La Teoria

MMP Blog #21: Il deficit di bilancio pubblico e le “due fasi” del processo di risparmio

MMP Blog #21: Il deficit di bilancio pubblico e le “due fasi” del processo di risparmio

Nelle ultime due settimane abbiamo mostrato che i deficit del bilancio pubblico assumono la forma di accrediti netti sia delle riserve bancarie presso la Banca Centrale che dei conti di deposito di coloro che sono destinatari della spesa pubblica netta. Normalmente questo porta ad un eccesso di riserve, che sono drenate tramite l’offerta di Titoli di Stato venduti dalla Banca Centrale o dal Tesoro. Pertanto, i deficit di bilancio [pubblico] portano normalmente all’acquisizione netta di Titoli di Stato [da parte delle banche private, NdT]. Ma, anche se ciò non accade, il settore privato si ritrova [comunque] con un risparmio netto che assume la forma di crediti vantati nei confronti dello Stato.

Per metterla nel modo più semplice possibile: la spesa pubblica a deficit crea risparmio per il settore privato sotto forma di valuta nazionale (contanti, riserve, Titoli di Stato). Questo perché i deficit pubblici implicano necessariamente che lo Stato, tramite la sua spesa abbia accreditato un numero di conti superiore a quanti ne abbia addebitato attraverso la tassazione [che lo Stato abbia speso più di quanto abbia tassato, NdT].

Ricordando i commenti sul blog 20, è il caso di chiarire che stiamo parlando di risparmi netti nella valuta nazionale. Il settore privato nazionale può risparmiare anche in asset [denominati in] valuta estera. E alcuni agenti del settore privato possono risparmiare sotto forma di crediti nei confronti di altri agenti del settore privato nazionale — ma questo è un gioco a somma zero.

Risulta ora ovvio, dal discorso precedente, che il risparmio del settore privato in valuta nazionale non può esistere prima del deficit di bilancio, quindi non dovremmo supporre che uno Stato che spende a deficit debba prima ricorrere al settore privato per prenderne in prestito i risparmi. Piuttosto, dovremmo riconoscere che la spesa pubblica viene concettualmente prima — si compie accreditando i conti bancari. E, infine, riconosciamo che sia il deficit di bilancio che ne risulta sia il risparmio privato di asset finanziari netti (surplus di bilancio) sono in questo senso residuali, e sono uguali.

Come nota a margine (per ora): coloro che sostengono che il Governo statunitense deve prendere Dollari in prestito dai risparmiatori cinesi, non comprendono la contabilità più elementare. I Cinesi non emettono Dollari — sono gli USA a farlo. Ogni Dollaro che i Cinesi “prestano” agli Stati Uniti è stato emesso dagli Stati Uniti. In realtà, i Cinesi [prima] ricevono Dollari (accrediti di riserve presso la Fed) per via delle loro esportazioni negli USA (principalmente), poi modificano il proprio portafoglio acquistando asset che fruttano maggiori interessi (Titoli di Stato, essenzialmente). Il Governo USA non si indebita mai con i Cinesi per “finanziare” i suoi deficit di bilancio. In realtà, il deficit delle partite correnti degli USA crea crediti in Dollari per i Cinesi, e il deficit di bilancio statunitense assicura che questi siano sotto forma di “valuta” (definita in senso lato, in modo da comprendere contanti, riserve e Titoli di Stato).

Più in generale, come sosteneva J. M. Keynes, in realtà il risparmio è un processo che si realizza in due fasi: dato il reddito, quanta parte di esso verrà risparmiata; e dato quindi il risparmio, in che forma esso verrà detenuto. Pertanto, molti di coloro che sostengono la seconda obiezione — che le preferenze di portafoglio del settore privato possono deviare dai programmi di spesa pubblica — hanno in mente le preferenze di portafoglio (cioè, la seconda fase) del settore privato. Anche se l’ammontare finale del risparmio privato è in linea con i desideri di risparmio, come possiamo essere certi che il deficit di bilancio che genera l’accumulo di crediti nei confronti dello Stato sarà coerente con le preferenze di portafoglio del settore privato? La risposta è che i tassi d’interesse (e pertanto i prezzi degli asset) variano in modo da garantire che il settore privato sia felice di detenere il proprio risparmio nell’insieme di asset esistente. Qui, per favorire una comprensione, dobbiamo analizzare il ruolo giocato dal debito fruttifero dello Stato (sotto forma di “Titoli del Tesoro” o di buoni ordinari e Titoli).

Ai fini di questa discussione, possiamo assumere che chiunque abbia venduto beni e servizi allo Stato lo abbia fatto volontariamente; possiamo anche assumere che qualsiasi beneficiario di un “trasferimento” pubblico sia stato felice di ricevere il deposito. I beneficiari della spesa pubblica possono quindi tenere quanto ricevuto sotto forma di un deposito bancario, possono prelevare contanti, o possono spendere quanto depositato in beni, servizi o asset.

Nel primo caso, non si ha alcun altro effetto di portafoglio. Nel secondo caso, le riserve bancarie e le passività sotto forma di depositi sono ridotte della stessa quantità (il che può generare ulteriori azioni se le riserve aggregate del sistema bancario sono ridotte al di sotto del livello desiderato o di quello obbligatorio — ma sono sempre accomodate dalla Banca Centrale, nella misura in cui i tentativi delle banche di variare le riserve in loro possesso provocano un allontanamento del tasso d’interesse dal livello target). Nel terzo caso, i depositi si spostano ai venditori (di beni, servizi o asset). Solo i prelievi di contante o il rimborso di prestiti possono ridurre l’ammontare di depositi bancari — altrimenti, cambiano solo i nomi degli intestatari dei conti.

Ancora, questi processi possono influenzare i prezzi — di beni, servizi e, cosa più importante, degli asset. Se depositi e riserve creati dalla spesa pubblica a deficit sono maggiori rispetto a quanto desiderato a livello aggregato, allora il “giro di tasche” fa aumentare i prezzi di beni, servizi e asset, riducendo i tassi d’interesse. Le Banche Centrali moderne operano in modo da raggiungere un livello target del tasso d’interesse overnight.

Quando l’eccesso di riserve fa sì che le banche facciano diminuire il tasso overnight effettivo al di sotto del livello target, ciò innesca una vendita di Titoli pubblici sul mercato aperto, [vendita] che drena le riserve in eccesso (come discusso nella risposta ai commenti della settimana scorsa, il discorso cambia se il tasso d’interesse target è pari a zero; o se la Banca Centrale paga un tasso di sostegno, al di sotto del quale l’eccesso di riserve non può spingere i tassi di mercato).

La risposta alla seconda obiezione circa l’incoerenza delle preferenze di portafoglio è quindi piuttosto semplice: prezzi e tassi d’interesse degli asset variano per garantire che le preferenze di portafoglio del settore privato siano in linea con la quantità di riserve e depositi che derivano dalla spesa pubblica — e, se la Banca Centrale non desidera che i tassi d’interesse di breve termine si allontanino dal suo livello target, essa interviene sul mercato aperto.

La cosa più corretta è pensare al risparmio netto del settore privato come ad una conseguenza della spesa pubblica a deficit — che crea reddito e risparmio. Questo risparmio non può esistere prima dei deficit, visto che sono gli accrediti netti da parte dello Stato a creare il risparmio. Pertanto, in realtà, il risparmio non “finanzia” il deficit, piuttosto è il deficit a creare un risparmio di uguale ammontare.

Infine, la paura che lo Stato possa “stampare Moneta”, se l’offerta di risorse finanziarie si dimostra insufficiente, si rivela immotivata. Tutta la spesa pubblica genera accrediti su conti bancari privati — il che si potrebbe considerare come un aumento dell’offerta di Moneta (inizialmente, depositi e riserve aumentano di un ammontare pari alla spesa pubblica).

Tuttavia, le preferenze di portafoglio del settore privato determineranno quante delle riserve create verranno trasformate in Titoli, e l’aumento delle tasse pagate determinerà quante delle riserve e dei depositi creati verranno distrutti.

La settimana prossima ci addentreremo di più nelle vendite di Titoli da parte dello Stato e degli effetti dei deficit di bilancio sui tassi d’interesse.

 

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Originale pubblicato il 23 ottobre 2011

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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