L'Editoriale

Ogni volta guardano l’orizzonte sbagliato. Oggi è la rioccupabilità

Ogni volta guardano l'orizzonte sbagliato. Oggi è la rioccupabilità

Quando si sbloccheranno i licenziamenti, la mole di cassa integrazione va trasformata in strumenti che consentano una riorganizzazione delle imprese che non impatti sulle persone. Andranno quindi sostenuti quei lavoratori che cambieranno posto di lavoro durante la transizione, con un sostegno al reddito, ma la vera sfida è quella della rioccupabilità. E questa si crea rafforzando le competenze. Le imprese avranno sempre più bisogno di collaboratori specializzati, dalle competenze manageriali a quelle funzionali.

Così ha detto Riccardo Di Stefano, Presidente dei Giovani Industriali in occasione del convegno dei GI.

La rioccupabilità è la prossima narrazione-trappola che attende al varco i lavoratori. La narrazione della rioccupabilità distoglie l’attenzione dal contesto macroeconomico per spostarla su chi la subisce, il singolo lavoratore. Viene puntato il dito sulle sue competenze, come se queste fossero la causa della disoccupazione o, al contrario, uno strumento che determinerà la ricollocazione.

Ma sono i mancati consumi a causare la perdita dei posti di lavoro e sarà la ripresa dei consumi a salvare o a ricreare i posti di lavoro. Il miglior operaio specializzato non potrà ricollocarsi in un mercato senza consumi. È il lavoro a creare le competenze e non le competenze a creare il lavoro. Un corso di formazione non consente ai lavoratori di trovare un lavoro che non c’è. Così come non è la formazione ad aiutare un imprenditore a individuare un business profittevole in un contesto che non consuma.

Il perdurare della crisi (al di là delle ottimistiche e insensate previsioni di Gualtieri) richiede ben altro che le soluzioni proposte dai Giovani Industriali.

Si può fermare un’economia senza ucciderla, come ben spiega questo nostro articolo di qualche mese fa, e si può far ripartire l’economia nella direzione di una visione di società moderna anche in tempi di pandemia (come sintetizza l’economista Pavlina Tcherneva nella riflessione “Cosa farebbe Roosevelt“).

L’intervento di Di Stefano si chiude con un avvertimento in riferimento al Recovery Fund: « Non vogliamo essere giudicati dalle generazioni future come quelli che hanno perduto l’ultimo treno per la modernità ». Ma il Recovery Fund non è un treno per la modernità, è un effetto ottico. Sono i Giovani Industriali a dover migliorare le competenze relative alla comprensione del funzionamento della valuta e della macroeconomia. Il rischio è che guardando i lavoratori non rioccupabili non vedano che la crisi è pronta a divorare anche loro.


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