Approfondimento

Clinton vs Trump: programmi e profili dei due candidati a confronto

Clinton vs Trump: programmi e profili dei due candidati a confronto

Una delle campagne elettorali più singolari e storicamente rilevanti degli ultimi decenni sta per giungere alla conclusione negli USA.

Due candidati. Da una parte, una delle peggiori esponenti dell’establishment, la candidata del “sistema”. Dall’altra, un capitalista “antisistema”, fuori dagli schemi, grande comunicatore che imputa all’attuale leadership americana e ad alcuni Paesi stranieri l’origine dei mali di cui soffrirebbero gli USA.

Hillary Clinton, la prima, rappresenta la continuità con le politiche americane attuate a partire almeno dal 1989. Moglie di Bill, molto vicina alla famiglia Bush, di cui trova il sostegno, Segretaria di Stato durante la prima presidenza Obama, ha ricevuto finanziamenti alla sua fondazione da Paesi come Arabia Saudita e Qatar, Paesi che si interfacciavano con la diplomazia di cui era a capo. Ma guarda un po’ che coincidenza.

Donald Trump, il secondo, proviene da una storia fatta di grossi progetti imprenditoriali nell’edilizia, gode di visibilità anche grazie alla sua partecipazione in programmi di Wrestling ed a reality come “The Apprentice”, non ha mai ricoperto cariche pubbliche e non ha l’appoggio del “sistema”, neanche di gran parte del suo stesso partito. Un mix tra Briatore, il Berlusconi delle origini e Vanna Marchi.

I due candidati, questo è da riconoscere, sembrano avere proposte politiche molto diverse tra loro, sia in campo economico sia in politica estera.

Le proposte economiche

La Clinton, probabilmente anche per ammiccare agli elettori del suo sfidante delle primarie – Bernie Sanders –, propone di aumentare gli investimenti pubblici in settori come le energie rinnovabili, di innalzare il salario minimo nazionale, di garantire alle donne parità retributiva, di prendere misure a favore dell’equilibrio tra famiglia e lavoro ed esprime la necessità di college gratuiti. Il tutto aumentando temporaneamente il deficit pubblico, la differenza tra i soldi che lo Stato mette nell’economia – ciò che spende – e quanto preleva – ciò che tassa. La Clinton propone quindi di aumentare temporaneamente i soldi che lo Stato lascia nell’economia.

Trump invece ha organizzato la sua ricetta, come anche il suo libro “Time to Get Tough: Make America Great Again!”, principalmente su due idee.

  • riportare le produzioni manifatturiere dai Paesi della Cina agli USA, tassando le importazioni del Paese asiatico;
  • prendere il petrolio dai Paesi del Medio Oriente, che dovrebbero ripagare gli USA per la loro liberazione.

Queste due idee sono però condite da una visione molto contraddittoria dell’uso del bilancio pubblico e del funzionamento del sistema monetario. Trump comincia il suo libro dicendosi preoccupato del debito pubblico americano; lo scorso maggio, però, disse pubblicamente che gli Stati Uniti non possono fallire perché possono “stampare moneta”.

Da economista, mi sento di dover fare un commento a queste due ricette.

La ricetta della Clinton può funzionare per diminuire la disoccupazione ed aumentare la crescita, in modo stabile, solo se il deficit dello Stato aumenta (aumentando la spesa pubblica e/o riducendo le tasse) in misura sufficiente ad incrementare in modo rilevante la spesa complessiva, quindi le vendite, nell’economia.

Se il deficit fosse molto limitato l’effetto non sarebbe apprezzabile, e se venisse fatto con già l’intenzione di aumentare in modo importante il gettito fiscale nell’immediato futuro, porterebbe, dopo che si è cercato di “compensare” il deficit con uno o più surplus di bilancio, ad una contrazione economica. Ciò che avvenne durante il mandato di Bill Clinton, quando lo Stato federale americano arrivò ad ottenere un surplus, cioè un bilancio in attivo, addirittura del 6% del Pil (a cui corrispondeva ovviamente, per identità contabile, un bilancio in passivo del 6% del Pil per il settore privato). Se lo Stato incassa più di quanto spende, vuol dire che il settore privato sta pagando in tasse più soldi di quanti ne guadagna con la spesa pubblica.

Non si deve fare deficit ora per realizzare un surplus domani. Oggi e domani è necessario realizzare il deficit che serve a mantenere la piena occupazione. L’obiettivo delle politiche pubbliche deve essere sempre reale, non finanziario. Nessun obiettivo finanziario ha senso per uno Stato che crea la sua valuta.

La ricetta di Trump, dall’altro lato, nonostante paghi in termini comunicativi («Vi riporto qui le aziende», «Prendiamo il petrolio dei Paesi che abbiamo liberato») non va nella direzione dell’interesse generale del popolo americano.

La sue politica economica consiste nel far assomigliare gli Stati Uniti ad un Paese del terzo mondo. Riportando negli Stati Uniti le produzioni a basso valore aggiunto e cercando, tra l’altro, di aumentare le esportazioni senza aumentare le importazioni – dunque consumi o investimenti – realizzando così produzione che poi, come succede in Paesi come Vietnam o Cina, va ad allietare la vita di residenti all’estero, limitando i consumi di chi ha prodotto quel valore.

La politica energetica trumpiana, in aggiunta, va in direzione di un aumento della dipendenza energetica degli USA dal petrolio, consolidando dunque la dipendenza USA dai Paesi produttori di petrolio. Sì Donald, oggi prendi il petrolio gratis, ma domani trovi che il tuo tessuto economico ne è completamente dipendente e tu ritorni ad essere ricattabile come negli anni ’70 del secolo scorso. Genio!

La politica estera

In politica estera, ovviamente, la proposta della Clinton non può discostarsi dall’atteggiamento tenuto dagli USA sui vari fronti negli ultimi anni.

Trump, al contrario, ribalta il tavoli, cambia le regole del gioco, spiazza il mondo. Dice di voler parlare con la Corea del Nord, di voler tenere buoni rapporti con Putin e descrive leadership e politiche dell’Unione europea come un disastro.

Due approcci alternativi, due percorsi storici molto diversi per il futuro del mondo.

L’8 novembre il popolo americano prenderà una decisione che, ancor più delle passate elezioni USA, potrebbe avere conseguenze molto rilevanti anche sulle nostre vite.

 

Ivan Invernizzi, con la collaborazione di Gianluigi Seccia


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