L'Editoriale

Le nuove modifiche alla contabilità pubblica: operazione riuscita, ma il paziente è morto

Abbiamo dato spazio nel sito in questi mesi alle riforme che riguardano le amministrazioni locali. Non è macroeconomia e non si tratta neanche di sistemi monetari, ma ne parliamo perché è importante capire che anche quel tipo di riforme non vengono progettate al di fuori delle politiche economiche imposte da Bruxelles. Al contrario, la scelta di un meccanismo contabile che regola spese e incassi delle amministrazioni locali piuttosto che un altro dipende direttamente dall’impostazione a monte che si vuole dare alle politiche economiche e dagli obiettivi che si vuole perseguire.

Inoltre, dato che sono le amministrazioni locali i protagonisti della spesa pubblica a favore dei cittadini e delle imprese, la modifica delle regole impatta direttamente sui cittadini e sulle imprese.

Semplificare o complicare il pagamento degli enti locali alle imprese può mantenere in vita l’impresa o condannarla a morte.

In quest’ottica è importante analizzare due recenti modifiche fatte dal governo Renzi in fatto di contabilità pubblica:

  • Split payment
  • Reverse charge

Cosa sono queste nuove norme e che impatto hanno nell’economia?

Lo Split payment è il nuovo meccanismo di riscossione dell’IVA per chi lavora con le PA. L’impresa, al termine dell’esecuzione di un lavoro per la PA, deve fatturare alla stessa l’importo del lavoro compresa l’IVA, ma la PA verserà all’impresa solo l’importo del lavoro versando direttamente l’importo dell’IVA all’agenzia delle entrate.

Sulla carta è un gioco a somma zero perché le imprese non incassano dei soldi che devono girare al fisco. Nei fatti invece emergono due problemi di particolare importanza.

L’IVA infatti si versa anche dopo 90 giorni e questo significa che le imprese per quel periodo dispongono di una maggior liquidità che così viene loro tolta. In una situazione di profonda crisi come questa significa togliere ulteriormente ossigeno alle già asfittiche imprese. Il secondo problema è che le imprese che lavorano prevalentemente con le PA potevano utilizzare l’IVA incassata a compensazione dell’IVA a credito. Ma l’IVA incassata non c’è più e ora rischiano di andare a credito con le PA finendo nel libro degli eterni creditori destinati a fallire in attesa dei soldi che non vedranno mai!

Il Reverse charge è l’estensione a molte imprese ed alla grande distribuzione di un meccanismo contabile, già utilizzato in alcuni casi specifici per il pagamento dell’IVA. Con questo sistema colui che acquista dei beni o una qualunque prestazione di servizi deve assolvere agli obblighi legati all’imposta versando per intero l’IVA, compresa la quota che sarebbe stata a carico del venditore del bene o prestatore del servizio. Con questo sistema il Fisco evita che il fornitore finale di beni o di servizi, incassi dal cliente finale l’importo della fattura comprensiva di imposta e lasci al cliente finale l’obbligo di pagare per intero l’IVA.

Anche in questo caso abbiamo un giro a somma zero che si traduce di fatto in un danno alle imprese come denunciato da Confindustria in quanto abbiamo anche in questi passaggi il doppio effetto di minor liquidità a disposizione delle imprese e la formazione di crediti inesigibili nel caso di IVA a credito con le PA.

In conclusione: abbiamo due riforme adottate con l’intenzione di stanare gli evasori (in generale con l’obiettivo drammatico di ridurre il deficit dello Stato aumentando le tasse incassate) ma che di fatto peggiorano la crisi perché causano la diminuzione del denaro liquido su cui le imprese possono contare e nel contempo aumentano i crediti inesigibili verso le PA.

Le politiche macroeconomiche basate sull’austerità partoriscono riforme che vanno sempre contro gli interessi dei più, i quali però purtroppo rivolgono la loro attenzione sulla singola riforma piuttosto che alzare lo sguardo verso ciò che l’ha generata.


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