione (portandola al di sotto di quello che i neo-liberali definiscono come il tasso naturale di disoccupazione – altro mito), gonfiando l’economia con la spesa.

Questo sostegno all’economia da parte dello stato fa crescere sia i salari sia i prezzi (tipica storia su troppi soldi a caccia di troppo pochi beni). Ma il trucco è che affermano che il tasso di aumento dei salari monetari è inferiore all’aumento dei prezzi, e così crolla il salario reale.

Le imprese reagiscono al salario reale in calo offrendo più posti di lavoro – perché sanno che la produttività marginale del lavoro è più bassa (un altro mito).

Ma perché i lavoratori si impegnano offrire più lavoro quando il salario reale è in calo? Del resto il modello matematico del mercato del lavoro ci dice che la curva di offerta di lavoro è inclinata all’aumentare del salario reale perché i lavoratori forniscono più lavoro se il prezzo relativo del tempo libero (che è il salario reale) aumenta.

Un altro trucco di questa teoria è che l’offerta di lavoro aumenti perché i lavoratori pensano che il salario reale è aumentato, ingannati dalla crescita dei salari monetari, convinti di avere stipendi migliori rispetto a prima e quindi riducono le uscite dal lavoro generando un aumento dell’occupazione.

Quindi, per un certo periodo (breve periodo), l’economia può funzionare a livelli di disoccupazione più bassa rispetto al tasso naturale.

Ma questo per quanto può funzionare? Quanto tempo ci vuole perché i lavoratori entrino nei negozi e si rendano conto che tutto è più costoso e quindi le condizioni sono peggio di prima (perché il salario reale è diminuito)?

La conseguenza è che una volta che scoprono la verità, la curva di offerta di lavoro si sposta e i lavoratori abbandonano il loro lavoro in massa (il tasso di abbandono del lavoro ricresce nuovamente) e l’occupazione e l’attività economica ricade al livello ” naturale”.

 

Originale pubblicato il 30 dicembre 2013

Traduzione a cura di Stefano Sanna

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