Il Commento

Si chiamava Michele e sapeva di non avere colpa

Si chiamava Michele e sapeva di non avere colpa

Michele si è ucciso il 31 gennaio scorso a Udine. Trentuno anni e una vita di precariato, a Udine. Udine come Caltagirone, come Cagliari, come tutte le altre città d’Italia.

Ha scritto in una lettera le sue motivazioni e un ultimo pensiero ai genitori. È più di una lettera personale di addio, perché esprime il senso di sconfitta di una generazione, la generazione del 40% di disoccupazione giovanile. I genitori hanno scelto di farla pubblicare perché il gesto del figlio è l’epilogo di un dramma che non è solo personale, ma collettivo.

“Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.”

“Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.”

“Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.”

È l’amara lucidità di aver capito che non ha avuto una colpa personale nel non avere avuto un presente e un futuro certo.

Non è colpa di chi muore. La tanto vuota quanto crudele retorica del “futuro è nelle tue mani” è spazzata via dalla realtà. La disoccupazione non è una colpa dei disoccupati. Costringere le persone ad andare al minimo, come dice Michele, è la scelta voluta e attuata da chi sostiene le politiche di austerità.

Non è colpa di chi muore, di chi è costretto a subire uno scenario di privazione, di austerità permanente, di volontà politica di mantenere la disoccupazione alta perché è più importante la stabilità dei prezzi.

Non lo abbiamo conosciuto, non sappiamo niente di lui e ringraziamo i genitori di aver pubblicato la sua lettera, il suo atto di ribellione. Un atto di denuncia violento quanto diretto. Una freccia dritta al cuore del problema.

Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità.

La lucidità di Michele poteva essere rafforzata all’interno di una battaglia comune, ma ognuno è carico di un proprio vissuto e ognuno ha un proprio modo di dire no. Rispettosi di quel dolore e di quella scelta, vorremmo dire a Michele che il nostro impegno si muove in quella direzione: il diritto alla felicità.


Crediamo nella libera circolazione del sapere. Ogni nostro progetto è fruibile gratuitamente e realizzato in forma volontaria dagli attivisti di Rete MMT Italia. Se ti è piaciuto, premiaci con una libera donazione.

Commenta