Quali sono i fattori chiave che definiscono il sentiero evolutivo di un territorio?
Chi guida l’economia? Cosa determina l’indirizzo degli investimenti, i “mattoncini del futuro“?
Spesso, seguendo i media, pare che in un’economia capitalistica lo sviluppo sia un fenomeno spontaneo, orientato dal “mercato” , composto dall’azione di una molteplicità di soggetti alla ricerca del benessere individuale. Così non è! Il mercato opera per ultimo in linea temporale, può esprimersi solo su progetti che si sono già realizzati! Non può selezionare i progetti che vedranno la luce!
Qualsiasi progetto, specie se articolato su di un lungo periodo, ha necessità di essere finanziato per realizzarsi, ed i finanziamenti in un’economia moderna possono provenire solo da 2 soggetti: lo Stato e le banche.
Stato e banche sono coloro che detengono il timone, la direzione di tutto il sistema!
Analizziamo ora un attimo le caratteristiche di questi 2 timonieri.
Le banche, come abbiamo potuto costatare negli ultimi anni, passano dall’essere euforiche nei momenti di boom economico ad essere dominate dal “panico” in momenti di crisi. Certo, molte banche conoscono profondamente la realtà produttiva territoriale e riescono in ogni caso a riconoscere gli investimenti più sicuri ed affidabili. Il fatto è proprio che la ricerca dell’investimento sicuro porta il sistema bancario ad essere estremamente conservatore, a prediligere sempre il progetto collaudato, il sistema esistente alla soluzione innovativa. Questo è nella natura stessa del sistema bancario ed è al tempo stesso il suo merito e il suo limite.
La banca oltre che avere un umore altalenante, storcere il naso di fronte alle idee innovative pone la sua attenzione sul singolo progetto senza poter elaborare una visione d’insieme del sistema economico: il risultato è quello di concentrare gli investimenti, spesso in modo disordinato, in alcune aree facendoli venir meno in altre. Tendenza spontanea, che si verifica su diverse scale, e che porta alla polarizzazione dei territori ed alla definizione di centri sovra concentrati e periferie semideserte.
La banca è la banca. Giustamente non ci si può aspettare che faccia lei le politiche industriali, ambientali e sociali che costruiscono il solido impianto strutturale dell’avvenire.
Lo Stato, quando emettitore della sua valuta, è la fonte prima della moneta e non può mai rimanerne sprovveduto. Per questo può prendere i rischi di cui la banca non può farsi carico. Solo lui può permettersi di costruire una visione d’insieme del futuro ponendo le fondamenta economiche (ma anche giuridiche) per uno sviluppo coerente e coordinato dei territori e della nazione. Solo lui riesce a cogliere l’utilità generale di progetti che presi singolarmente non avrebbero ragion d’esistere: quale banca avrebbe convenienza nel costruire una scuola elementare in un paesino sperduto delle alpi bergamasche, a sviluppare la rete elettrica e telefonica anche nelle zone che nel dopoguerra non avevano ancora sviluppato un tessuto industriale?
Solo lo Stato può far si che la specializzazione produttiva non si determini solo in base ad un pregresso percorso storico ma in base alle reali potenzialità di un territorio.
Per avere un processo di sviluppo continuo e coerente del paese lo Stato non deve rinunciare ad avere una visione d’insieme, non deve rinunciare ad architettare il futuro.
Questo vale sia in periodi di boom economico che in periodi di profonda crisi. Però, come accennato prima, le banche in crisi diventano particolarmente diffidenti e riducono il credito anche la dove normalmente sarebbero portate a concentrarlo innescando la spirale recessiva. Al fine di non far cadere l’economia intera in un buco nero lo Stato in tempo di crisi deveessere l’ancora della progettualità della società. Quando nessuno spende lo Stato deve spendere di più per non far inchiodare il sistema.
La vera tragedia dei nostri tempi è che il nostro paese, come tutta l’eurozona, ha rinunciato alla sovranità monetaria ponendosi come subalterno alle logiche miopi del sistema bancario. Per lo più facendosi dirigere da tecnocrati senza una visione futura della nazione. Così lo Stato si è trasformato da architetto del futuro ad esattore, per non dire predatore, dell’economia.