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PIIGS, la recensione di un docente universitario: “unisce la teoria economica con la vita quotidiana”

Alcuni mesi fa abbiamo conosciuto il prof. Marcello Spanò, professore e ricercatore dell’Università degli Studi dell’Insubria, venuto a conoscenza di Rete MMT da alcuni economisti MMT statunitensi.

Gli abbiamo chiesto di unirsi a noi per assistere alla prima proiezione di PIIGS a Milano, lo scorso sabato, e siamo lieti di raccogliere le sue impressioni sul film.

Apprezziamo il suo approccio, che accanto all’elaborazione teorica che contraddistingue la sua professione, sa valutare positivamente quel legame tra piano storico-sociale e teorica economica che il film ha l’ambizione di portare all’attenzione di tutti.

Questo il suo commento sul film.


PIIGS è un documentario che si interroga sull’austerità, sull’euro e sulle cause del protrarsi della lunghissima crisi economica ancora in corso. Come è inevitabile che sia, si colloca quindi al centro di una controversia sociale, economica, politica e accademica ancora aperta. Il progetto è ambizioso, perché si propone di mettere in connessione il materiale della teoria economica, spesso considerata troppo astratta e alla portata dei soli esperti, con i vasti problemi degli individui che si barcamenano in mezzo alle difficoltà pratiche della vita quotidiana: un collegamento che non sempre gli economisti accademici sono in grado di fare.

Il film presenta numerose interviste a diversi esperti di cultura critica, fra economisti, intellettuali, giornalisti e politici, e le collega, a beneficio degli amanti della concretezza, con una storia vera, quella di una cooperativa che si occupa di assistenza ai disabili e che, in conseguenza delle politiche di austerità promosse dal governo Monti, si ritrova a lottare per la propria sopravvivenza. La responsabile di questa cooperativa, anziché occuparsi della gestione, come vorrebbe il suo ruolo, si vede obbligata ad andare alla ricerca di fondi in sostituzione di quelli che il governo non è più disposto ad erogare, fino al punto da chiedere ai membri di versare soldi propri (in termini tecnici, si chiama “ricapitalizzazione”) per potere ottenere credito dalle banche.

Come ormai molti riconoscono, anche fra gli economisti più conservatori, l’austerità non è servita se non ad aggravare la crisi. Ma tale riconoscimento non sempre spinge gli economisti a rifiutare le basi teoriche sui cui la teoria dell’austerità è fondata e ad aprirsi a nuove teorie che poggiano su fondamenta diverse e alternative. Il risultato è che gli economisti con senso pratico si ritrovano, spesso inconsapevolmente, orfani della teoria; gli economisti amanti del rigore teorico sono privi di contatto con la realtà. Non deve stupirci che anche le persone normali, cioè i non economisti, manchino talvolta di una visione chiara sulle cause del peggioramento delle condizioni materiali della loro esistenza. In mezzo al vespaio rumoroso di cause che vengono invocate nel discorso pubblico (la scarsa competitività delle imprese, il mercato del lavoro poco flessibile, i salari troppo alti, l’evasione fiscale, la corruzione della classe politica, il commercio internazionale, la concorrenza della Cina, l’immigrazione, il sistema istituzionale lento e costoso, il debito pubblico), il documentario sceglie espressamente di dare voce alla posizione più radicalmente critica e battagliera sull’austerità, che in ambito politico e accademico è ancora marginalizzata, pur essendo in crescita di consensi, e che ha il pregio di guardare l’elefante per intero, anziché concentrarsi sul funzionamento dei suoi singoli arti.

Warren Mosler, uno dei fondatori della Modern Money Theory (MMT), intervistato nel film, illustra questo punto di vista con l’esempio degli ossi per i cani. Se ci sono 100 cani e meno di 100 ossi chiusi in una stanza, alcuni cani resteranno senza osso. Gli economisti che adottano un approccio tradizionale colpevolizzeranno i cani rimasti senza osso, e giudicheranno che le cause della loro difficoltà risiedono nella loro inadeguatezza e impreparazione. È così che, fuor di metafora, si racconta spesso ai disoccupati che per trovare lavoro devono rinforzare la loro formazione, o tagliare i salari o intensificare i tempi di lavoro, o magari lavorare gratuitamente per farsi conoscere, o inseguire titoli di studio sempre più elevati per ambire a svolgere mansioni che tempo addietro venivano svolte da un semplice diplomato. Ma il problema vero, a ben guardare, è che mancano gli ossi, e anche se trasformassimo i cani in perfette macchine da guerra, qualcuno ne resterà privo.

C’è una buona notizia, però, che il film mette in evidenza. Questi ossi in quantità scarsa non sono entità fisiche date, ma unità monetarie che possono essere generate dal nulla e messe in circolazione nella quantità desiderata, cioè nella quantità necessaria a garantire la piena occupazione. L’osso, cioè il reddito monetario a disposizione del settore non governativo, è generato attraverso la spesa pubblica. Una politica di austerità, che limita la spesa pubblica e obbliga i governi a trovare la “copertura fiscale” ad ogni atto di spesa, è al contrario una politica che prosciuga i redditi e i risparmi a disposizione del settore non governativo (cioè il settore privato), generando quella scarsità artificiale e non necessaria a cui le nostre società sono sottoposte da tempo. Il documentario ricostruisce, a questo proposito, la storia del limite del 3% al deficit dei governi della Zona Euro, istituzionalizzato prima nel trattato di Maastricht e poi nel patto di stabilità e crescita, e ricorda ciò che gli stessi fondatori dell’euro sanno bene, ma che spesso gli economisti si sono adoperati di nascondere: questo limite alla spesa in deficit non ha alcun fondamento scientifico. La spesa pubblica, in uno Stato dotato di sovranità monetaria, non ha bisogno di alcuna prioritaria raccolta di risorse, né in termini di tassazione, né in termini di capitale finanziario privato, e la spesa in deficit del governo non sottrae alcuna risorsa a disposizione delle generazioni future. Il settore pubblico crea ex novo le risorse finanziarie nell’atto stesso di dare luogo a una spesa, e questa immissione di risorse finanziarie nette, a sua volta, dà luogo a un reddito aggiuntivo per il settore non governativo. È così maledettamente semplice che soltanto in pochi lo sanno. Il problema è proprio questo, sottolineato da Erri De Luca, tra gli intervistati del film: siamo ancora troppo pochi.

Attenzione, però. Questo meccanismo funziona se lo Stato è dotato di sovranità monetaria, e qui si arriva al tema dell’euro, un tabù che il documentario decide di contribuire a rompere. Nella Zona Euro, la moneta ufficiale non è generata dai governi dei Paesi membri democraticamente eletti, ma da un’istituzione sovranazionale, la BCE, su cui i singoli governi non hanno autorità. Il film racconta anche la storia di questa progressiva cessione di sovranità attraverso diversi trattati (da Maastricht alla proposta costituzionale di Lisbona, sottoposta a referendum in diversi Paesi e bocciata, a nuovi trattati sostitutivi, fino al recente fiscal compact). Questo assetto istituzionale fa sì che ogni governo risulti indebitato in una valuta che non è in grado di controllare, una pseudo valuta estera, con la grave conseguenza, prevedibile e prevista, che esiste un rischio di default per ogni governo membro, il quale viene ridotto al ruolo di una semplice autorità locale, che deve rispondere con l’obbligo dell’austerità ad autorità sovranazionali non elette.

A questo punto la carne al fuoco è tanta, il fuoco delle polemiche, che già da tempo sta divampando, non può che essere ulteriormente alimentato da un documentario che non si fa problemi a dichiararsi di parte, per quanto si preoccupi più di porre le domande giuste che di trovare le risposte. Per chi sente l’urgenza di una riflessione e di un approfondimento, un modo per farsi un’idea, o almeno per ascoltare un punto di vista che spesso viene oscurato, se non proprio considerato l’incarnazione del demonio, è di vedere PIIGS. Il destino del film, e anche del tema che affronta, è nelle mani del pubblico, che per il momento, fortunatamente, sta riempiendo le sale.


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