6. La moneta nel mondo moderno
I neo-Cartalisti sono particolarmente interessati alle valute sovrane – quelle non convertibili in oro o in qualsivoglia valuta estera secondo tassi di cambio fissi (Mosler, 1997-98; Wray, 2001). Il loro punto di partenza è che la maggior parte delle economie moderne operano sulla base di sistemi di moneta ad alto potenziale (MAP). La MAP – riserve, monete, banconote federali e assegni del Tesoro – è ciò che permette di saldare le obbligazioni fiscali ed è collocata al vertice della piramide del debito. Di conseguenza, è anche la moneta “in cui sono convertite le passività bancarie” e che è usata per la compensazione interbancaria (tra le banche stesse o tra le banche private e la Banca Centrale) (Wray, 1998: p. 77). Solo un’adeguata comprensione di come la MAP è offerta all’economia e del suo effetto sul sistema monetario può rivelare pienamente tutte le implicazioni della politica fiscale e monetaria moderna.
La moneta moderna è moneta di Stato. Oggi la tassazione ha il compito di creare la domanda di valute di Stato così che l’autorità che emette moneta possa acquistare dal settore privato i beni e i servizi necessari. La tassazione, in un certo senso, è un veicolo per spostare risorse dal dominio privato a quello pubblico. La spesa pubblica, nei sistemi a valuta sovrana, non è limitata dalla capacità dello Stato di “aumentare” il gettito. Infatti, come sarà spiegato in seguito, gli Stati sovrani non hanno nessun vincolo finanziario operativo.
Per cogliere pienamente la logica del finanziamento sovrano, è necessario fare una distinzione analitica tra i settori pubblico e non-pubblico [privato]. Per il settore privato, la spesa è effettivamente limitata dalla capacità di guadagnare reddito o di indebitarsi. Questo non è il caso del settore pubblico, il quale “finanzia” la spesa con valuta propria. Questo è un riflesso del suo stato di fornitore unico (monopolio). Per esempio, negli USA il dollaro non è una “risorsa limitata del governo” (Mosler, 1997-98: p. 169). Piuttosto, è un credito fiscale per la popolazione, che si deve confrontare con una passività fiscale denominata in dollari. Pertanto la spesa pubblica fornisce alla popolazione quanto è necessario per pagare le tasse (dollari). Lo Stato non ha bisogno di raccogliere tasse per spendere; è piuttosto il settore privato che deve guadagnare dollari per saldare il suo debito fiscale. Lo Stato consolidato (che include il Tesoro e la Banca centrale) non è mai limitato dal gettito nella sua valuta.
Se lo scopo della tassazione è quello di creare domanda di moneta di Stato, allora, da un punto di vista logico e operativo, la riscossione delle tasse non può verificarsi prima che lo Stato abbia messo a disposizione ciò che richiede per il pagamento delle tasse. In altri termini, prima viene la spesa e dopo segue la tassazione. Un altro modo di vedere questo nesso causale è dire che la spesa pubblica “finanzia” il “pagamento delle tasse” da parte del settore privato e non viceversa. Ne conseguono diverse altre implicazioni.
Deficit e surplus
La spesa pubblica fornisce moneta ad alto potenziale alla popolazione. Se il settore privato desidera accumularne una parte – una condizione normale del sistema – per la logica della contabilità ne risulta necessariamente un deficit [1]. Inoltre, lo Stato non può riscuotere in tasse più di quanto abbia speso in precedenza; così un pareggio di bilancio è il minimo teorico che si possa raggiungere. Ma il desiderio del settore privato di risparmiare al netto assicura che sia creato un deficit. La domanda di mercato di valuta, quindi, determina l’ampiezza del deficit (Wray, 1998: pp. 77-80).
In un dato anno, naturalmente, è possibile un surplus, ma è sempre limitato dall’ammontare della spesa a deficit degli anni precedenti. Se, in un determinato periodo contabile, la spesa pubblica è inferiore al gettito fiscale, si riduce necessariamente la quantità di asset finanziari netti in possesso del settore privato. Ne consegue che il surplus riduce sempre il risparmio netto del settore privato, mentre il deficit lo alimenta. Si dovrebbe anche notare che, quando gli Stati incorrono in surplus di bilancio, non “guadagnano” niente perché la riscossione delle tasse “distrugge” moneta ad alto potenziale (Mitchell e Mosler, 2005: p. 9). Per comprendere questo punto, è necessario dare un’occhiata più attenta alla spesa pubblica e alle operazioni relative alla tassazione.
Spesa pubblica e tassazione
La spesa pubblica e la tassazione non nascondono grandi misteri. Lo Stato spende semplicemente compilando assegni del Tesoro o accreditando conti bancari privati. Viceversa, quando il Tesoro riceve un assegno come pagamento delle tasse, addebita il conto della banca commerciale che ha emesso l’assegno. Ad oggi, non è necessario distinguere tra la Federal Reserve e il Tesoro quando si discute di spese e di entrate dello Stato. Questo perché, quando il Tesoro compila un assegno tratto sul suo conto alla Federal Reserve, di fatto scrive una richiesta a se stesso. Come notano Bell e Wray (2002-3), l’attività di bilancio all’interno dell’amministrazione pubblica non ha conseguenze significative, perché non ha nessun impatto sul livello delle riserve del sistema bancario nel suo complesso (p. 264). Quello che importa, tuttavia, è che le azioni consolidate della Federal Reserve e del Tesoro hanno come effetto un’immediata variazione del livello di riserve dell’intero sistema. È questo effetto sulle riserve che è importante per comprendere la politica.
La politica fiscale dello Stato è uno dei due importanti fattori che modificano il livello delle riserve del sistema bancario. L’altro consiste nelle operazioni di mercato aperto della Federal Reserve. Il Tesoro è il principale fornitore di MAP. Quando compila un assegno sul suo conto alla Federal Reserve, per necessità contabile le riserve nel sistema bancario aumentano. Quando riscuote i pagamenti delle tasse, d’altra parte, le riserve bancarie diminuiscono. In alterativa, quando la Federal Reserve acquista titoli sul mercato aperto aggiunge riserve, e quando vende titoli le drena. Ciò che il Cartalismo chiarisce immediatamente dopo, è che l’effetto della politica fiscale sulle riserve può essere grande e dirompente. Così, mentre le operazioni del Tesoro sono discrezionali, le operazioni della Banca centrale hanno una natura ampiamente difensiva.
Moneta ad alto potenziale, prestiti e tassi d’interesse
Storicamente, le banche hanno perseguito l’obiettivo di minimizzare la quantità di riserve non fruttifere a bilancio. Essenzialmente, le riserve in eccesso rispetto alla quantità necessaria ad onorare gli impegni di pagamento quotidiani sono prestati sul mercato overnight per guadagnare interessi. In alternativa, se le banche non possono onorare i requisiti di riserva, prenderanno in prestito le riserve sul mercato overnight. A parità di altre condizioni, queste operazioni non modificano il livello di riserve nel sistema bancario nel suo complesso. Spesa pubblica e tassazione, tuttavia, lo modificano. Ogni nuova iniezione di “moneta esogena” (MAP) inonda il sistema bancario con le riserve in eccesso. Le banche provano a trasferire le riserve indesiderate alle altre banche, ma, a livello aggregato naturalmente, questi tentativi sono inefficaci e si limitano a ridurre i tassi d’interesse overnight. La spesa pubblica, pertanto, aumenta le riserve a livello sistemico ed esercita una spinta al ribasso sui tassi d’interesse.
Al contrario, la riscossione delle tasse riduce la moneta ad alto potenziale, cioè distrugge riserve. Dato che i requisiti di riserva sono calcolati con un certo sfasamento temporale (perfino in un sistema contabile che non prevede alcuno sfasamento temporale [vedi Wray, 1998: pp. 1024]), a parità di altre condizioni, il pagamento delle tasse genera una carenza di riserve a livello di sistema. L’effetto sulle riserve è opposto e, mentre le banche si agitano per ottenere le riserve di cui necessitano sul mercato overnight, il tasso d’interesse su fondi federali è spinto al di sopra del valore fissato come obiettivo. Riassumendo, l’azione discrezionale del Tesoro influenza direttamente i tassi d’interesse attraverso i suoi effetti sulle riserve.
Lo Stato ha elaborato vari modi per mitigare l’effetto della politica fiscale sulle riserve. Il primo modus operandi è l’utilizzo dei tax and loan accounts (T&Ls) [a], che offrono solo un sollievo temporaneo a queste considerevoli fluttuazioni delle riserve (vedi Bell, 2000 per un’analisi dettagliata). Nonostante i T&Ls riducano l’effetto della spesa pubblica sulle riserve, il ricorso a questi conti non corrisponde mai esattamente all’ammontare del gettito fiscale o della spesa pubblica. Perciò c’è sempre un flusso di riserve nel sistema bancario nel suo complesso che deve essere bilanciato in modo da evitare oscillazioni del tasso d’interesse overnight (ibid.).
Il secondo metodo per trattare gli eccessi o le carenze di riserve consiste nel ricorso alle operazioni di mercato aperto. Per drenare l’iniezione di riserve in eccesso, la Federal Reserve offre titoli in vendita sul mercato aperto. Con quest’azione offre, di fatto, un’alternativa fruttifera all’offerta infruttifera di riserve in eccesso da parte delle banche e previene il logico azzeramento del tasso d’interesse overnight [2]. L’acquisto di titoli, al contrario, aggiunge riserve laddove se ne verifica una carenza a livello sistemico e attenua così qualsiasi spinta al rialzo del tasso overnight. Pertanto è più appropriato vedere le operazioni di mercato aperto non come procedure di indebitamento o prestito dello Stato, ma come operazioni di gestione del tasso d’interesse.
Da qui emergono numerose considerazioni. Primo, nonostante il coordinamento tra le attività del Tesoro e quelle della Federal Reserve, è chiaro che la politica fiscale è discrezionale e ha un significativo impatto sulle riserve. Secondo, in un’era in cui la politica mira a mantenere un tasso d’interesse positivo, la Federal Reserve non ha altra scelta che agire in difesa per opporsi alle fluttuazioni delle riserve attraverso operazioni di mercato aperto. Pertanto la Federal Reserve opera in modo non discrezionale (Wray, 1998; Fullwiler, 2003).
Sia la tassazione sia l’indebitamento riducono le riserve. La tassazione semplicemente le distrugge, mentre l’indebitamento le prosciuga, attraverso lo scambio di asset infruttiferi del settore privato (riserve in eccesso) con asset che comportano un pagamento di interessi (titoli). Per lo Stato, la tassazione e l’indebitamento non sono operazioni di finanziamento, ma influenzano certamente la ricchezza nominale del settore privato. La prima riduce la “moneta esogena” (cioè il risparmio netto del settore privato), mentre la seconda scambia un asset con un altro, lasciando la ricchezza “intatta” (Wray, 2003a: p. 151).
Quanto sopra descritto ribalta completamente il senso comune. Gli Stati non hanno bisogno dei soldi dei cittadini per spendere; sono piuttosto i cittadini ad aver bisogno dei soldi dello Stato per pagare le tasse. La spesa pubblica crea sempre nuova moneta, mentre la tassazione la distrugge sempre. Spesa e tassazione sono due operazioni indipendenti. Le tasse non sono accumulate e non posso essere riutilizzate per “finanziare” spese future. Per finire, le vendite di titoli sono necessarie per drenare le riserve in eccesso generate da operazioni fiscali così da mantenere un tasso d’interesse positivo.
Il valore della valuta e la determinazione esogena dei prezzi
Dato che la politica monetaria è accomodante [o espansiva] e la politica fiscale è discrezionale, il Cartalismo assegna a quest’ultima la responsabilità di mantenere il valore della valuta. È già stato mostrato che le tasse impartiscono valore alla moneta di Stato. Come evidenziò Innes: “Una moneta da un dollaro non è tale in virtù del materiale di cui è fatta, ma in virtù della porzione di tasse che consente di estinguere” (1914: p. 165). Ma sostenne anche che “quanta più moneta di Stato c’è in circolazione, tanto più poveri siamo” (ibid.: p. 161). In altre parole, se la moneta di Stato in circolazione eccede in modo significativo l’ammontare complessivo delle passività fiscali, il valore della moneta crollerà. Così, ciò che dà alla moneta il suo valore non è solo la necessità di pagare le tasse, ma anche la difficoltà di ottenere quanto è necessario per il pagamento delle tasse.
Ad esempio, nel discutere dell’esperienza delle colonie americane con moneta cartacea non convertibile, Smith riconobbe che l’emissione in eccesso rispetto alla tassazione è stata la chiave del motivo per cui alcune valute, a differenza di altre, hanno mantenuto il loro valore (per ulteriori dettagli vedi Wray, 1998: pp. 21-2). Wray spiega: “sono l’accettazione della moneta cartacea per il pagamento delle tasse e la restrizione dell’emissione rispetto alle passività fiscali totali a dare valore alla moneta cartacea” (ibid.: p. 23).
Note dell’Autore
1.^ Godley (1999) ha dimostrato che, per necessità contabile, i deficit del settore pubblico equivalgono ai surplus del settore privato (compresi quelli di imprese, famiglie e residenti all’estero).
2.^ Per discussioni tecniche sulle operazioni della Federal Reserve, si veda Fullwiler (2003. 2005).
Note del Traduttore
a. ^ I tax and loan accounts sono conti bancari, aperti in banche private a nome della Federal Reserve, che il Tesoro USA adopera come conti per spese operative; vedi Investorwords.com.
Originale pubblicato nel 2006
Traduzione a cura di Carlo Vittoli, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo e Andrea Sorrentino