L'Editoriale

A Genova un candidato sindaco rifiuta i limiti alla spesa in deficit

Non tutte le elezioni comunali rappresentano l’occasione per avviare una seria discussione sulla politiche economiche improntate alla riduzione della spesa pubblica e alla conseguente compressione dei diritti. A Genova, dove si svolgeranno le elezioni comunali domani 11 giugno, questo è avvenuto grazie ad un candidato che ha posto in primo piano la questione: Marco Mori.

Al di là delle convinzioni e degli orientamenti di ciascuno, è un segnale importante che il dibattito sul futuro di una città sia legato al dibattito contro le politiche di austerità. Di rado durante le elezioni comunali si sente parlare di questi temi e violare determinati tabù. È urgente rimettere in primo piano ciò che diamo per scontato e a cui non siamo più abituati: il rispetto dei principi fondamentali della Costituzione Italiana da parte dello Stato Centrale.

Il Comune di Genova non può dare attuazione agli ingenti investimenti pubblici oggi necessari per garantire i diritti sociali, in primis il diritto al lavoro, rispettando il patto di stabilità interno. Il futuro sindaco dovendo rispettare i vincoli di riduzione del deficit imposti dallo Stato e dalla UE, non sarà altro che “un commissario liquidatore”; come tale potrà arrivare in alcuni casi, come già succede in altri territori, a dover scegliere se aumentare le tasse (e quindi la disoccupazione), tagliare i servizi o svendere ai privati una fetta sempre più grande delle quote delle aziende partecipate dal comune.[1]

Questo è il cuore del problema: che fare di fronte ai vincoli alla spesa pubblica che impediscono oggi alle amministrazioni di dare attuazione alla Costituzione Italiana, di aumentare gli investimenti pubblici in deficit per garantire a tutti lavoro e risparmi e ridurre le diseguaglianze sociali? Per investire nella sicurezza e nella cura del territorio, nella sanità o nell’istruzione?

Un sindaco che rispetti i vincoli alla spesa a deficit non può che spostare risorse da un ambito ad un altro, non può aumentarle, ed in ogni caso non può complessivamente ridurre la piaga della disoccupazione.

Occorre tornare a interrogarsi se il modello di democrazia e di società scritta in Costituzione sia la meta ideale cui la nostra comunità crede ancora e a cui tende oppure no. se la risposta è sì bisogna chiedersi che cosa possono fare i comuni cittadini per cambiare lo stato delle cose.

Concretamente il primo dei metodi tecnici che Riscossa Italiana Genova si propone di adoperare consiste nel portare in giudizio il Governo centrale chiedendo l’erogazione dei trasferimenti di risorse necessari a garantire i servizi fondamentali.

Tale proposta viene indicata al punto 1 del programma:

“1. Piena attuazione dei principi fondamentali della Costituzione. In conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 275/16 l’erogazione dei diritti incomprimibili non può essere limitata da qualsivoglia esigenza di bilancio, il patto di stabilità interno verrà dunque rifiutato con forza e sarà violato opponendo ogni sanzione davanti alle autorità giudiziarie preposte;”[2][3]

In tutte le città e in ogni confronto elettorale il dibattito dovrebbe essere centrato su questi temi. Nelle elezioni comunali di Genova questo è avvenuto. La discussione ha coinvolto anche gli altri candidati, contribuendo ad arricchire il confronto democratico e mettendo sul tavolo la questione fondamentale che tutti i partiti sono chiamati ad affrontare, e che non si può non toccare nell’approcciarsi ai cittadini.

Buona fortuna a Genova e a tutti!

 

Note


1.^ Il deficit pubblico è la differenza tra i soldi che in un anno lo Stato immette nel settore privato attraverso la spesa e quelli che rimuove con la tassazione, perciò contabilmente corrisponde al risparmio privato. Le politiche di riduzione del deficit pubblico, sancite nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC), vengono oggi attuate dallo Stato attraverso una combinazione di riduzione della spesa pubblica ed aumento della tassazione. Come dà attuazione a tali politiche lo Stato? In parte, vincolando la spesa di alcuni enti facenti parte della pubblica amministrazione come sancito dal Patto di Stabilità Interno (PSI).

Gli enti soggetti al PSI sono in particolare quelli locali: Regioni, Province autonome, Province, Unioni di Comuni e Comuni. Il PSI impone a tali enti una serie di vincoli quantitativi ed operativi molto stringenti – costringendoli sostanzialmente a conseguire un pareggio o, meglio ancora, un surplus di bilancio – che spesso impediscono loro di riuscire a spendere nonostante, spesso, abbiano disponibilità finanziaria sufficiente. Vengono insomma costretti a tassare più di quanto spendono sia per limitare il deficit aggregato del settore pubblico, sia per garantire una maggiore possibilità di spendere a deficit ad altri enti facenti parte dello stesso settore.

Per ulteriori approfondimenti su deficit e livello di occupazione si consiglia la lettura dei seguenti articoli:

https://www.retemmt.it/monopolista-della-valuta/

https://www.retemmt.it/come-ripristinare-vendite-produzione-occupazione/

2. ^ Nella Regione Abruzzo avevano una legge regionale che stabiliva che il trasporto dei disabili si dovesse interrompere una volta finite le risorse del bilancio. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 275/16 ha stabilito che è il bilancio a doversi adattare all’erogazione dei servizi fondamentali, non il contrario.

3.^ Il programma elettorale completo di Riscossa Italiana si può trovare qui.


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