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Le economie di Grecia, Italia e Spagna non recupereranno mai

Non limitarti a leggere il Primer MMT. Randall Wray è all'Università di Bergamo!

Randall Wray parla della politica monetaria con la convinzione e l’urgenza dell’eretico che sa di possedere un potente verità. L’economista è una delle figure di spicco all’interno del movimento della Teoria della Moneta Moderna, o Modern Money Theory, che si distacca dall’analisi ortodossa sulla creazione del denaro e propone politiche per la piena occupazione. Discepolo di Hyman Minsky, Wray (1953) riceve CTXT nel suo ufficio presso l’Istituto Levy, una roccaforte di economisti neokeynesiani nell’idilliaco campus del Bard College situato due ore a nord di Manhattan, nella valle del fiume Hudson. Wray elenca gli elementi chiave della teoria monetaria moderna, critica il reddito universale, l’unione monetaria europea e propone la sua visione alternativa: lo Stato deve garantire la piena occupazione di tutti i cittadini.

In cosa consiste, brevemente, la teoria monetaria moderna?

La Modern Money Theory (MMT) parte dal riconoscere che un governo sovrano non è in realtà come una famiglia o un’impresa. Spesso sentiamo i politici, e anche gli economisti, affermare che se qualcuno gestisse il denaro della propria famiglia come il governo gestisce il bilancio dello Stato, finirebbe in bancarotta. Naturalmente questo è vero, ma è l’analogia ad essere completamente falsa, perché implica che uno Stato, come una famiglia, può fallire se spende costantemente più di quanto guadagna. A partire da questo concetto, analizziamo il motivo delle differenze e le sue conseguenze. La differenza principale è che gli Stati emettono la propria valuta. Se invece una famiglia emettesse – ad esempio – dollari statunitensi, si tratterebbe di dollari falsi e i suoi membri andrebbero in prigione. [Emettere valuta] è una prerogativa dello Stato.

Quali conseguenze di tipo politico ha questa teoria che va contro l’analisi economica ortodossa?

Nel periodo più grave della crisi il Congresso degli Stati Uniti ha approvato uno stimolo fiscale di 800˙000 milioni di dollari in due anni. Questo ha attenuato la crisi economica, ma il Paese non ha recuperato. Il presidente Obama ha detto più volte: “Vorremmo fare di più, ma lo Stato non ha più soldi”. Questo è falso, che Obama lo sapesse o meno. Se l’opinione pubblica ne fosse stata consapevole, avrebbe preteso che il governo facesse di più. Alla fine, qualche mese fa, sono stati creati posti di lavoro ad un ritmo ragionevole, circa 200˙000 al mese. Tuttavia non si capisce perché per un periodo così lungo si sia avuta una crescita scarsa, quasi senza creazione di posti di lavoro. Abbiamo perso centinaia di miliardi in attività produttive che non saranno mai più recuperati. Le aziende non assumevano perché non vendevano abbastanza. Se il governo avesse fatto di più, si sarebbe creata più domanda per l’attività produttiva e [conseguentemente] posti di lavoro, e in questo modo avremmo recuperato molto prima.

Lei parla di “fare di più” e di creare domanda e occupazione, ma in che modo?

Ci sono misure convenzionali quali gli investimenti in infrastrutture. Io credo che nessuno non sia d’accordo col fatto che abbiamo bisogno di investire di più su questo fronte. I nostri ponti crollano, tutta le nostre infrastrutture stanno cadendo a pezzi. E chiunque sia stato in Cina e ha visto i treni ad alta velocità e le nuove infrastrutture che hanno lì, sa che non è solo una questione di riparare quello che già abbiamo. Noi siamo in ritardo. Per quanto riguarda le strategie meno convenzionali, recupererei il programma di creazione di posti di lavoro del New Deal degli anni ‘30. Lo Stato assumerebbe direttamente i disoccupati, che si occuperebbero di attività a favore della comunità e dell’interesse pubblico, o metterebbe a disposizione i fondi necessari ad altre organizzazioni – come la amministrazioni comunali, le organizzazioni sociali o le ONG – perché assumano. Questo offrirebbe ai disoccupati lavoro, esperienza e una qualifica. Negli Stati Uniti abbiamo un problema non tanto per la disoccupazione, che comunque continua ad attestarsi ad un tasso troppo elevato, attorno al 5% circa, ma anche per un enorme gruppo di persone, pari a tre o quattro volte il numero dei disoccupati, che ha smesso di cercare lavorare o si vede costretto a lavorare part-time.

È opinione comune che le persone che ricevono questi stipendi finanziati dallo Stato dovranno [comunque] lavorare. Perché preferisce questa soluzione al reddito di base, che prescinde dalla situazione lavorativa di ogni cittadino?

Il reddito di base non apporta tutto quello che un lavoro apporta. Il lavoro va a beneficio della comunità, questo lo rende più apprezzato a livello politico. Inoltre, stiamo parlando di produrre nell’interesse generale, per soddisfare le esigenze dei cittadini.

Pertanto propone che lo Stato indirizzi le risorse dove ritiene sia più necessario per la società?

Sì. Lo Stato dovrebbe pianificare che tipo di lavoro vuole incentivare o pagare. Dovrebbe dire: “Abbiamo bisogno di riparare questi ponti”, o: “Abbiamo bisogno di maggiore controllo nei parchi giochi”, o meglio: “Abbiamo bisogno di servizi di pulizia dell’ambiente”. Lo Stato farebbe un lavoro di pianificazione e assumerebbe i lavoratori per queste attività. Oppure, se scegliesse di cedere l’iniziativa ad organizzazioni [che gestiscono] servizi alla comunità, sarebbe necessario un processo di valutazione e di approvazione.

I sostenitori del reddito di base credono che molti dei posti di lavoro creati con l’attuale sistema di impiego non siano socialmente necessari, mentre gran parte del lavoro svolto nella società non è considerato lavoro o non è pagato. Come risponde a questa doppia critica?

Beh, potremmo ampliare quello che consideriamo un’occupazione che giustifica un salario. Diciamo che diamo valore ai cittadini e vogliamo che le persone che lavorano devono essere pagate. Potrebbe trattarsi del suo lavoro. Il problema del reddito di base è che così come funziona il sistema economico capitalistico, quello dominante, il sistema di produzione ha bisogno di lavoro retribuito, e la maggior parte delle persone vuole parteciparvi. Potremmo essere pignoli e discutere sul fatto che colui che si dedica a friggere hamburger abbia un lavoro utile per la società o meno: non credo che mangiare hamburger sia una cosa buona, è poco salutare ed è un male per le vacche. Potremmo anche decidere di vietare il consumo di hamburger. Ma abbiamo deciso di consentire una certa libertà di scelta e ci sono persone a cui piace mangiare hamburger e qualcuno, quindi, dovrà friggere fino a quando i robot lo permetteranno. Forse le condizioni di lavoro non sono buone e lo stipendio è troppo basso. Allora miglioriamo le condizioni di lavoro e i salari. Il modo migliore per farlo è quello di offrire un’alternativa in forma di lavoro garantito, con lavori utili per la società, che siano caratterizzati da migliori condizioni di lavoro e stipendi più elevati rispetto a quelli di coloro che friggono hamburger. Questo farà sì che migliorino le condizioni lavorative e il salario dei “friggitori”, o quei posti di lavoro spariranno.

I sostenitori del reddito di base direbbero che coloro che friggono gli hamburger sono liberi di lasciare il lavoro ed è necessario scindere il reddito dal lavoro.

Abbandonare quel lavoro per sostituirlo con quale altro? Avremo ancora bisogno di mangiare e che la gente costruisca case e sistemi di trasporto. Abbiamo un sistema nel quale, per ottenere uno standard minimo di vita, le persone hanno bisogno di lavorare. La loro fonte del reddito è la produzione di ciò che desideriamo. Quello che dicono è che, magicamente, quello che desideriamo continuerà a prodursi, per quanto scindiamo il reddito dalla produzione. Non ha alcun senso. Penso che possiamo permetterci che alcune persone – quelle che non possono lavorare o che non dovrebbero farlo perché, per esempio, hanno minori a carico – non partecipino al sistema produttivo, pur mantenendo un buon tenore di vita. Tuttavia la maggior parte deve partecipare al sistema di produzione, o non avremo nulla da mangiare. L’altro problema è che non comprendono l’importanza del lavoro per le persone. Ho conosciuto molti sostenitori del reddito di base, e di solito non sono persone molto socievoli, non gli piace stare con gli altri né lavorare. Pensano che tutti siano come loro, ma la maggior parte delle persone vuole contribuire alla società. A loro piace porre come esempio lavori che non sembrano molto divertenti, ma che comportano comunque i benefici della partecipazione al mondo produttivo: la sensazione di contribuire al benessere sociale, i vantaggi di essere parte di un gruppo in grado di connettersi con altre reti e aiutare ad avere una vita di successo e buona. Le persone che lavorano vivono una vita migliore di coloro che il lavoro non ce l’hanno.

Hai parlato di robotizzazione. Nel 1930, Keynes predisse che la generazione dei suoi nipoti avrebbe lavorato quindici ore alla settimana. La produttività è aumentata e le donne hanno aderito in massa al mercato del lavoro. Perché non lavoriamo quindici ore a settimana?

Uno dei motivi è che i salari sono troppo bassi, il che costringe le persone a lavorare più a lungo di quanto vorrebbero e, allo stesso tempo, riduce l’incentivo a sostituire il lavoro umano con alternative. Se i salari fossero stati molto più alti, avremmo dovuto già vedere robot che friggono hamburger. Credo anche che Keynes sottovalutò il potere della pubblicità. Credeva che quello che le persone volevano davvero fosse anche desiderabile per la società; tuttavia la pubblicità ci ha portato nella direzione opposta: ci ha indotto a desiderare cose che non sono desiderabili in assoluto, cose che la maggior parte delle persone compra. Come società abbiamo lasciato la questione al mercato, e dovremmo fare qualcosa al riguardo.

Tornando alle proposte politiche della teoria monetaria moderna. Esiste il rischio che favoriscano un’eccessiva inflazione?

No. Sono state progettate perché ciò non accada. La garanzia dell’occupazione da parte dello Stato è uno “stabilizzatore automatico”. Quando il settore privato comincia ad assumere, l’azione dello Stato diminuisce, in modo che la spesa si riduca. [Il sistema] si avvale di uno stipendio fisso, che non fa aumentare i prezzi, ma impedisce che diminuiscano. Lo stipendio non potrebbe mai scendere al di sotto di quello che lo Stato paga in quel programma, perché questo è un vero salario minimo. Inoltre, quando diciamo che lo Stato non può terminare il proprio denaro, non intendiamo dire che lo Stato deve sempre spendere più di quanto fa effettivamente. Quello che diciamo è “dimenticate il paragone con una famiglia”; quando lo Stato ha bisogno di spendere di più, può sempre farlo.

Cosa vuole dire a coloro che temono un rischio di inflazione quando si intraprendono politiche espansive?

Che tutta la spesa pubblica implica la creazione di denaro, in quanto genera un credito di riserve bancarie equivalente a quanto si spende. Se lei riceve un assegno per la pensione da parte dello Stato, quando lo deposita in banca la Banca lo versa sul suo conto e invia l’assegno alla Banca Centrale, che lo versa a sua volta. Quando paga le tasse si produce il fenomeno opposto: la spesa pubblica comporta sempre un aumento di riserve. Il pagamento delle tasse, una riduzione. Lo Stato crea denaro dal nulla e lo usiamo per pagare le tasse, restituendolo allo Stato.

Così, quando gli Stati entrano in quello che noi chiamiamo “crisi del debito sovrano”…

Come il Giappone?

O come i Paesi della zona euro.

No, no, concentriamoci un momento sul Giappone. Non ha una crisi del debito. Il suo livello di indebitamento si avvicina al 250% del PIL. Per venticinque anni ha applicato un tasso d’interesse dello 0% e ha sofferto di deflazione, con il più alto deficit di bilancio di tutto il mondo. Non c’è una crisi del debito.

Esistono crisi del debito sovrano? Sono possibili?

In Giappone? No. Negli Stati Uniti? No. Nel Regno Unito? In Turchia? Tanto meno. Che cos’hanno in comune? Tutti questi Stati emettono una propria valuta. Che cosa succede quando uno Stato abbandona la propria moneta e adotta quella di un altro? Può avere un problema di debito, perché non ha la propria valuta. Ci sono alcuni Paesi che hanno “dollarizzato” la loro economia. L’Ecuador l’ha fatto. L’Argentina ha avuto un regime di convertibilità negli anni ’90. Può essere molto problematico, perché l’unico modo per ottenere dollari, se non è possibile esportare abbastanza, è prenderli in prestito. Se si prendono in prestito è necessario restituirli con gli interessi, altrimenti bisogna ottenere ancora più dollari. Ci possono essere conseguenze disastrose, tra cui il default sul debito. Qual è il problema in Europa? Grecia e Italia avevano una propria moneta. Potevano terminarla? No. Che cosa hanno fatto? Hanno rinunciato alla propria valuta. Hanno adottato l’euro, che è una moneta estera. Ora si trovano in una situazione per la quale non esiste una soluzione di mercato. Queste economie di Grecia, Italia, Spagna, non recupereranno mai.

E se lasciassero l’euro?

Bene. Dovrebbero uscire dal sistema euro o lo si dovrebbe riformare interamente. L’una o l’altra cosa finirà per accadere.

Che cosa s’intende per riforma del sistema?

Le soluzioni tecniche sono molto facili. Una consiste nell’aumentare il budget del Parlamento europeo, che è inferiore all’1% del PIL. Negli Stati Uniti, l’Unione monetaria è impostata bene. La banca centrale – la Federal Reserve – gestisce la politica monetaria, mentre il Dipartimento del Tesoro la politica fiscale. In UE si è creduto che si sarebbe potuta avere una sola banca centrale, ma ogni Stato con la propria politica fiscale. Questo non può funzionare. Ma c’è un Parlamento europeo. Se il budget fosse più ragionevole, abbastanza grande da stabilizzare la domanda aggregata in tutta l’economia e distribuire una maggiore domanda alle economie che perdono occupati a causa del loro deficit commerciale, potrebbe esserci una via d’uscita. Quanto grande potrebbe essere? Direi che circa il 10%, la metà del bilancio degli Stati Uniti, sarebbe sufficiente. Questo ridistribuirebbe la domanda. Tutti, inclusa la Germania, vorrebbero avere gradualmente maggiore domanda, affinché la periferia riceva relativamente più del centro.

Lei parla di “domanda distribuita”. Ma come si fa [a distribuire la domanda]?

Il modo ideale è una garanzia di occupazione. Ipotizziamo che l’UE finanzi la garanzia di occupazione. Oggi potremmo parlare di un 5% del PIL, che in Grecia potrebbe essere più vicino al 10%, ma che dopo il recupero si stabilizzerebbe tra l’1% e il 3%.

Crede che questo risolverebbe sia il problema dell’occupazione, sia quello della stabilità finanziaria?

La crisi europea e quella americana sono state identiche. Ma la crisi finanziaria, che è stata la stessa per entrambi, è diventata crisi del debito sovrano in Europa, perché i Paesi membri non sono sovrani. Negli Stati Uniti non è andata così. Si sarebbe potuto implementare uno stimolo fiscale, anche se non sarebbe stato sufficiente. Salviamo il sistema finanziario senza imporre il debito pubblico a New York o al Sud Dakota. L’Europa ha fatto questo, spostando l’onere agli Stati non sovrani. La Spagna aveva surplus contabili prima della crisi. Improvvisamente arriva la crisi finanziaria, il debito pubblico esplode. Il problema è stato il settore finanziario privato. La soluzione non è l’austerità, ma la regolamentazione e il controllo bancario, la rottura degli oligopoli finanziari e la reclusione dei responsabili di questa situazione. La garanzia dell’occupazione non è sufficiente. Essa deve essere accompagnata da misure restrittive agli eccessi finanziari.

Prima ha detto che i Paesi che rinunciano alla loro sovranità monetaria non sono più sovrani. Ma gli altri Paesi non sono subordinati agli Stati Uniti in materia monetaria, dal momento che il dollaro è valuta di riserva del mondo?

La misura in cui sono subordinati dipende dalle decisioni politiche. Ci sono Paesi che scelgono di avere un regime di cambio fisso. Se lo fai, è necessario esportare. Che cosa è necessario esportare? Salari bassi, una bassa domanda aggregata, tenere la popolazione abbastanza povera in modo da [non] importare. Lo fanno volontariamente. Non hanno alcun motivo per doverlo fare.

Qual è l’alternativa?

Lasciare che il prezzo della valuta possa fluttuare. Questo permette di avere più spazio di manovra per la politica fiscale. Se invece si sceglie di legare il valore della propria valuta al dollaro, si manterrà un tasso d’interesse più alto, perdendo il controllo della politica monetaria. Il tuo tasso d’interesse deve essere superiore a quello degli Stati Uniti, per mantenere una moneta forte. Se invece la si lascia fluttuare, si possono mantenere i tassi più bassi e deprezzare la valuta. Con la politica fiscale succede lo stesso: non è necessario avere una grande parte della popolazione disoccupata. È possibile perseguire una politica di piena occupazione. La conseguenza può essere che il tasso di cambio sia più basso. Che problema c’è? Le élite troveranno più costoso viaggiare a Disneyland. No, scherzo: per le élite dei Paesi in via di sviluppo è molto importante poter mandare i figli a Harvard e andare in vacanza in America. Loro preferiscono avere il 50% della popolazione disoccupata per poter fare tutto ciò.

Tendiamo a pensare alle tasse come ad una strategia di gettito fiscale dello Stato per costruire strade e scuole, o per pagare gli insegnanti e agenti di polizia. Lei dice che le tasse non servono per questo fine.

I governi regionali e locali hanno bisogno dei soldi delle tasse per funzionare, ma per lo Stato esse hanno due funzioni principali: in primo luogo, la generazione di domanda per la propria moneta: se so di dover pagare le tasse con i biglietti della Virginia coloniale, io pretenderò che mi paghino con queste banconote. In secondo luogo, le imposte ritirano denaro dall’economia, frenando l’inflazione.

Dice anche che le tasse non devono essere viste come uno strumento per ridurre le disuguaglianze. Perché?

Non le si fa pagare ai ricchi per darle ai poveri. Questo lo faceva Robin Hood, ma gli Stati non possono farlo con la propria moneta. Quando si impone una tassa, si riduce la quantità di moneta in circolazione. Anticamente, i governi coloniali bruciavano i biglietti che ricevevano come imposte. Al giorno d’oggi, se si danno i soldi in banca in cattivo stato, la Federal Reserve li trita. Se fate una visita guidata alla Fed, danno come souvenir una borsa piena di brandelli di banconote. L’idea che l’imposizione delle tasse ai ricchi metta a disposizione i soldi per pagare i poveri è sbagliata. Possiamo dare soldi ai poveri senza imporre le tasse ai ricchi. Perché tassarli? Perché sono troppo ricchi. Lo facciamo per ridurre la loro ricchezza. Non dobbiamo legare le due cose, perché se per motivi politici non siamo in grado di raccogliere dai ricchi, questo ci porterebbe a non spendere in aiuti ai poveri. Sono due atti separati: possiamo aiutare i poveri e imporre le tasse ai ricchi.

 

Originale di Álvaro Guzmán Bastida pubblicato il 22 marzo 2017

Traduzione a cura di Fausto Cavalli, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo


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