La Teoria

L’Export secondo la Modern Money Theory

Auto su una bilancia

La ricchezza reale di un Paese, cioè i beni e i servizi che consuma, è la sua unica vera ricchezza. Se vi fossero solo soldi, ma nessun bene da consumare, allora non si potrebbe certo dire di essere ricchi, poiché si morirebbe di fame. E questo è vero proprio perché il consumo, e non l’accumulazione, è il fine dell’economia. Se quindi consideriamo i beni reali che un Paese consuma come la sua ricchezza, abbiamo che questa è composta da:

  • Tutti i beni e servizi che il Paese è in grado di produrre internamente e poi consumare;
  • PIÙ tutti i beni e servizi importati e consumati;
  • MENO tutti i beni e servizi esportati (quindi non consumati internamente).

Le esportazioni sono quindi privazione di beni e servizi, un costo in termini reali. Esportare significa impiegare lavoro e tempo per produrre internamente un bene per poi non usufruirne, non godere del beneficio derivante dal consumo di quel bene, poiché lo si esporta. Altri ne beneficeranno, all’estero.

Le importazioni, al contrario, sono un beneficio in termini reali, poiché altri, all’estero, hanno impiegato lavoro e tempo per produrre un bene che ora si consuma nel Paese importatore, che deve solo preoccuparsi di usufruirne al meglio.

In quest’ottica, le esportazioni sono il costo da sostenere per poter poi beneficiare delle importazioni. Quindi, se volessimo ottimizzare i rapporti del nostro Paese con il settore estero, dovremmo cercare di ottenere le massime importazioni a parità di esportazioni.

In un Paese dotato di valuta a cambio fluttuante, questo significa che ogni apprezzamento della propria valuta deve essere salutato positivamente, poiché implica un vantaggio in termini reali. Facciamo un esempio numerico considerando Italia (euro) e Giappone (yen):

  • Ieri una Ferrari valeva 1000 euro, una Toyota valeva 1000 yen e il cambio euro/yen era 1:1, allora l’Italia, vendendo una Ferrari al Giappone, poteva ottenere 1000 euro, convertibili in 1000 yen, utili a comprare una Toyota. Possiamo dire che 1 Ferrari era il costo da sostenere per beneficiare di una Toyota.
  • Oggi l’euro si è apprezzato del 100% rispetto allo yen, quindi il cambio euro/yen è divenuto 2:1, cioè un euro equivale a due yen. A questo punto, vendendo una Ferrari al Giappone si possono ottenere 1000 euro, convertibili in 2000 yen, utili a comprare due Toyota. A parità di costi (una Ferrari) sono raddoppiati i benefici (due Toyota).

Ma se l’apprezzamento della valuta è un fatto positivo, allora il deprezzamento della stessa, o peggio, una svalutazione artificiale (una “svalutazione competitiva”), è un fatto negativo. Se si svalutasse la propria valuta della metà si dimezzerebbero i benefici reali a parità di costi (si ritornerebbe, nell’esempio precedente, a dover vendere una Ferrari per ottenere una sola Toyota).

Queste considerazioni dovrebbero condurre ad un’ovvia conclusione: tutte quelle politiche tendenti a massimizzare le esportazioni a priori sono politiche contrarie all’interesse pubblico. È insensato svalutare per riuscire ad esportare, è insensato abbattere i salari per riuscire ad esportare, è insensato fare austerità e deprimere la domanda interna per riuscire ad esportare. Tutte queste azioni vanno a danneggiare in termini reali (che sono quelli che contano) l’economia interna. In generale, è inutile pensare in termini di denaro. Vanno sempre considerati i costi e i benefici reali delle politiche economiche, poiché il denaro, in un Paese dotato di sovranità monetaria, non è una risorsa scarsa. All’occorrenza, il denaro può essere creato o distrutto, poiché non si tratta di altro che di un codice utile a mettere in moto processi produttivi e mantenere così la piena occupazione.

Lasciatemi concludere con un piccolo focus riguardo la situazione dell’eurozona e della Germania in particolare. Si è soliti pensare che la Germania abbia ottenuto e stia tutt’ora ottenendo grandi vantaggi dall’ingresso nell’eurozona, poiché la mancanza di apprezzamento della propria valuta nei confronti di quella dei Paesi periferici le garantisce la possibilità di continuare ad esportare grandi quantità di merci, ottenendo grandi profitti. Questo avrebbe consentito alla Germania di rispondere meglio alla crisi, mantenendo un livello di disoccupazione più basso di altri Paesi.

Tutto questo discorso può avere senso solo se si ignora tutto quello che abbiamo detto in precedenza. Di fatto, avendo la Germania adottato la stessa valuta dei Paesi periferici, essa si è condannata ad una perenne “svalutazione artificiale” nei loro confronti. Se la Germania avesse mantenuto il marco a cambio fluttuante, oggi si troverebbe a gestire una valuta molto più forte dell’euro, e potrebbe godere di maggiori benefici reali, cioè maggiori importazioni, con meno costi reali, cioè esportazioni. Chi in Germania sta guadagnando da tutto ciò sono i soci delle grandi aziende esportatrici, ma tutti gli altri tedeschi non dovrebbero essere contenti della loro situazione, poiché potrebbe essere molto migliore di come non sia.

In generale, la situazione dell’eurozona è paradossale: viene imposta l’austerità per smorzare la domanda interna e cercare la ripresa con le esportazioni. Che è esattamente come tirarsi martellate sull’alluce per non sentire più il dolore della prima martellata.

 

Articolo già pubblicato sulla rivista Caffè Graziani


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4 Commenti

  • C’è un aspetto trascurato in questo articolo, non facile da cogliere per il cittadino medio, ma critico per la stessa MMT.

    Se la nostra economia sta bene, avremo un certo surplus e questa abbondanza potremo “barattarla” con qualcosa di utile dall’estero (le importazioni). Ciò viene detto, ma l’iniziale marcamento sulla “richezza reale” è piú fuorviante che utile, o quanto meno marginale, rispetto al fatto che **per importare bisogna esportare**.

    Se un Paese adottasse la MMT concedendo salari piú alti, diritti ai lavoratori (quelli che ci stiamo perdendo per strada), garantendo un posto di lavoro statale a chi non riesce ad entrare nel mercato, ecc. Proprio questo agio finanziario ci renderebbe meno competitivi in relazione ai prodotti e ai prezzi del mercato globale, che è poco etico, molto competitivo e ha una tendenza a ribassare la qualità a beneficio del prezzo (pur non mancando prodotti di qualità).

    Se trattassimo bene i lavoratori, come vorrebbe la MMT, le esportazioni “perderebbero terreno”, perché avremmo prezzi piú alti (non parlo di inflazione, non si innescherebbe questa dinamica progressiva, però prezzi piú alti rispetto ai Paesi che non adottano la MMT, certamente accadrebbe).

    Dunque, riuscendo a esportare molto meno, avremmo molta piú difficoltà anche ad importare e dipendiamo molto dalle importazioni. Se non siamo fortemente autonomi, come energia e risorse, non possiamo fare “di testa nostra”, e dobbiamo assecondare le dinamiche di un mercato ottusamente competitivo. In alternativa, piú o meno tutto il mondo, dovrebbe adottare la MMT.

    Come formula di ripiego, potremmo puntare molto sul turismo e la qualità “made in Italy”, ma sono perplesso che il valore esportato possa compensare le importazioni di elettronica, sostanze chimiche, petrolio, gas. Ci sarebbe bisogno di qualche calcolo, di qualche stima, ma ho la sensazione che ci siano troppi fattori in gioco per farne di attendibili, e io non me ne intendo abbastanza.

    • Caro Silvan,
      buona osservazione. C’è sicuramente molta più incertezza che certezza per quanto riguarda le dinamiche di mercato (continentali e globali), e l’applicazione di misure a sostegno della piena occupazione avrebbero sicuramente effetti visibili anche sul piano del commercio internazionale. Tuttavia una delle condizioni essenziali per poter mantenere nel tempo una politica fiscale di sostegno alla piena occupazione è quella di avere un tasso di cambio fluttuante verso le altre valute. E avere un cambio fluttuante significa essere in grado di assorbire senza catastrofi le oscillazioni del mercato globale.
      Qualsiasi variazione nel livello dei prezzi italiano TEORICAMENTE indurrebbe una variazione inversa nel tasso di cambio. Vale a dire: se i prezzi si aggiustano una tantum verso l’alto in seguito a un aumento dei salari, il settore privato nazionale tenderà ad importare di più ed esportare di meno. Questo provoca un deprezzamento della valuta fino al punto in cui importazioni ed esportazioni tornerebbero ad equivalersi in valore nominale.
      Da questo aggiustamento in poi, supponendo che i prezzi non continuino a salire
      (utilizzando il lavoro di transizione come stabilizzatore dei prezzi: https://www.retemmt.it/tag/stabilita-dei-prezzi/)
      e supponendo che lo Stato continui a mantenere la piena occupazione, ogni aumento nella produttività nazionale si rifletterebbe su un aumento del tasso di cambio, mentre ogni diminuzione della produttività si rifletterebbe su una diminuzione del cambio.

      Daniele Busi

      • Ci sono non poche indicazioni che appoggerei della MMT. Purtroppo, non potendo fare calcoli e previsioni abbastanza precisi su quanto si alzerebbero i prezzi, quanto si svaluterebbe una nuova lira, e in che modo import ed export tornerebbero in equilibrio, lascia perplesso me e penso anche altri.

        Sarei piú fiducioso se tutta l’Europa facesse insieme questo passo, però mi rendo conto che la profonda differenza delle economie e delle condizioni dei Paesi europei, lascia all’euro un compito di “unione forzata” piuttosto assurdo. In realtà, nemmeno tra Nord e Sud Italia c’è omogeneità di costo della vita, stipendi medi, occupazione, prezzi. Già la lira era un’unione monetaria difficile, figuriamoci l’euro.

        Forse una posizione a metà strada tra l’agio finanziario che concederebbe la MMT e la situazione attuale, sarebbe piú prudente per vedere come reagisce l’equilibrio import-export. I passi verso la MMT, sono passi da fare con coraggio, il ché implica possibilità di grossi problemi in cui mantenere “sangue freddo” e agire con prudenza e competenze. Il rischio che l’equilibrio import-export si assesti su una quantità (in termini reali) di import insufficiente a coprire le esigenze del Paese, significa che dovremo cavarcela diversamente rispetto a certe risorse.

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