Approfondimento

Bitcoin: un’illusione monetaria

Bitcoin: un'illusione monetaria

Il Bitcoin è un particolare mezzo di scambio, una “cripto-valuta”, che, per quanto ci riguarda, possiede un’interessante caratteristica: ha molteplici emettitori. Potenzialmente, ciascuno di noi può creare nuovi Bitcoin, utilizzando software di calcolo appositi atti a verificare la validità delle transazioni nel sistema dei pagamenti Bitcoin. In altre parole, io do il mio contributo al funzionamento del sistema offrendo la potenza di calcolo del mio computer, il sistema mi ringrazia permettendomi di “estrarre” (di fatto, creare) Bitcoin. Il Bitcoin è dunque una sorta di “oro virtuale”. Un oggetto finanziario che chiunque può creare.

Agli economisti neoclassici, questo sembrerà il paradiso. Finalmente una moneta senza Stato, finalmente una moneta “fiduciaria” vera e propria. Mi spiego meglio, abbiate la pazienza di seguirmi.

Metallismo e neoclassicismo

Secondo la teoria neoclassica, l’economia monetaria è una naturale evoluzione dell’economia di baratto. La moneta è vista come una convenzione sociale, adottata per facilitare le transazioni in quando facilmente trasportabile e divisibile. Da questo punto di vista, la moneta è esclusivamente un mezzo di scambio, il cui valore dipende dalla fiducia che gli agenti economici ripongono in esso. In altre parole, la moneta esiste per comodità. Questa descrizione delle origini della moneta, oggi molto diffusa, risponde al nome di “metallismo”. Essa fu elaborata da Carl Menger, padre della Scuola Austriaca, nel 1892, sulla base dell’idea che il valore della moneta fosse dato dal suo valore intrinseco, cioè dal valore dei metalli preziosi in essa contenuti.

Seguendo il ragionamento metallista-neoclassico, si giunge alla conclusione che le variabili macroeconomiche riguardanti l’aspetto reale dell’economia, come il tasso di disoccupazione, la produzione, la produttività e molte altre, non possono essere influenzate, se non in modo marginale o temporaneo, dalla quantità di moneta circolante, essendo essa un oggetto la cui unica utilità è facilitare gli scambi. Si spiega così che, per quanto lo Stato cerchi di dirottare l’andamento dell’economia con la propria politica fiscale, esso finirà solamente con il generare più o meno inflazione, senza provocare cambiamenti sensibili e duraturi nelle variabili fondamentali.

Ecco da dove nasce il concetto elusivo di “neutralità” della moneta, di “naturalità” dei tassi di disoccupazione e di crescita. Va sviluppandosi l’idea che l’economia sia il risultato delle libere volontà individuali, che sia un grande insieme di scambi equi. Mascherando invece tutt’altra realtà, e cioè che l’economia è un grande insieme di rapporti di forza, i quali determinano le volontà e possibilità individuali. E in questo insieme di rapporti di forza c’è, sempre, chi vince e chi perde. Altro che scambi equi.

Cartalismo e MMT

Economisti come Georg Friedrich Knapp e Alfred Mitchell-Innes, di cui gli economisti MMT sono per forza di cose gli eredi, hanno dimostrato come la storia della moneta non faccia eccezione, ma sia anch’essa una storia di coercizioni, rapporti di forza, imposizioni. Tutto, fuorché comodità e convenzioni. La storiografia, l’archeologia, la storia, la sociologia, ci dicono che prima sono venute le autorità politiche, i faraoni, gli imperatori, e solo da queste autorità sono poi nate le valute e i mezzi di pagamento astratti. Questa ricostruzione delle origini della moneta, in contrapposizione a quella metallista, è detta “cartalista”, in allusione alla concezione secondo cui il valore della moneta non derivi dal materiale in essa contenuto, ma dal rapporto di forza cui è soggetta: nel caso delle monete di Stato, la tassazione.

Il fatto che lo Stato sia il monopolista della valuta costringe la popolazione, soggetta alla tassazione, a vendere forza-lavoro, beni e servizi allo Stato per ottenere la valuta con cui pagare le tasse. È chiaro che, qualora lo Stato perdesse il suo ruolo di monopolista, oppure non riuscisse ad evitare la contraffazione della valuta, in quel momento perderebbe la possibilità di obbligare il settore privato a lavorare per sé: banalmente, il settore privato troverebbe il modo di pagare le tasse con valuta, rispettivamente, generata internamente o contraffatta.

Il risultato dell’analisi cartalista, oggi particolarmente evidente, è che la moneta non sia affatto “neutrale”. In altre parole, lo Stato, che lo sappia o meno, che lo voglia o meno, ha un ruolo centrale ed ineliminabile nella determinazione delle variabili macroeconomiche.

Ma nulla, nella storia, è mai stato frutto del caso, nemmeno l’elaborazione della teoria neoclassica. È evidente che la rappresentazione neoclassica della realtà sia molto più digeribile da parte delle classi subalterne, poiché nasconde la natura conflittuale dell’economia monetaria, e dunque anche dell’economia capitalista, che è un particolare caso di economia monetaria. Le classi subalterne, pur avvertendo un disagio economico, non sanno a chi e cosa attribuire la causa delle proprie sfortune, e finiscono per farsi la guerra a vicenda. Il sogno dell’odierna classe dominante, l’alta borghesia esportatrice.

Conclusioni

Dovrebbe essere più chiaro, ora, il motivo per cui abbiamo cominciato a parlare di Bitcoin e siamo finiti con il parlare di teoria economica. Chi pensa che le “cripto-valute”, per il fatto di non essere soggette al monopolio dello Stato, siano la soluzione alla perdurante crisi economica del nostro tempo, si sbaglia di grosso, perché trascura gli stessi fenomeni di fondo che vengono trascurati nella teoria neoclassica.

Da un lato, in presenza dell’imposizione della tassazione in moneta di Stato, qualsiasi oggetto diverso dalla moneta di Stato, Bitcoin compresi, non potrebbe risolvere il problema della disoccupazione o della bassa crescita. Si può pensare di fornire al settore privato qualsiasi tipo di bene reale o finanziario, ma se la popolazione ha bisogno di moneta di Stato per pagare le tasse, solo il monopolista della valuta può concederla. In caso contrario, qualcuno ne resterà a corto, rimanendo disoccupato.

D’altro canto – ma qui stiamo entrando nella sfera delle fantasie – eliminare la moneta di Stato significherebbe senz’altro eliminare il controllo dello Stato sull’economia, ma non significherebbe affatto eliminare i rapporti di forza e i conflitti di classe in essa presenti. A quel punto verrebbe a mancare l’unica mediazione oggi presente nel conflitto. Verrebbe a mancare la possibilità di far valere democraticamente le posizioni delle classi subalterne per poi sfruttare il monopolio della valuta nel loro interesse. L’unica legge a valere, a quel punto, sarebbe la legge del più forte.


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