Piena occupazione e Stabilità dei Prezzi: l’impossibile razionalità dello Stato? Un commento a "Full Employment and Price Stability" di Warren Mosler

Piena occupazione e Stabilità dei Prezzi: l’impossibile razionalità dello Stato?

Un commento a “Full employment and price stability” di W. Mosler

Paper presentato presso l’Università degli studi di Bergamo, corso di Economia Monetaria.

Il 20/04/2015, nell’ambito del seminario interuniversitario su “Full Employment and Price Stability”.

Coordinamento scientifico: Prof.ssa Anna Maria Grazia Variato.

Relatori: Prof. Warren Mosler, Visiting professor Università di Bergamo; Prof. Stefano Lucarelli, Università di Bergamo; Dott. Daniele Basciu, Resp. Scientifico Ass.ne Rete MMT; Prof. Damiano Silipo, Università della Calabria; Prof. Riccardo Bellofiore, Università di Bergamo.


Introduzione

In accordo con l’autore della proposta, Warren Mosler, sebbene la piena occupazione non costituisca la soluzione per tutti i problemi che lo Stato deve affrontare, la disoccupazione è di per sé senza dubbio un problema rilevante che potrebbe essere gestito da un intervento razionale da parte del Governo emettitore della propria valuta in regime di monopolio. Se diamo attenzione all’elevato numero di vite seriamente danneggiate o distrutte a causa della disoccupazione involontaria, possiamo affermare che l’assenza di intervento contro la disoccupazione potrebbe essere definita un crimine contro l’Umanità. La piena occupazione desiderabile dovrebbe inoltre essere intesa come orientata verso obiettivi pacifici (con il rifiuto di scopi bellici) e finalità pubbliche.

In aggiunta, i venti milioni di disoccupati attualmente esistenti costituiscono di certo il più serio e urgente problema oggi nel sistema economico dell’Eurozona.

Sebbene la struttura dell’area Euro sia atipica a causa della scissione tra autorità fiscale degli Stati (utilizzatori della valuta) e autorità monetaria della BCE (emettitore della valuta), la disoccupazione non è caratteristica esclusiva degli stati Euro, né fenomeno esclusivo delle fasi di crisi economica. La disoccupazione esiste anche fuori dall’area Euro, ed è riscontrabile anche nelle fasi economiche espansive; è stata un problema critico anche durante il “Miracolo economico” dell’Italia negli anni 1960-70.

Come illustrato dalla Mosler Economics Modern Money Theory [ME/MMT] (ed evidenziato di seguito) la disoccupazione nelle economie monetizzate è conseguenza della tassazione e della quantità insufficiente della valuta di Stato, e sebbene possa apparire ineliminabile, una adeguata conoscenza dei sistemi monetari moderni potrebbe rendere possibile un intervento adeguato. Esistono molti punti in comune tra ME/MMT e prospettive Keynesiane e Post-Keynesiane. La ME/MMT accoglie e include il punto di vista circuitista, aggiungendo il proprio fondamentale contributo: il ruolo dello Stato come emettitore monopolista degli attivi finanziari netti, e fonte dei prezzi nominali nella valuta di cui è monopolista.

Si noti che questo è un punto solitamente critico per coloro che hanno un primo approccio con l’analisi ME/MMT. A causa dell’abitudine al concepire il prezzo dei beni espresso in valuta come unità di conto, gli “studenti ME/MMT” agli inizi potrebbero avere qualche difficoltà nel ragionare nei termini dei due prezzi della valuta [1] (specialmente con riferimento al prezzo della valuta espresso in ore di lavoro retribuito). La conseguenza logica è che la ME/MMT considera correttamente lo Stato (ed anche l’attività d’impresa) come un soggetto che “utilizza” lavoro, e non come un soggetto che “concede” un posto di lavoro. Rispetto alla narrativa mainstream questa è un’inversione semantica cruciale, che sottolinea come il lavorare sia un costo reale per il lavoratore, e come il posto di lavoro retribuito non sia una “cortesia” concessa dal datore di lavoro.

Comprendere il ruolo dello Stato è fondamentale per capire che solo il monopolista della valuta, che crea la disoccupazione, può (e dovrebbe) razionalmente raggiungere la piena occupazione a proprio piacimento. Dall’altro lato, analisi scorrette riguardo le cause della disoccupazione costituiscono la base per soluzioni inadeguate che non risolvono il problema e possono in aggiunta esacerbare altri punti critici, o innescare problematiche nuove e non evidenti.

Questo documento tenta di offrire un punto di vista basato su alcuni strumenti resi disponibili da Full Employment And Price Stability e dalla letteratura ME/MMT e Post-Keynesiana, confrontando la proposta del “Datore di lavoro di ultima istanza” (ELR) con alcune delle misure più comunemente adottate (di solito non in modo coordinato) orientate a supportare i livelli occupazionali ed intervenire sulla stabilità dei prezzi, mostrando la struttura profondamente differente e le implicazioni manifeste e nascoste di questi approcci paragonati all’ELR in termini di obiettivi, produzione e risultati, costi, implicazioni politiche. Una certa attenzione sarà riservata ad alcuni punti significativi del caso italiano.

1 — Piena Occupazione e Stabilità dei Prezzi (FEPS), la struttura concettuale

Il framework FEPS sviluppa un punto chiave già presentato dall’autore nel suo “Soft Currency Economics” [2] e rende chiaro che l’intervento di deficit spending da parte del monopolista dalla valuta X è istituzionalmente necessario per ottenere la coesistenza di piena occupazione e pieno soddisfacimento del desiderio di risparmiare attivi finanziari netti (NFA) denominati in valuta X. I risparmi che non sono compensati da equivalente spesa in deficit da altri soggetti portano a cadute della domanda aggregata che causano incremento delle scorte di magazzino, riduzione della produzione, capacità in eccesso, licenziamenti di massa e crescente disoccupazione, con aumento dei lavoratori licenziati in cerca di impieghi retribuiti. I deficit del settore privato non creano in aggregato risparmi finanziari, mentre la spesa in deficit da parte del monopolista della valuta X permette al settore privato l’accumulazione di asset finanziari netti e la piena occupazione, rimpiazzando le cadute della domanda aggregata con domanda in deficit da parte dello Stato.

Una definizione esatta di “piena occupazione” è cruciale. L’ILO stabilisce che si ha piena occupazione quando:

  1. C’è lavoro per tutte le persone che vogliono lavorare e sono in cerca di lavoro;
  2. Tale lavoro esprime tutta la produttività possibile;
  3. I lavoratori hanno la libertà di scegliere l’occupazione e ogni lavoratore ha le possibilità di acquisire le abilità necessarie per essere impiegato nella posizione che maggiormente gli è confacente, utilizzando tali abilità e le altre qualifiche che ha raggiunto.

La disoccupazione non soddisfa il punto 1), mentre la sottoccupazione [3] non soddisfa il punto 2) o 3).

Da notare che questa definizione non contempla il ruolo della distanza fisica (e fenomeni migratori connessi) tra persone in cerca di occupazione retribuita, e l’occupazione retribuita. “C’è un lavoro pagato…” dove? Ciò implica diversi punti critici riguardo finalità pubblica e politiche economiche.

Ad ogni modo, la definizione precedente appare piuttosto simile allo standard ottimale quale descritto da Parguez [4]:

“si ha quando tutti coloro che hanno necessità di lavorare per raggiungere le aspettative di consumo socialmente ritenute normali (senza alcuna esclusione dallo standard di vita dominante) nel lungo periodo, sono in condizioni di ottenere un lavoro che li remuneri con un reddito sufficiente o dal settore privato in condizioni normali (al di fuori delle aspettative di profitto di lungo periodo) o dallo Stato (tutti i livelli).”

Generalmente, nel discutere varie ipotesi [5] di Datore di Lavoro di Ultima Istanza e in relazione alle opzioni retributive, possiamo vedere un “range della piena occupazione” da Retribuzione bassa a Retribuzione alta.

La proposta FEPS è relativa a uno standard di lavoro retribuito a salario minimo. Questo standard è sotto lo standard di piena occupazione ottimale come sopra descritto. Ad ogni modo potrebbe essere stabilito come “livello retributivo fissato ben al di sopra del salario minimo sulla soglia di povertà” (A. Parguez) [6].

Questo non è da intendersi come “il livello retributivo dell’intero settore pubblico”, dal momento che questo settore è un concetto più ampio di ciò che riguarda il Datore di lavoro di ultima istanza e dovrebbe includere tutte le industrie, forniture e reti strategiche sulla base di una valutazione politica [7], e FEPS rifiuta esplicitamente la sostituzione dei dipendenti pubblici pagati con salari più elevati fatta per mezzo del “workfare”.

Come monopolista, lo Stato di fatto fissa il valore della valuta esprimendolo in unità (ore) di lavoro retribuito, e lascia che la quantità fluttui per soddisfare la domanda al prezzo fissato. La logica conseguenza è che bilanci pubblici e deficit non possano essere predeterminati, ma risultino da tale processo di adattamento sopra descritto.

In ogni definizione, ed anche nella proposta di FEPS, la piena occupazione è molto differente da una mera redistribuzione statistica della disoccupazione che laddove si verificasse potrebbe essere presentata come “incremento dell’occupazione” nei report ufficiali. Riassumendo, i punti caratteristici della proposta FEPS sono che:

  • la piena occupazione è un obiettivo prioritario per motivazioni etiche e come àncora della stabilità dei prezzi;
  • si fonda sui deficit pubblici e sulla creazione di asset finanziari netti;
  • è intesa come orientata a finalità pubbliche;
  • non dovrebbe implicare un incremento significativo nel consumo di materiali e risorse non rinnovabili.

2 — Eurozona e struttura italiana

L’attuale struttura dell’eurozona limita i deficit pubblici e impone agli Stati membri di ottenere la riduzione dei rapporti Debito Pubblico/PIL, in un sistema “robotizzato” [8] posto completamente fuori dalla discussione programmata nell’agenda UE.

La BCE è l’emettitore monopolista dell’euro ma in osservanza del proprio ruolo di Banca Centrale non può compensare i risparmi che causano le cadute di domanda nell’economia reale Eurozona. In aggiunta, la BCE non rende disponibile una garanzia esplicita sui debiti pubblici degli Stati membri [9]. Se la BCE fornisse tale garanzia formalizzata, questi debiti così garantiti potrebbero essere considerati quali “base monetaria” [10] e gli Stati membri sarebbero in condizioni di poter espandere i propri deficit senza timore di default. Sfortunatamente tale misura non esiste e l’Eurozona resta un sistema in cui il monopolista non compensa i risparmi del settore privato, causa delle cadute di domanda aggregata e dei conseguenti 20 milioni di disoccupati [11]. Si noti che l’Eurosistema di per sé potrebbe tecnicamente essere adeguato in maniera tale da permettere i deficit appropriati [12]. Sebbene l’architettura Euro crei e consolidi la disoccupazione da progetto, dobbiamo evidenziare che l’Italia potrebbe avere lo stesso destino anche successivamente ad un’ipotetica euroexit/euro rottura. L’attuale assetto Costituzionale italiano pare un triste e perfetto case-study in cui si materializza una sorta di “Triello”, il duello con tre partecipanti simile a quello mostrato dal famoso western italiano “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”, in cui almeno uno dei tre duellanti dev’essere ucciso. La Costituzione Italiana stabilisce che l’Italia è una “Repubblica fondata sul lavoro” (Art. 1), e che il lavoratore ha il diritto a una “retribuzione sufficiente a permettere una vita dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia”. Dichiara inoltre che lo Stato garantisce l'”incoraggiamento e il supporto ai risparmi in ogni forma” [13].

Come visto sopra, la logica conseguenza dovrebbe essere l’impegno dello Stato in favore di deficit appropriati al fine di compensare le cadute di domanda aggregata causate dei risparmi finanziari, prevenendo la disoccupazione involontaria perlomeno nei termini previsti dall’Art. 1 che paiono essere molto vicini alla formulazione FEPS.

Ma l’articolo 81 (come modificato nel 2012) [14] della Costituzione italiana, stabilendo l’impegno verso conti pubblici in pareggio (conformemente alla governance europea), opera contro il ruolo dello Stato in favore della piena occupazione e del soddisfacimento dei desideri di risparmio di Asset Finanziaria Netti [15]. L’assetto costituzionale italiano limita formalmente il ruolo del monopolista e prepara un futuro di ulteriore austerità e disoccupazione. I risparmi finanziari per il settore Privato interno possono essere resi disponibili solo dal settore Estero (che al momento non può essere detentore di Asset Finanziari Netti denominati in una valuta che ancora non esiste!!!).

Oggi la Costituzione Italiana pare collocata in una grave contraddizione intrinseca, posta di fronte a un triello con sé stessa, dal momento che lo Stato non può garantire nello stesso tempo piena occupazione con una retribuzione che consenta di vivere, risparmi finanziari, conti pubblici in pareggio. Almeno uno di questi tre punti deve essere eliminato, e se questo non dovesse accadere nel disegno Costituzionale, accadrà comunque nella realtà dei fatti.

3 – Alternative ad un sistema organico di piena occupazione e stabilità dei prezzi. Linee generali.

Pareggio di bilancio nei conti pubblici e politiche dal lato dell’offerta di lavoro ovviamente non saranno qui considerati come “alternativa” all’ELR, dal momento che queste politiche sono chiaramente fondate sui principi di un’economia agraria (risparmi che precedono gli investimenti), incompatibili come un’economia monetaria moderna, come l’Eurozona sta rendendo chiaro [16].

Considereremo le politiche poste in essere in Occidente dopo la 2° G.M., specialmente dagli anni 1970 in poi. Possiamo osservare varie fasi storiche in vari Stati che presentano livelli (ufficialmente?) indesiderati di disoccupazione anche in fasi di crescita economica. Nonostante la loro condizione di monopolisti emettitori di valuta fiat, gli Stati occidentali abitualmente non ponevano come obiettivo esplicito la piena occupazione e stabilità dei prezzi, ed erano soliti considerare i propri deficit di bilancio come obiettivo principale “ufficiale” (che di norma non veniva raggiunto).

In assenza di ELR, le politiche di welfare (o di lavori socialmente utili) sono state quelle più frequentemente adottate come risposta alla disoccupazione. Per supportare i livelli occupazionali, gli Stati occidentali hanno spesso posto in essere un moderato intervento di natura fiscale con un mix risultante da moderato incremento e riallocazione dei deficit pubblici orientati verso una spesa diretta in settori ad alta intensità di manodopera come costruzioni e infrastrutture pubbliche. In aggiunta spesso i Governi hanno adottato politiche di sgravio fiscale in aree d’impresa ad alta intensità d’utilizzo di manodopera, spesso dando (non ufficialmente) sostegno agli esportatori.

Anche interventi di politica monetaria (come svalutazioni volontarie) di solito venivano indirizzati al sostegno dell’export netto. Durante gli ultimi vent’anni le cosiddette “politiche monetarie non convenzionali” sono state adottate con l’obiettivo di facilitare e stimolare l’indebitamento da parte di famiglie e imprese, la correlata crescita di domanda e produzione di particolari beni e l’aumento dei livelli occupazionali in queste aree d’impresa (con possibilità di raggiungere la piena occupazione) come “effetto collatarale”, funzione della crescita del volume d’affari in settori produttivi il cui sviluppo è di solito associato all’incremento dei livelli dell’indebitamento del settore privato. Il miglior esempio può essere l’industria automobilistica, le nuove costruzioni edili, l’intero settore immobiliare. L’aumento dei livelli occupazionali è atteso come associato a crescita economica alimentata dall’incremento dei deficit privati che limitano le cadute di domanda, ed ha una sua logica in termini occupazionali.

Su questo punto esiste una chiara consapevolezza ME/MMT che non deve essere intesa come “prescrittiva”:

È stata la costruzione di nuove abitazioni che è stato il canale principale per permettere agli attori del settore privato di spendere più dei propri redditi. Sì, loro possono spendere anche dirigendosi verso altri beni, ma è molto problematico per tale spesa avere come risultato qualcosa di paragonabile al debito da mutui dei cicli precedenti

[W. Mosler [17]]

Dal lato delle politiche monetarie, il Quantitative Easing (QE) posto in essere da Giappone, USA, UK, ben lungi dall’avere come obiettivo la stabilità dei prezzi, nella visione mainstream è stato erroneamente interpretato come “iniettare liquidità”. BoE stessa ha dichiarato [18] che

Questa iniezione di cash riduce i costi dell’indebitamento e spinge verso l’alto i prezzi per sostenere la spesa ed ottenere che l’inflazione torni ai valori obiettivo

influenzando il sentiment dei mercati e innalzando il livello dei prezzi del settore immobiliare per stimolare l’indebitamento collegato a questo tipo di asset. C’è ampia letteratura MMT [19] e di altri autori [20], ed evidenze empiriche che espongono il nonsense e il fallimento del QE riguardo il suo target ufficiale di “aumento dei prestiti”.

Il punto centrale è che il QE non è uno strumento fiscale, essendo un asset swap che non ripristina livelli adeguati di domanda aggregata e non crea NFA (Asset Finanziari Netti). Ad ogni modo mostra un aspetto interessante: l’evidenza che le Banche Centrali (che possono essere considerate Soggetto Pubblico) non possano “finire i numeri e i bit sui loro personal computer”, e possano tecnicamente espandere i propri bilanci senza limiti. Che è logica evidenza del fatto che l’emettitore non possa “terminare i numeri” (anche se in questo caso stiamo parlando di riserve bancarie che non fluiscono all’interno dell’economia reale). Il problema è che dopo la Crisi Finanziaria Globale del 2008 il QE è stato introdotto contemporaneamente all’adozione di ampi deficit pubblici [21] e il risultato di questi deficit è stato confuso nei media mainstream come risultati del QE. Conseguentemente, i media mainstream hanno proclamato a gran voce che l’Eurozona avesse “bisogno del QE” per replicare la ripresa USA, mentre in realtà l’Eurozona aveva necessità di deficit più ampi.

Bank of England consolidated balance sheet

Fonte: Bank of England, 2013

Osserveremo probabilmente in Eurozona i risultati del primo QE condotto in assenza di deficit, e certamente saranno un fallimento per l’economia reale.

Ci sono alcuni punti in comune in tutti questi approcci. Prima di tutto, la piena occupazione non è un obiettivo primario; non è considerata come fondamento della stabilità dei prezzi: spesso si fa affidamento a deficit privati e finalità private. Non c’è da parte del monopolista della valuta una creazione pianificata di NFA come strumento principale d’intervento (ad ogni modo, anche se queste politiche non pongono come obiettivo primario la piena occupazione, si focalizzano sul problema della domanda e comportano in una certa misura dei deficit pubblici, ottenendo qualche successo. Con la cosiddetta “Era Tatcheriana” [22] iniziò la definitiva contro-riforma keynesiana che ha come risultato oggi i Governi che pongono come obiettivo pareggi/surplus di bilancio pubblico).

Riguardo il QE, si noti che in modo esplicito non pone come obiettivo la “stabilità dei prezzi“, ma piuttosto il contrario, come sopra scritto. (Comunque vent’anni di QE dimostrano che creare “inflazione a piacere” sia piuttosto difficile per una banca Centrale [23]).

4 – Il caso italiano

Prestando attenzione al caso italiano durante gli anni 1960-80, possiamo notare che la disoccupazione è stata in vari gradi una costante, anche nelle fasi di crescita economica. Durante i tardi anni 1960 l’evoluzione del sistema produttivo causò in un certo grado l’espulsione del livello inferiore dei lavoratori non qualificati dalla forza lavoro occupata. A dispetto della legge Costituzionale, lo Stato non progettò mai un sistema di Datore di lavoro di ultima istanza.

Con l’eccezione del sistema delle “Partecipazioni Statali” [24], la scelta politica per affrontare la disoccupazione fu un’elevata tolleranza verso aree semi-regolari/irregolari di attività economica capaci di impiegare i lavoratori non qualificati espulsi dalle imprese con un livello di know-how più elevato. Questo processo permise una profonda riorganizzazione delle grandi imprese senza troppi sommovimenti sociali, coinvolgendo decentramento produttivo, industria edilizia privata, licenze edilizie semi-irregolari, varie forme di occupazione retribuita parzialmente o totalmente irregolare. Tolleranza simile fu riservata alle piccole imprese orientate all’export, che è un obiettivo in termini di asset finanziari netti resi disponibili dal settore estero. Va notato che essendo questa scelta una agevolazione fiscale “non dichiarata esplicitamente” in effetti aveva come risultato dei deficit pubblici non programmati, a causa della correlata evasione fiscale [25]. In aggiunta, può essere riconosciuta una elevata tolleranza normativa come facilitazione in favore di varie forme di inefficienti micro unità di business commerciale che spesso erano avviate da lavoratori precedentemente licenziati [26].

Laddove erano disponibili risorse naturali, venivano depredate e vendute (es: attività di bracconaggio) o “trasformate” (aree verdi incendiate per essere poi riclassificate come aree destinate a fabbricazione) al fine di diventare disponibili per le attività che potevano “creare lavoro”.

Un’altra strategia, fino ad oggi, è stata la allocazione di industrie pubbliche e private con elevato impatto ambientale in aree con elevata disoccupazione, imponendo su queste aree costi allora non percepiti, che divennero chiari solo con l’obsolescenza e chiusura di queste industrie al termine del loro ciclo di business. La reazione “NIMBY” (Not in my backyard – “Non nel mio giardino”) si trasformò in “PIMBY” (Please in my backyard – “Per favore, nel mio giardino”, se crea qualche posto di lavoro retribuito!) [27].

In ultimo, non per importanza, nella maggior parte delle aree sottosviluppate, la disoccupazione ha offerto (in certa misura) un bacino di riserva di lavoratori disponibili per attività criminali. Il ruolo delle organizzazioni criminali come Mafia, Camorra e Ndrangheta potrebbe essere oggetto d’analisi da questo punto di vista. A partire dal “monopolio della violenza fisica” [28] della Mafia in alcune aree, è possibile interpretare l’organizzazione criminale come emettitore monopolista di asset finanziari in favore della sua “area di governo”, organizzazione che deve approvvigionarsi di forza lavoro, e fissa il prezzo corrente della valuta per il suo bacino di riserva di lavoratori generici, bacino dalle dimensioni oscillanti.

E potremmo considerare tale sottosistema criminale come forza che tecnicamente opera contro la “mobilità dei lavoratori” che può essere definita come fenomeno di migrazione interna (da sud a nord Italia) causata dalla carenza di asset finanziari netti richiesti dal settore privato nel sud del paese.

Riguardo il “prezzo àncora” in assenza del ruolo di monopolista consapevole giocato dallo Stato, dovremmo cercare di identificare un’alternativa possibile e parziale di “sistema àncora”.

Il Governo “inconsapevole” fissa un “inconsapevole” prezzo àncora? Non esistendo un “salario minimo” chiaramente identificabile dovremmo tentare di individuare un “livello minimo” alternativo. Un’ipotesi è che si possa identificare in una percentuale della pensione minima di anzianità, tale che possa operare come “livello minimo” effettivo di reddito percepito in una sorta di “canale reddituale nascosto” che le persone in pensione trasferiscono ai propri figli quando questi perdono l’occupazione retribuita e perdono le indennità di disoccupazione a causa del decorso dei termini, permettendo loro di sopravvivere utilizzando una quota della pensione disponibile, in una sorta di equilibrio instabile, essendo il livello pensionistico minimo un vero e proprio reddito di sussistenza privo di margini sostanziali. Se il Governo (o il settore privato) riesce ad assumere queste persone pagando loro un importo appena superiore, opera in tal senso, e queste persone sono una sorta di “buffer stock” (in assenza di organizzazioni criminali che fissino un livello più elevato di salario minimo!). Questa ipotesi non combacia con il modello del monopolio, ma potrebbe suggerire che un Governo che non incrementi i livelli di pensione minima stia tristemente utilizzando questo strumento come “prezzo àncora”.

I dati empirici inoltre suggeriscono che in Italia i prezzari di riferimento per i lavori pubblici (pagati dallo Stato per le forniture pubbliche) in molti settori sono stati fondamentalmente stabili durante gli ultimi dieci anni; questo potrebbe aver operato nel senso della stabilità dei prezzi, e i ribassi nelle forniture pubbliche potrebbero essere considerate come “aggiustamenti” della quantità di beni/servizi che il settore privato intende vendere allo Stato in cambio della valuta ad un prezzo prefissato.

[Il paniere di tutti questi prezzi può essere considerato un elemento àncora per il livello generale dei prezzi, ed è intrinsecamente deflazionistico, dal momento che per lo più in sede d’asta il limite inferiore dei ribassi ammessi è calcolato prendendo come riferimento la media dei ribassi stessi offerti e questo porta a un costante scivolamento verso il basso. I prezzi correnti nel settore privato si adegueranno e non supereranno, per le medesime forniture, quelli pagati dal settore pubblico.

Laddove esistesse un settore pubblico pronto ad acquistare tutti i beni/servizi disponibili per il prezzo prefissato, il settore privato non potrebbe di fatto offrire prezzi inferiori per gli stessi beni/servizi.

Questo argomento sarà oggetto di approfondimenti futuri, NDR]

5 – Costi e conseguenze nascoste dell’assenza di ELR

Queste misure “spurie” che sono state poste in essere al posto del sistema ELR appaiono sostanzialmente pro-cicliche, e di conseguenza inadatte a giocare il ruolo anti-ciclico e stabilizzante proprio dell’ELR.

In aggiunta, le evidenze empiriche ci dicono che questi interventi non hanno raggiunto la piena occupazione neanche nelle fasi di sviluppo economico.

I danni manifesti derivanti da disoccupazione massiccia e persistente sono ben noti: il gap tra capacità produttiva e standard di vita potenziali ed effettivi, disagi familiari, alcoolismo, etc.

Ma le soluzioni “spurie”, mentre riducono la disoccupazione, implicano rilevanti e negative esternalità e distorsioni:

  • Elevati costi in termini di consumo di risorse non rinnovabili (edilizia: consumo incontrollato del territorio, crescita abnorme delle “seconde case”, sviluppo disfunzionale delle città, etc);
  • Effetti pro-ciclici che potenzialmente hanno come esito bolle inflattive / crediti subprime;
  • Supporto ad aree di business che consolidano la propria influenza politica ma sono tecnologicamente mature e non strategiche in termini di finalità pubbliche;
  • Supporto al moral hazard e forme di welfare distorte;
  • Spazi a disposizione delle organizzazioni criminali che possono impropriamente giocare il ruolo di monopolista della valuta.

Per tacere del fatto che l’incremento del livello dei prezzi nel settore immobiliare, laddove prenda piede, opera contro la stabilità dei prezzi e riduce il reddito reale disponibile per i lavoratori che impegnano una quota significativa del loro reddito per acquistare/affittare l’abitazione di residenza.

L’intero framework appare profondamente contrario alla logica ELR, che è quella di rendere disponibili servizi pubblici utili alla collettività, incrementando gli standard di vita reali e realizzando esternalità positive (quale l’incremento della sostenibilità ambientale [29].

Così se consideriamo che la proposta ELR elimina non solo buona parte dei trasferimenti assistenziali ma anche molte delle esternalità negative che provengono dagli interventi sopra indicati, la sua razionalità appare più chiaramente. E dovremmo aggiungere che lo Stato che opera come “monopolista consapevole” innalzando il livello retributivo del buffer stock potrebbe spiazzare le aree di business che pagano salari troppo bassi [30], e questa sarebbe una scelta di certo razionale in termini di “finalità pubbliche”. Al tempo stesso l’esistenza di un efficiente sistema ELR sarebbe un aspetto fondamentale (anche se non l’unico) in una strategia di successo contro le organizzazioni criminali, che soffrirebbero lo stesso spiazzamento, perdendo il loro “bacino di riserva” di manodopera illegale. Dall’altro lato, Full Employment And Price Stability dichiara che

il bacino di lavoratori dell’ELR dovrebbe rendere effettivo un vincolo sugli incrementi retributivi nel settore privato non correlati ad aumenti di produttività

ma questo è un rischio meramente ipotetico, dal momento che i dati empirici mostrano che durante gli ultimi 15 anni nei paesi sviluppati la crescita della produttività dei lavoratori è stata regolarmente superiore all’incremento dei salari reali, come sotto illustrato:

Schema comparativo interventi (Daniele Basciu)

Conclusioni: una razionale irrazionalità nell’assenza di ELR

Concludendo, essendo l’opzione ELR “razionale”, perché lo Stato è “irrazionale” e non sceglie di svolgere il proprio ruolo di Datore di lavoro di ultima istanza?

Forse la sua irrazionalità è propria di ogni soggetto organizzativo e riflesso della “Razionalità limitata” tipica dell'”homo organizzativo”, come il premio Nobel (1978) H. Simon [31] sottolineava cinquant’anni fa, rifiutando l’idea neoclassica di “homo oeconomicus”. E potrebbe essere l’esito di scelte guidate da decisori politici espressi da gruppi economico-sociali che non si preoccupano di elevati livelli di disoccupazione e della caduta dei redditi delle classi più basse (il caso attuale degli “esportatori che prendono il controllo” [32]), o che consapevolmente rinunciano a una parte dei propri profitti potenziali a causa della caduta della domanda interna in cambio di un più elevato potere “politico” collegato al loro ruolo di oligopolisti che controllano una risorsa scarsa: moneta in cambio di occupazioni retribuite. Gli “Aspetti politici della piena occupazione” [33] sottolineati da Kalecki sembrano essere problemi tutt’ora attuali, e sono probabilmente “il” problema, in considerazione del fatto che Piena Occupazione e Stabilità dei Prezzi sono tecnicamente possibili e razionali in termini di finalità pubbliche. Per certo l’ELR di per sé rimuoverebbe mercato e conflitto di classe nel proprio spazio, trattandosi dello spazio d’azione di un monopolista. Probabilmente rafforzerebbe la posizione dei lavoratori nel settore privato, dal momento che avrebbero un’alternativa alla disoccupazione o ad occupazioni sottopagate che li porterebbero alla fame. Come più volte sottolineato dall’autore, il ruolo dell’ELR in questa proposta è inteso come orientato a predisporre un “lavoro di transizione”, non un’occupazione permanente. Questo potrebbe essere un punto socialmente critico, e l’autore sembra consapevole del pericolo che l’esistenza di lavoratori occupati a lungo termine nel sistema ELR potrebbe replicare ad un livello più elevato l’esclusione sociale patita dai disoccupati. Al tempo stesso ci si dovrebbe attendere che l’elevato turn-over e frequenza di rotazione dei lavoratori nel programma ELR sarebbe un buon segnale (sintomo di elevato fabbisogno di lavoratori nel settore privato, tempi di disoccupazione limitati), questo è un limite organizzativo nella pianificazione di attività complesse nell’ambito dei programmi ELR, che dovrebbe considerare problemi collegati alla sostituzione frequente dei lavoratori coinvolti.

Si noti che limitare la prospettiva ME/MMT alla piena occupazione è riduttivo, e la piena occupazione dovrebbe essere considerata uno “standard minimo” di civilizzazione ed un intervento imperativo di emergenza nella nostra società. Ad ogni modo l’ELR è solo una parte della proposta MMT e non esaurisce le opzioni del monopolista della valuta riguardo le sue scelte politiche e la “dimensione ottimale” dello Stato.

Il triste paradosso sembra essere il fatto che oggi gli esportatori guidano Governi, economie, mass media ovunque, indebolendo un pezzo per volta la posizione dei lavoratori. L’ELR è uno strumento razionale che migliorerebbe gli standard di vita comune e rafforzerebbe la posizione dei lavoratori, ma richiede una classe lavoratrice forte e già ben rappresentata politicamente per essere implementato, e questa rappresentanza politica oggi non esiste. La lezione ME/MMT è che la moneta di per sé non è un problema. I vincoli materiali e le scelte politiche sono il problema effettivo. Lo Stato che pone come obiettivo la piena occupazione deve operare come fece il regista Sergio Leone riguardo la scena finale de “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”. Al termine del Triello, il Buono (Piena occupazione), uccide il Cattivo (Pareggio di bilancio), ed ordina al Brutto (Spesa in deficit e risparmi privati) di scavare un buco, profondo quanto necessario. Il Cattivo, sotto la minaccia di una pistola, obbedisce, ed alla fine entrambi (Il Buono e il Brutto) restano in vita, e ricchi. È una scelta politica.

 

Note dell’Autore

1.^ W. Mosler, A monopolist sets two prices. The first is what Marshall called the ‘own rate’ which is how your product exchanges for itself. For the currency this is called the interest rate. The second is how it exchanges for other goods and services. The monopoly supplier sets terms of exchange. And with the govt also the creator of the nominal demand via taxes, it controls that side as well., 2009

2.^ W. Mosler, Soft Currency Economics, 1994

3.^ W. Mitchell, Full employment definition, 2012

4.^ A. Parguez, Beyond the veil of the financial crisis. The butterfly theorem or how to reconstruct out of a genuine New “New Deal” a stable long-run true growth, 2009

5.^ M. Seccareccia, What type of full employment? A critical evaluation of elr policy proposal, 2004

6.^ A. Parguez, Full Employment, The Value of Money and Deficit Financing: The Theoretical Foundations of the Employer of Last Resort Approach within a Circuitist Framework, 1998

7.^ W. Mosler, The seven deadly innocent frauds of economic policy, 2010

8.^ G. Guarino (with preface of J. Galbraith), Saggio di verità sull’Europa e sull’Euro 2, 2014

9.^ A. Terzi, The Eurozone crisis: a debt shortage as the final cause, 2015

10.^ W. Mosler, Defining “Base Money” with floating fx- The Great Reframation, 2013

11.^ A. Terzi, The austerity chart that’s worth 1000 words, 2014

12.^ W. Mosler, Economia, Europa e moneta unica; quali scenari?, 2015

13.^ Costituzione ItalianaArt. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito (…)”

14.^ Parlamento Italiano, Il pareggio di Bilancio in Costituzione, 2012

15.^ Costituzione ItalianaArt. 81: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico (…)”

16.^ A. Parguez, The expected failure of the european economic and monetary union: a false money against the real economy, 1998

17.^ W. Mosler, Pending home sales and why housing matters, 2014

18.^ Bank of England, Quantitative easing (qe) – injecting money into the economy, 2009

19.^ W. Mosler, QE is bad for banks, 2013

20.^ A. Parguez, The impotence of monetary policies. An Andersen tale, 2010

21.^ D. Basciu, Il segreto è la spesa, non la banca centrale, 2014

22.^ W. Mosler, My story of the Tatcher era, 2013

23.^ W. Mosler, MMT to the ECB: you can’t inflate even if you wanted to, 2011

24.^ G. Sapelli, Storia economica dell’Italia contemporanea, 2008, Ed. Mondadori

25.^ P. Di Lorenzo, L’evasione fiscale in un modello di circuito monetario, Ministero dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle Entrate, 2007

26.^ A. Graziani, Lo sviluppo dell’economia italiana, 2000, Ed. Bollati Boringhieri

27.^ L. Pagni, E-ON, arresti per la centrale in Sardegna. Inquinamento nel paradiso di Stintino, Repubblica.it, 18.4.2015

28.^ D. Gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, 1994, Ed. Einaudi

29.^ M. Forstater, Full Employment and Environmental Sustainability, 2001

30.^ L. Randall Wray, How to Eliminate the Scourge of Unemployment: Jobs Now at a Living Wage, 2014

31.^ H. Simon, A Behavioral Model of Rational Choice, 1955

32.^ W. Mosler, Warren Mosler discusses Greece and the ECB, The Financial Exchange webradio, 2015

33.^ M. Kalecki, Political Aspects of Full Employment, 1943

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