Il Commento

Povertà e lavoro: rompere il paradigma dominante

In Italia l’11,8% degli occupati è povero” questa la conclusione a cui il Ministro del Lavoro Orlando è giunto di recente.  “un lavoratore su 10 è in una situazione di povertà nonostante lavori” e anche ” se il lavoro povero cresce la tenuta sociale è a rischio, vanno date risposte urgenti“… “sul lavoro povero non si può stare senza fare niente“.

Il problema è che non sempre le persone che hanno compreso la gravità del problema sono anche consapevoli di aderire pienamente al paradigma che genera il fenomeno del lavoratore povero.

Molti di loro restano convinti che lo stipendio dei lavoratori sia il risultato di un equilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro, un equilibrio che lo Stato non deve turbare. Questo è il risultato. Come ci ricorda l’economista Alain Parguez“Non esiste un mercato del lavoro. Se i lavoratori rifiutano la retribuzione loro offerta, semplicemente, muoiono di fame”.

In assenza di un monopolista che fissa il quantitativo di valuta offerto in cambio di un’ora di lavoro generico, nella direzione di costruire un “pavimento effettivo” al di sotto del quale i lavoratori non sono disposti a lavorare, la competizione al ribasso progredisce drammaticamente.

Inoltre, queste sono le conseguenze di decenni in cui nei DEF (Documento di Economia e Finanza) la disoccupazione veniva fissata e quindi programmata al 10%, (questo è il tasso di disoccupazione che da decenni compare nel nostro DEF) in piena coerenza con un approccio-NAIRU che utilizza la disoccupazione come riserva per ancorare il livello dei prezzi.

Lo Stato ha sia strumenti diretti (Piano di lavoro transitorio) sia indiretti (politiche fiscali) per intervenire nel mercato del lavoro ribilanciando i rapporti di forza mercato-lavoratori che non esistono di per sé in “natura” come spiegato nel Paper di Pavlina Tcherneva: Piena Occupazione Attraverso l’impresa sociale, e dettagliato nel suo libro “The case for A JOB GUARANTEE”.

È vero che rispetto a dieci anni fa c’è una sensibilità diversa. In quegli anni si sarebbe parlato di giovani troppo choosy e di rimettere mano al diritto del lavoro in senso peggiorativo. C’è oggi una maggiore consapevolezza che lo Stato può e deve avere un ruolo guida nello sviluppo di un paese, come la pandemia ha dimostrato. La buona notizia è che la maggiore sensibilità può trasformarsi in agenda politica, perché gli strumenti per risolvere la povertà ci sono. Esiste un impianto teorico che sa mettere nella corretta relazione tra loro le variabili macroeconomiche (deficit, redditi, inflazione, occupazione) Essere sensibili al tema della povertà non basta più, serve la conoscenza completa della MMT in tutte le potenzialità che può esprimere.


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