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La manovra da 3,4 miliardi? È solo l’antipasto – Intervista a Carlo Clericetti

La manovra da 3,4 miliardi? È solo l’antipasto - Intervista a Carlo Clericetti

Carlo Clericetti è un giornalista economico e autore del blog Soldi e Potere del sito web de La Repubblica.

È stato uno dei relatori del Forum delle prospettive economiche, politiche e sociali organizzato a Bergamo da Rete MMT e Jebg il 29 aprile 2016.

Gli abbiamo chiesto la sua opinione riguardo alle ultime richieste della Commissione europea al Governo italiano.

(la Redazione)


Come ha spesso scritto, le richieste di manovre da parte di Bruxelles si fondano su metodologie di calcolo inattendibili e parametri arbitrari. Come ad esempio la “disoccupazione strutturale”, ovvero il Nawru. Ci spiega cosa significa e il ruolo che gioca nelle politiche di austerità?

« Il Nawru, “non accelerating wage rate of unemployment”, è parente stretto del Nairu, “non accelerating inflation rate of unemployment”, anch’esso usato nelle metodologie che pretendono di determinare il Pil potenziale, un dato determinante per le procedure di verifica dell’andamento dei conti pubblici di un Paese. Istituzioni come la Commissione europea e l’Ocse, infatti, “correggono” le cifre esposte nei documenti di bilancio dei vari Paesi per tener conto della situazione congiunturale: il che in linea di principio sarebbe corretto, ma ha il difetto esiziale di basare tutto su un dato – quello, appunto, del Pil potenziale – che è puramente ipotetico ed impossibile da verificare.

Nawru e Nairu sono concetti che si collocano all’interno della teoria economica cosiddetta “neoclassica”, secondo cui l’economia tende naturalmente verso l’equilibrio se non è disturbata da fattori esterni, come ad esempio decisioni politiche inappropriate o un livello dei salari eccessivo rispetto a questo supposto equilibrio. Se i salari fanno salire i prezzi, cioè provocano inflazione, i tassi d’interesse saliranno: e siccome – sempre secondo questa teoria – gli investimenti dipendono dal livello dei tassi d’interesse, con tassi più alti ci saranno meno investimenti, il che farà diminuire la crescita. Per tenere i salari al loro “giusto” livello, dunque, è necessario che ci sia una certa quantità di disoccupati in modo da ridurre il potere contrattuale dei lavoratori, che per timore di perdere il posto non chiederanno aumenti dei salari.

Tutto l’andamento della crisi ha non solo smentito, ma raso al suolo questa teoria. Come si è visto, non solo il mercato lasciato a se stesso non tende affatto all’equilibrio, ma al contrario genera una crisi dopo l’altra, e per tamponarle si rende indispensabile il tanto vituperato intervento pubblico. Ma anche il supposto legame fra livello dei tassi d’interesse e investimenti è del tutto inesistente: abbiamo vissuto un lungo periodo con tassi d’interesse mai così bassi nella storia e gli investimenti non solo non sono aumentati, ma sono fortemente diminuiti. Il fatto che si continui ad applicare questa teoria, nonostante le radicali smentite della realtà, ne mette a nudo il carattere ideologico e politicamente reazionario. »

Qual è il futuro di un’Italia schiacciata tra la richiesta di un’altra manovra recessiva e la minaccia del commissariamento?

« Il futuro dell’Italia continua ad essere molto fosco. L’ulteriore manovra da 3,4 miliardi che ci impone la Commissione – in base a conteggi fatti utilizzando quelle teorie screditate – è solo l’antipasto di una prossima legge di bilancio che dovrebbe trovare oltre 15 miliardi solo per impedire che scattino le clausole di salvaguardia che ci trasciniamo dagli anni passati, con aumenti dell’Iva e delle accise che farebbero aumentare ancora la pressione fiscale. Nel frattempo, tra le misure di quest’anno, c’è una ulteriore riduzione al 24% della tassa sui profitti delle imprese: una misura priva di senso che farà solo aumentare i guadagni degli azionisti, che con ogni probabilità continueranno a fare quello che hanno fatto finora: non investimenti, ma esportazioni di capitali, se va bene in modo legale.

Tutto questo in una situazione politica quanto mai confusa, da cui non si vede come potrebbe emergere una forza di governo con un programma di politica economica adeguato alle nostre necessità e l’autorevolezza necessaria per farlo accettare a livello europeo. Se finora era stato difficile evitare il pessimismo, ormai la situazione è tale da far apparire le prospettive ancora peggiori. »


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