La Teoria

MMP Blog #22: Riserve, vendita di Titoli di Stato e risparmio

MMP Blog #22: Riserve, vendita di Titoli di Stato e risparmio

La settimana scorsa abbiamo mostrato che il deficit pubblico crea un equivalente ammontare di risparmio privato. Il risparmio privato creato sarà detenuto sotto forma di crediti nei confronti dello Stato. Normalmente, il settore privato preferisce detenere gran parte di quei risparmi sotto forma di ITD pubblici che fruttano un interesse, piuttosto che di ITD non fruttiferi come il contante. Questa settimana osserveremo tutto questo in maggior dettaglio.

La vendita di Titoli offre un’alternativa fruttifera alle riserve. Possiamo dire che i Titoli del Tesoro a breve termine sono un’alternativa fruttifera alle riserve bancarie (come discusso in precedenza, le riserve presso la Banca Centrale spesso non fruttano alcun interesse; se sono fruttifere, allora i Titoli di Stato sono dei sostituti a più alto rendimento. Quando sono venduti, che lo faccia la Banca Centrale (attraverso operazioni di mercato aperto) o il Tesoro (nel mercato primario), l’effetto è lo stesso: le riserve sono scambiate con i Titoli di Stato. Ciò avviene per consentire alla Banca Centrale di raggiungere il tasso d’interesse overnight target e pertanto, che sia la Banca Centrale o il Tesoro a vendere Titoli, la si dovrebbe considerare [comunque] un’operazione di politica monetaria.

La quantità di riserve detenute non è una variabile discrezionale dal punto di vista dello Stato (in letteratura, questa viene detta posizione “accomodazionista” o “orizzontalista”). Se il settore bancario ha riserve in eccesso, il tasso di prestito interbancario overnight diminuisce al di sotto del livello target (fintanto che esso è superiore a qualunque tasso di sostegno pagato sulle riserve), [a quel punto] inizia la vendita di Titoli; se il sistema bancario è a corto [di riserve], il tasso di mercato aumenta al di sopra del livello target, il che causa l’acquisto di Titoli. L’unica cosa che aggiungiamo in questa sede è il riconoscimento del fatto che su questo punto non si dovrebbe fare alcuna distinzione tra la Banca Centrale e il Tesoro: l’effetto della vendita/dell’acquisto di Titoli non varia.

Vi è tuttavia un risultato sorprendente. Siccome il deficit di bilancio pubblico comporta un accredito netto di depositi bancari e di riserve bancarie, probabilmente esso genererà una posizione di eccesso di riserve per le banche. Se non viene fatto nulla, le banche faranno diminuire il tasso overnight. In altri termini, l’impatto iniziale di un deficit di bilancio è quello di ridurre (e non aumentare) i tassi d’interesse. La Banca Centrale e il Tesoro quindi vendono Titoli per offrire un’alternativa fruttifera alle riserve in eccesso. Questo per impedire che il tasso d’interesse scenda al di sotto del target. Se la Banca Centrale paga un tasso di sostegno sulle riserve (cioè paga un interesse sui depositi di riserve detenute dalle banche), allora il deficit di bilancio incentiva le banche destinatarie delle riserve a far aumentare i prezzi dei Titoli di Stato (poiché tentano di sostituire le riserve con Titoli a più alto rendimento) — riducendone i tassi d’interesse. Ciò è esattamente l’opposto di quanto credono in molti: a parità di tutto il resto, il deficit di bilancio provoca una riduzione dei tassi d’interesse (non un aumento).

La Banca Centrale accomoda la domanda di riserve. Da questa prospettiva segue anche che la Banca Centrale non può “pompare liquidità” nel sistema, se con ciò si intende offrire riserve in eccesso rispetto ai desideri del sistema bancario. La Banca Centrale non può incoraggiare/scoraggiare il credito bancario offrendo/rifiutando di offrire riserve. Piuttosto, essa accomoda il sistema bancario, mettendo a sua disposizione la quantità di riserve desiderata. Solo il livello target del tasso d’interesse è [una variabile] discrezionale, non la quantità di riserve.

Se la Banca Centrale “pompa” riserve in eccesso nel sistema bancario e le lascia lì, il tasso d’interesse overnight tenderà a zero (o al livello del tasso di sostegno della Banca Centrale, se essa paga un interesse sulle riserve). Questo è quanto avvenuto in Giappone per oltre un decennio dopo la sua crisi finanziaria; e quanto avvenuto negli USA quando la Fed ha adottato il “quantitative easing” a seguito della crisi finanziaria iniziata nel 2007. Negli USA, fintanto che la Fed paga un basso tasso d’interesse positivo sulle riserve (ad esempio 25 punti base), quello di “mercato” (tasso sui fondi federali) rimarrà prossimo a tale tasso nel caso di eccesso di riserve.

Oggi le Banche Centrali operano con un tasso d’interesse target esplicito, nonostante molte di esse consentano al tasso overnight di variare all’interno di un intervallo — ed intervengono quando il tasso di mercato devia dal livello target più di quanto la Banca Centrale sia disposta a tollerare. In altri termini, le Banche Centrali moderne operano secondo una regola di prezzo (il tasso d’interesse target), non secondo una regola di quantità (di riserve o di altri aggregati monetari).

Durante la crisi finanziaria, la domanda bancaria di riserve in eccesso è cresciuta considerevolmente, e la Fed USA ha imparato a soddisfare quella domanda. Nonostante alcuni commentatori fossero perplessi dal fatto che l’immissione di liquidità da parte della Fed (creando massicce quantità di riserve in eccesso attraverso il quantitative easing) non abbia incoraggiato il credito bancario, è sempre stato vero che le decisioni di credito bancario non sono limitate dalla (e neppure collegate alla) quantità di riserve detenute.

Le banche concedono prestiti a debitori che sono meritevoli da un punto di vista creditizio, creando depositi ed entrando in possesso degli ITD dei debitori. Se quindi le banche necessitano di (o desiderano) riserve, per ottenerle esse si rivolgono al mercato interbancario overnight o alla finestra di sconto della Banca Centrale. Se il sistema in aggregato ne è a corto, una pressione al rialzo sul tasso d’interesse overnight segnala alla Banca Centrale la necessità di offrire riserve.

Deficit pubblico e risparmio globale. Molti analisti temono che finanziare deficit di bilancio dello Stato richieda un flusso continuo di risparmio a livello globale (nel caso degli USA in particolar modo del risparmio della Cina al fine di finanziare il loro persistente deficit pubblico); presumibilmente, se si dimostrasse insufficiente, sono convinti che lo Stato dovrebbe “stampare Moneta” per finanziare il deficit — il che si suppone provochi inflazione. O peggio, in qualche momento futuro, lo Stato capirà di non poter onorare tutto il debito che ha emesso e sarà così costretto a dichiarare bancarotta.

Per il momento separiamo la questione del risparmio estero da quello nazionale. La domanda è se il deficit di bilancio pubblico nazionale possa eccedere il risparmio privato in valuta nazionale (risparmio nazionale più risparmio del resto del mondo). Dalla nostra analisi precedente, vediamo che ciò non è possibile. Primo, un deficit pubblico è pari, per identità contabile, al surplus privato (o risparmio). Secondo, la spesa pubblica nella valuta nazionale porta ad un accredito di pari ammontare su un conto bancario. Le tasse quindi portano ad addebiti su conti bancari, e così il deficit pubblico è esattamente pari agli accrediti netti dei conti bancari. Come discusso, le preferenze di portafoglio determinano poi se lo Stato (la Banca Centrale o il Tesoro) venderà Titoli per drenare riserve. Questi accrediti netti (pari all’aumento di contante, riserve e Titoli) sono esattamente pari all’accumulo netto di asset finanziari denominati nella valuta nazionale e detenuti dal settore privato.

Concludendo: siccome il deficit pubblico crea un pari ammontare di risparmio privato, è impossibile che lo Stato affronti un’offerta di risparmio che sia insufficiente.

 

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Originale pubblicato il 31 ottobre 2011

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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