L'Editoriale

No-Euro buono Vs No-Euro cattivo

No-Euro buono Vs No-Euro cattivo

Due approcci differenti all’interno dello stesso schieramento

Il sistema Euro impedisce agli Stati aderenti, che con esso hanno perso il controllo della creazione e distruzione della valuta utilizzata, di aumentare la spesa pubblica e/o diminuire le tasse per stimolare l’economia o fare fronte a calamità naturali.

Anche se passata un po’ di moda, la messa in discussione dell’euro rimane un tema che tende a polarizzare le persone. Nell’immaginario comune l’effetto demarcazione è talmente forte da indurre spesso a due schieramenti: i No-Euro e i Pro-Euro.

L’emotività, il trasporto e la passione politica porta così a coagulare persone dal profilo molto variegato in funzione di un obiettivo comune (tra l’altro parziale), senza che vi sia alcuna attenzione per le diverse linee di ragionamento e le diverse implicazioni. In altri termini si possono ritrovare, nel fronte No-Euro come nel fronte Pro-Euro, soggetti con le più disparate argomentazioni e visioni del mondo.

Un onesto dibattito riguardante la permanenza o meno di un Paese nella zona Euro, necessita innanzitutto della comprensione di quali siano le maggiori differenze all’interno dei due schieramenti. In questo articolo ne analizzeremo una riguardante lo schieramento No-Euro. Una differenza di approcci che spesso viene trascurata, ma che porta ad implicazioni ben distinte.

Il primo approccio riconosce come il sistema Euro vincoli pesantemente lo Stato nella sua capacità di regolare la spesa pubblica e la tassazione. Il sistema Euro in effetti impedisce agli Stati aderenti, che con esso hanno perso il controllo della creazione e distruzione della valuta utilizzata, di aumentare la spesa pubblica e/o diminuire le tasse per stimolare l’economia o fare fronte a calamità naturali (per es. i terremoti). La questione gira quindi tutta intorno alla libertà di un Paese UE di creare investimenti e alla conseguente attivazione delle forze produttive sul territorio. In questa generica direzione si muovono anche i No-Euro aderenti all’approccio MMT (Modern Money Theory), come il sottoscritto.

Il secondo approccio – promosso tra gli altri da Bagnai, Rinaldi e Borghi – punta tutto (o quasi) sulle esportazioni. Non punta sulla domanda interna, sui consumi o gli investimenti pubblici come nel primo caso, bensì sull’export. Per i suoi sostenitori il problema della disoccupazione e della stagnazione va risolto non aumentando i beni e servizi che un Paese può realizzare per sé stesso, ma creando produzione da mandare all’estero. Come? Uscendo dalla zona Euro e puntando a svalutare la valuta nazionale per diminuire il valore delle nostre esportazioni ed aumentare il valore delle merci che importiamo. Una logica guidata dall’export che fa sicuramente l’interesse delle grandi aziende esportatrici, ma non dei lavoratori o delle aziende che vivono principalmente di mercato interno (e tanto meno per il sistema nel suo complesso).

Da ciò si intuiscono i diversi interessi che vengono salvaguardati dalle due componenti che animano il fronte No-Euro. Come detto le implicazioni sono molto diverse.

 

Articolo pubblicato sul numero di maggio 2019 della rivista Bergamo Economia Magazine


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