Come accennato in precedenza, i critici hanno sostenuto che il Piano potrebbe assumere proporzioni così ampie da diventare ingestibile. Lo Stato centrale incontrerebbe difficoltà nel tener traccia di tutti gli iscritti assicurando loro di essere impiegati in progetti utili. O, peggio, potrebbe insorgere un problema di corruzione, coloro che gestiscono i progetti potrebbero sottrarre fondi [allo stesso]. Vedremo brevemente alcuni metodi che possono essere usati per favorirne la gestione.
Primo, non è necessario che il Piano sia formulato e gestito dal Governo nazionale. Può essere fortemente decentralizzato – alle amministrazioni locali, alle organizzazioni non-profit locali che si occupano di erogare servizi alla comunità, ai parchi e alle agenzie ricreative, ai distretti scolastici e alle cooperative di lavoro. Le comunità locali potrebbero proporre progetti, che sarebbero [poi] gestiti dalle agenzie o dalle amministrazioni locali. Il coinvolgimento dello Stato nazionale potrebbe essere limitato al finanziamento e, forse, all’approvazione dei progetti. È così che è gestito il Piano argentino, ed in qualche misura anche il nuovo programma indiano.
Per essere chiari, il livello di decentramento sarà diverso nei diversi Paesi e persino nelle regioni al loro interno. In alcuni Paesi in via di sviluppo potrebbe non esserci alcuna alternativa al Governo centrale – potrebbero essere poche le organizzazioni non-profit indigene, e le amministrazioni locali potrebbero essere inefficaci (per una molteplicità di ragioni). In alcuni Paesi sviluppati, il Governo centrale potrebbe avere competenze e godere di rispetto a sufficienza da gestire l’intero Piano. Tuttavia, in un luogo come gli Stati Uniti, la sfiducia verso il Governo centrale è troppo elevata – ma, per fortuna, gli USA hanno centinaia di migliaia di alternative locali nella forma di organizzazioni di pubblico servizio ed amministrazioni locali.
Al fine di ridurre la probabilità che i fondi siano sottratti, l’amministrazione nazionale potrebbe pagare i salari ai partecipanti del Piano direttamente. Il che si può facilitare usando qualcosa di analogo ad un numero di previdenza sociale – e pagando direttamente con accredito su conto bancario, analogamente al modo in cui i programmi di previdenza sociale pagano le pensioni. Se coloro che gestiscono i progetti non mettono mai mano ai fondi pubblici, sarà difficile farli sparire. Ci saranno sicuramente casi di truffa, come il pagamento della previdenza sociale a qualcuno che non sta lavorando o a qualche defunto. Un modo di combattere la corruzione è la trasparenza – la registrazione pubblica di tutti i partecipanti e di tutti i pagamenti, ad esempio facendo uso di internet, con premi per chi denuncia illeciti. L’Argentina ha usato internet in questo modo.
La partecipazione ed il reddito percepito sollevano questioni di privacy, ma probabilmente l’interesse pubblico ha un peso superiore. Persino negli USA è comune rendere noti stipendi e salari degli impiegati pubblici. Inoltre, poiché la nostra formulazione del PLG comprende salari e benefit uniformi, non esistono distinzioni – tutti i lavoratori a tempo pieno ricevono la stessa cifra – quindi c’è meno imbarazzo potenziale. Inoltre, a differenza dei sussidi del welfare, il Piano non è basato sulle condizioni di reddito. Come accennato in un blog precedente, nella misura in cui la partecipazione al PLG diventa una sorta di “rito di passaggio” per i giovani (per persone di ogni età, a dire il vero), non contaminerà necessariamente i lavoratori.
Per coprire i costi di gestione e quelli dei materiali, il Governo nazionale potrebbe offrire ai progetti qualche finanziamento diverso da quello che copre il costo dei salari. Nei programmi di creazione diretta di posti di lavoro, è comune [che finanzi] un ammontare pari al 25% del salario. Più consistente è il pagamento, più forte è l’incentivo contrario per coloro che gestiscono i progetti – che potrebbero crearne [di nuovi] semplicemente per ottenere fondi. Per questo motivo sarebbe il caso di contenere i fondi che non finanziano il costo dei salari, e lo Stato nazionale dovrebbe richiedere l’adozione del meccanismo “matching funds” per la copertura delle spese non-salariali. E, di nuovo, tutti i pagamenti di questo genere dovrebbero essere trasparenti e pubblicamente disponibili – pubblicati su internet.
Anche se è allettante includere in un programma di questo genere datori di lavoro del settore privato profit, gli incentivi contrari [all’ingresso di questi ultimi] sono perfino più consistenti. Un datore di lavoro privato potrebbe sostituire i [suoi] dipendenti con lavoratori PLG/DLUI per ridurre il conto salari. Le cooperative di lavoro potrebbero funzionare meglio. Un gruppo di lavoratori potrebbe proporre un progetto pensato per produrre qualcosa da vendere sui mercati. Il PLG/DLUI potrebbe pagare una parte dei loro salari per un periodo di tempo specificato (un anno, ad esempio), al termine del quale la cooperativa dovrebbe essere in grado di sostenersi autonomamente. Se non ne fosse in grado, i lavoratori dovrebbero spostarsi in progetti PLG/DLUI regolari (di nuovo, l’Argentina offre un utile esempio di cooperative di successo incluse come parte del piano Jefes).
Ovviamente sono molte di più le questioni di gestione che devono essere esplorate. Nel mondo reale, sono molti gli esempi di programmi di creazione diretta di posti di lavoro finanziati dallo Stato. Possiamo imparare dagli errori compiuti. I programmi devono essere adattati alle condizioni specifiche di ogni Paese. Saranno molti gli esperimenti, i tentativi e gli errori. Uno dei vantaggi del decentramento è che l’intero Piano non è contaminato dal fallimento di alcuni esperimenti.
Guardatela in questo modo. Sappiamo che la maggior parte delle imprese profit di nuova costituzione non ce la fa. Le aziende falliscono ogni giorno. Eppure, il “sistema di mercato” non è appannato da questi esperimenti che non hanno avuto successo. In effetti, si dice che questa sia la bellezza del “sistema competitivo” – i perdenti sono puniti. Dovremmo tenere il nostro Governo su uno standard superiore, e farlo [effettivamente]. Dal Governo non accetteremo mai un tasso di fallimento del 50% o del 75%, anche se accettiamo – e perfino accogliamo – risultati così scarsi nel settore privato. Trascuriamo prontamente tutti i costi sociali generati dal fallimento delle imprese (compresi quelli imposti ai lavoratori, che perdono la propria occupazione a causa degli errori del management) credendo che i relativamente pochi successi compensino.
Dovremmo adottare lo stesso atteggiamento anche a riguardo dei progetti PLG – anche se con l’aspettativa di tassi di fallimento molto più ridotti. Sappiamo che gli oppositori ideologici approfitteranno di ogni singolo errore, quindi per contrastarli è necessario che i successi siano molti, molti di più.
In ogni caso, alcuni progetti PLG non avranno successo – in termini di offerta di posti di lavoro utili che generano produzione socialmente utile. Per alcuni di essi, il tasso di transizione dei lavoratori [verso un’occupazione nel settore privato] sarà contenuto. Coloro che gestiscono i progetti devono essere tenuti a risponderne. Proprio come i progetti devono essere approvati prima di ottenere il finanziamento pubblico dei lavoratori PLG, essi devono mostrare risultati per continuare a partecipare al PLG. L’elettorato (i lavoratori e le comunità servite) deve prendere parte al processo di valutazione. I lavoratori PLG devono avere la libertà di abbandonare l’occupazione in progetti mal gestiti per cercarne una più soddisfacente in altri progetti PLG.
In società come quella statunitense c’è il pregiudizio che la “prova del mercato” sia il modo migliore di distinguere le imprese di successo dalle altre. Eppure, come tutti gli economisti sanno, il mercato non funziona bene in molti ambiti importanti: il caso dei beni pubblici e gli altri casi in cui benefici e costi sociali non sono riflessi nei prezzi di mercato. Persino nelle circostanze più favorevoli, l'”efficienza del mercato” non è equiparata all'”efficienza sociale”.
In ogni economia esistono ampie aree in cui i costi sociali possono essere ridotti ed i benefici sociali migliorati dall’offerta “extra-mercato” – tramite un’azione decisa ed organizzata. In parte essa rientra nel ruolo proprio dello Stato, che potrebbe finanziarne una parte, mentre un’altra potrebbe essere finanziata senza il suo intervento. Ma non c’è giustificazione per credere che il mercato possa “fare tutto” e che la prova del mercato sia l’unico valore di prova.
Avrò qualcosa da aggiungere in merito entro poche settimane. A dire il vero, ogni impresa di successo ha richiesto aiuto. Non esiste nessuno (uomo o donna) che si sia “fatto da solo”. Ed ogni impresa fallita, in qualche misura, ha sprecato l’aiuto offerto dallo Stato e dalla società più in generale.
Quindi sì, nella realtà si incontreranno problemi in qualunque PLG; alcuni di questi è possibile prevederli, altri ci sorprenderanno. Ci saranno fallimenti. Ci sarà qualche spreco. Il progetto del Piano dovrà essere modificato. Si procederà per tentativi ed errori.
Ma ciò che va sempre tenuto a mente è che l’alternativa, la disoccupazione, costituisce verosimilmente uno spreco sociale molto superiore.
Originale pubblicato il 15 aprile 2012
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo